Wise Society : Come proteggere i nostri risparmi al tempo del Coronavirus?

Come proteggere i nostri risparmi al tempo del Coronavirus?

di Alex Ricchebuono - Esperto di Finanza e Asset management
27 Novembre 2020

Inflazione, deflazione, reflazione, valute digitali. Un vademecum per capire cosa ci attende nei prossimi mesi e anni e come superare lo tsunami economico-finanziario generato dalla pandemia

È evidente che al momento le incertezze abbondino, a livello globale e a livello individuale con le paure legate, per esempio, ai propri risparmi e alla possibilità di riuscire a fronteggiare la crisi economica. Ancora oggi risulta del tutto impossibile quantificare gli effetti precisi del Covid-19 sull’economia globalizzata. Per un Paese come la Cina che già canta vittoria esistono tantissime altre nazioni in pieno incubo lockdown per le quali è del tutto fuorviante provarne a misurare l’effettivo impatto sul loro tessuto economico e sociale. Ci hanno pensato poi le elezioni americane a rendere ancora più intricata la matassa. L’unica certezza questa volta è che la situazione non sia stata presa sottogamba, ed anzi tutte le principali banche centrali del pianeta, insieme ai governi nazionali, si siano mossi all’unisono per evitare il contagio del virus all’economia reale. Si, perché la pandemia alla fine non è solo un problema sanitario ma anche e soprattutto economico-finanziario.

Impariamo dalla storia: qual è il nesso fra il Covid e le epidemie del passato?

Dobbiamo quindi disperarci e rinchiuderci in casa in attesa che arrivino i cavalieri dell’apocalisse? Proviamo a riflettere per un minuto con gli occhi della storia e forse la situazione non è così terribile come sembrerebbe. O almeno non ancora! Immaginiamo solo per un istante di avere una macchina del tempo e di poter tornare indietro di cento anni esatti. Un solo secolo non mille o cinquemila anni, ma solo cento miseri anni. Poca cosa quindi nel contesto della storia dell’umanità. Eppure assai significativa per mettere le cose nel loro giusto contesto. Sì perchè l’11 ottobre del 1918, a Filadelfia, gli obitori comunali stavano iniziando letteralmente ad espoldere, ed era solo l’inizio. Il giorno prima infatti, 759 persone erano morte a causa dell’influenza spagnola, che aveva colpito, oltre alla seconda capitale della sua storia, molte altre città degli Stati Uniti.

I corpi si ammucchiavano nei corridoi e bisognava scavare fosse comuni per seppellirli. Queste immagini terrificanti che ricordano la grande epidemia di peste nera del 1348, hanno messo in evidenza allora come oggi, quanto le società umane siano fragili di fronte a virus pericolosi ed estremamente contagiosi.

Nel biennio 1918-1920, la Spagnola, che Claude Hannoun, esperto di epidemie per l’Istituto Pasteur sostenne anche in quell’occasione si trattasse di un virus proveniente dalla Cina mutato negli Stati Uniti, si diffuse a macchia d’olio in tutto il pianeta, causando tra i 30 ed i 50 milioni di morti. In due anni era stata letale cioè quasi quanto la prima guerra mondiale, mettendo le basi per la nascita dei totalitarismi e della successiva crisi finanziaria del ’29.

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L’ombra dell’inflazione galoppante e dell’esplosione dei prezzi

Ma la cosa più scioccante per chi si occupava di economia, è che sia stata anche la principale causa dell’esplosione dell’inflazione galoppante che ne conseguì. Secondo i principi contabili internazionali si può parlare di iperinflazione quando uno Stato si ancori ad una valuta estera e quando il livello dei prezzi raddoppi nell’arco di un triennio. Ecco se guardiamo alla civilissima locomotiva tedesca, in quegli anni ci sarebbe da non crederci. La situazione economica della Germania negli anni ’20 era a dir poco disastrosa. Il Paese, dissanguato dalla guerra, fece una fatica incredibile a riprendersi, anche per il clima di totale insicurezza politica e per le pesanti condizioni che il trattato di Versailles avevano imposto agli sconfitti. Fu in realtà un accordo capestro dei vincitori che volevano vendicarsi per le atrocità della guerra. Nonostante oltre duecento rotative stampassero, giorno e notte nuove banconote, con sopra delle cifre sempre più astronomiche, non si potè evitare il tracollo.

Paura e liquidità bloccata sui conti remano contro la ripresa economica

Per i più poveri, quelli per intenderci che prima dell’inflazione non avevano niente, non cambiò un granchè: chi non ha niente ha poco o nulla da perdere. Anche le classi più abbienti, quelle che possedevano terre, case, fabbriche, oro o altri beni reali riuscirono a tener botta, o almeno si ripresero velocemente appena cambiate le condizioni. Ma per la classe media, per quelli che vivevano di stipendio ed avevano dei risparmi in banca o in titoli di stato, per loro fu la rovina totale: l’inflazione cancellò in pochi mesi tutte le loro ricchezze e milioni di tedeschi furono gettati nella miseria più cupa. Il 1923 fu veramente traumatico e la paura di poterlo rivivere si sente, ancor oggi soprattutto tra alcuni consiglieri della Bce.

Ma, quindi, possiamo davvero temere un’inflazione galoppante? Al momento la parola d’ordine sembrerebbe prudenza vista la massa enorme di liquidità bloccata sui conti. Liquidità come se non ci fosse un domani. Sapendo che un domani ci sarà ma si sta facendo di tutto per renderlo meno pesante pur sempre con tante incognite. Anche perché la liquidità si ottiene da cosa? Dagli acquisti delle banche centrali, dal deficit pubblico o dalla monetizzazione del debito, cosa che per ora resta una chimera.

Ma la ragione principale per l’accumulo di tutta questa liquidità resta sempre la paura, ed anche se molti politici tendono a rassicurare, non è di certo possibile nascondere i dati sullo stato di salute dell’economia globalizzata. Gli Stati Uniti, così come il Vecchio Continente, sono stati travolti dal Coronavirus. Per la piena ripresa, dunque, non sarà sufficiente aspettare il 2021 ma potrebbero volerci alcuni anni, per dirla con le stesse parole di Jerome Powell, presidente della Federal Reserve: ci vuol pazienza.

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Quattro scenari possibili per la ripresa post-Covid

Per tornare sulla retta via, insomma, occorrerà più tempo del previsto. In questa situazione non serviranno a molto i tassi di interesse negativi, ai quali il governatore ha letteralmente chiuso le porte in faccia. Essi, infatti, risultano poco efficaci e potrebbero altresì avere pesanti ripercussioni sugli istituti di credito. I principali analisti prevedono per lo meno 3 tipi di scenario di ripresa a cui potremmo assistere: uno scenario a V, quasi a dire per certi versi che è stato solo uno scherzo; uno scenario a U, decisamente più credibile perchè include una fase laterale legata alla ripresa del Covid che lascerà non pochi strascichi; oppure uno scenario a L quello peggiore, dove ci vorrà molto tempo prima di ripartire attraversando non poche difficoltà sociali prima ancora che economiche.

Ma esisterebbe anche un quarto scenario ancor più preoccupante, quello a W con l’ultima gamba mozzata, che prevederebbe una falsa ripartenza per poi ripiombare in una crisi ancor più cupa legata alla mole di nuovo debito generato.

Deflazione, disinflazione, reflazione: facciamo chiarezza

Ma quali sono le forze, a volte occulte, che possono agire a favore o contro una di queste ipotesi? Nel campo degli effetti negativi, oltre all’inflazione di cui abbiamo già accennato esistono anche la deflazione e la terrificante stagflazione, quando inflazione e depressione economica lavorano insieme in un mix da paura. Ma esistono anche la reflazione e la meno citata disinflazione. Le banche centrali hanno quindi molte armi non convenzionali nella faretra per centrare i loro obiettivi di lungo termine.

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Alex Ricchebuono, esperto di Finanza e Asset management

Ma andiamo per gradi. In economia la disinflazione è una riduzione dell’inflazione a seguito di un suo incremento imprevisto. Di conseguenza la crescita dei prezzi rallenta: per esempio, se passa dal 4% al 1% la disinflazione è pari al 3% e i prezzi dei beni crescono meno di prima pur continuando a crescere. La disinflazione non va confusa con la deflazione, che indica invece una variazione dei prezzi negativa. Le cause della deflazione vanno imputate ad una diminuzione dell’offerta di moneta o ad una contrazione del ciclo economico e conseguente recessione, ed è quindi un male da combattere.

Al contrario, la reflazione è l’atto di stimolare l’economia, aumentando l’offerta di moneta anche riducendo le tasse, cercando di riportare il trend ad un livello dei prezzi in linea con la tendenza di lungo termine. È l’opposto della disinflazione, che cerca di far tornare l’economia verso la linea di tendenza di lungo termine. La reflazione, che può essere considerata una forma d’inflazione, a volte contrastante, poichè considera inflazione “cattiva”, quella al di sopra della linea di tendenza di lungo termine. Quindi la reflazione si può considerare una ripresa del prezzo obiettivo quando è sceso al di sotto della linea di tendenza, ma se sfugge di mano può creare il patatrac.

La duplice faccia dell’inflazione nei momenti di crisi economica

Concetti all’apparenza astratti, ma che si possono sintetizzare facilmente con degli esempi. Da sempre le persone di una certa età si lamentano di quanto sia diminuito il loro potere d’acquisto al supermercato. Mia nonna, pace all’anima sua, che è mancata 2 anni fa a 103 anni suonati, spesso mi diceva: “Quando avevo la tua età con 50 mila lire riempivo il carrello”. Oggi con 25 euro invece sappiamo tutti cosa possiamo comprare! Questo fenomeno è dovuto all’inflazione meglio descritto come l’aumento generalizzato e prolungato dei prezzi che porta alla diminuzione del potere d’acquisto e quindi del valore reale di tutte le grandezze monetarie.

Ma perché mai l’inflazione, soprattutto nelle sue forme più subdole di cui abbiamo accennato, è un tema così importante per i tutti i governi del mondo? Perché vogliono che ve ne sia sempre un certo livello sotto il loro controllo? Da un lato per pagare la spesa pubblica senza dover per forza ricorrere all’aumento delle imposte. E dall’altro per far calare il peso del debito. L’inflazione, quindi, aiuta perché il valore del debito diminuisce in maniera ad esso proporzionale nel tempo.

Ma il rovescio della medaglia è che l’inflazione danneggia i nostri risparmi. Per questo è importante in fasi come queste detenere beni reali o i cosìddetti beni rifugio. Se poi oggi, nell’era della rivoluzione digitale, uno dei beni rifugio è o sta per diventare il bitcoin, non resta che prenderne atto. Ma rifugio da cosa? Dall’inflazione appunto, visto che di guerre mondiali non dovrebbero essecerne all’orizzonte. Dall’inflazione che verrà, se verrà certamente non da quella che sotto i nostri occhi sta andando nella direzione opposta.

Le valute digitali come strumento contro il crash finanziario?

O forse invece questa ossessione mette a nudo tutte le criticità del momento: aumento esponenziale del debito, velocità di circolazione della moneta collassata già da tempo, massa monetaria alle stelle e nonostante tutto inflazione sotto i livelli target. E in primis la mancanza di fiducia nei governi di tutto il mondo. Quindi per il momento, è più probabile che il problema inflazione sia molto meno probabile di quanto non si creda così come quello di un amaro ritorno alla stagflazione.

Più realistico, invece, uno scenario di disinflazione, con un evidente rallentamento dei prezzi infiammatisi a causa del Covid-19, accompagnato da una riduzione dell’indebitamento. Ecco perché moltissime banche centrali in tutto il pianeta, stanno accelerando i loro programmi di creazione di valuta digitale, Central Bank Digital Currency (CBDC). Ci sono certamente considerazioni di sicurezza e di efficienza del sistema dei pagamenti, ma il grande obiettivo delle CBDC è, prima di tutto, un cambio di paradigma ancorché di semplice politica monetaria.

Le valute digitali ufficiali saranno, potenzialmente, l’arma definitiva contro il rischio di un ritorno alla deflazione e soprattutto all’iperinflazione, quindi ad un ipotetico crash dei mercati in stile ’29, perchè non si potranno nascondere sotto al materasso e saranno svincolate dall’emissione di debito pubblico.

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Investire nel private equity per salvaguardare i propri risparmi

In conclusione negli ultimi anni siamo passati da tassi d’interesse a due cifre a quelli di oggi sotto 1%. Questo calo vertiginoso per molti risparmiatori obbligazionari è stato senz’altro positivo. Tuttavia l’inflazione non è morta ma si è solo trasformata grazie alle nuove e sofisticate tecniche introdotte dalle banche centrali di cui abbiamo parlato. È come se ci fosse una tassa silenziosa, che in molti conoscono pur non comprendendone appieno il significato, sottostimandone per giunta l’impatto a lungo termine sui risparmi.

Per proteggersi dall’inflazione bisogna capire innanzitutto che tenere i risparmi sul conto corrente non è risparmiare, ma buttare i soldi dalla finestra. Per tutelare il nostro potere d’acquisto dobbiamo investire, meglio ancora se nell’economia reale, fatta di beni produttivi che generano valore in primis nel Private Equity. Poiché come diceva Arthur Bloch: “solo chi possiede l’oro, le terre e le armi è in grado di scrivere le regole del gioco”.

Alex Ricchebuono – Esperto di Finanza e Asset management, Managing director New End Associates

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