L'agenzia Fitch ha appena declassato l’outlook dell’Italia portandolo a un solo gradino dal livello spazzatura. Viaggio nel complesso mondo delle valutazioni finanziarie fra zone d'ombra e conflitti d'interesse
Nel Vangelo di Matteo c’è forse la più importante testimonianza di Gesù riportata nelle Sacre Scritture: il Discorso della montagna. E che c’entrano i Vangeli in un articolo che parla delle agenzie di rating nel bel mezzo della crisi economico-finanziaria più imprevedibile dal dopoguerra? C’entra. E il rapporto è molto stretto. Proprio nelle pagine scritte da Matteo è contenuta la preghiera delle preghiere, per espiare i nostri peccati. Nella seconda parte del Padre Nostro infatti, quella dedicata alle richieste per le necessità umane più impellenti, c’è un chiaro riferimento alla riconciliazione tra creditori e debitori sintetizzata nelle parole di Gesù che ognuno di noi ha recitato almeno una volta nella vita: “Padre Nostro che sei nei cieli, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male”.
Ma c’è scritto forse che quando c’è debito c’è anche una colpa? Un conto è il peccato che si commette per scelta, altra cosa è il debito. Certo, nel caso il peccato sia ricompreso tra i sette vizi capitali la punizione terrena non è mai piacevole, e a rileggere il capolavoro del sommo Dante, neanche quella divina è una passeggiata di salute, visto che quando parlò dell’avidità e dell’usura ci andò giù duro. Punizioni terrene o celesti comportano entrambe una sanzione che scatta nel momento in cui viene riconosciuta la colpevolezza.
Rating finanziario: il destino di molti nelle mani di pochi
Ma si può parlare di colpe quando si abbatte su intere nazioni un’emergenza sanitaria come quella del Coronavirus che ha fatto così tante vittime e costretto aziende e intere comunità a fermarsi? Quella che sembra essere un’interpretazione ragionevole, e che dovrebbe essere accolta con favore, rischia invece di condannarci a espiare peccati commessi nei decenni precedenti, tutti in un’unica soluzione e per lo più incolpevolmente. Una sorta di memento mori collettivo che colpisce anche chi è stato semplice spettatore di errori commessi da altri. Dunque le parole del Vangelo dovrebbero riecheggiare nelle menti e nei cuori dei decision makers che, premendo un bottone, hanno il potere di cambiare il corso della storia. Perché non è detto che ogni discorso sul debito implichi necessariamente una pena da scontare.
Quando e perché sono nate le agenzie di rating?
Ma quindi come si può distinguere in finanza tra colpe, sfortuna o fatalità? Per questo ci pensano, o ci dovrebbero pensare, le agenzie di rating nate negli Stati Uniti durante il boom economico di metà ‘800. Si può far risalire l’origine di questo concetto al documento “History of Railroads and Canals in the United States” (Storia finanziaria delle ferrovie e dei canali degli Stati Uniti), pubblicato da Henry Varnum Poor nel 1860. Durante la sua vita Poor si batté affinché le aziende fossero obbligate a rendere pubblici i propri bilanci, puntando sulla trasparenza e l’accessibilità dei libri contabili in particolare verso i possibili investitori. Questa intuizione fu portata avanti da suo figlio Henry William, che, insieme a Luther Lee Blake, un analista finanziario, creò indici sintetici chiari e trasparenti, fino alla fondazione nel 1909 della Standard & Poor’s che dal 1941 prese poi la forma che conosciamo oggi.
Quali sono le agenzie di rating più importanti del mondo?
Da lì in avanti molta acqua è passata sotto i ponti e il lavoro delle agenzie di rating si è arricchito e diventando sempre più complesso e globale. Oggi sono tre le società di questo tipo che hanno assunto il maggior peso al mondo, sebbene ne esistano molte altre in Europa, e in Cina operi la sempre più influente Dagong Global Credit Rating.
Qualcuno le ha definite i “Padroni dell’Universo” o, parafrasando Tolkien, i “Signori del Rating”, anche se più comunemente ci si rivolge ad esse come le tre sorelle: Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch Ratings. Comunque le si voglia chiamare, è indubbio che concentrino nelle loro mani un potere immenso, divenendo giudici inappellabili dei destini di aziende medie, piccole e grandi e persino di intere nazioni.
Cosa fanno le agenzie di rating?
Il loro incessante lavoro si sintetizza in un voto sul merito creditizio e una loro bocciatura, così come una promozione, ha effetti straordinari sui mercati, come si è visto nel caso della Grecia, della Spagna o delle banche italiane di qualche anno fa. Ecco perché i cosiddetti padroni dell’universo sono così temuti, proprio ora che viviamo la più incredibile ed imprevedibile crisi economica e finanziaria dal dopoguerra. Come detto, nonostante esistano diverse agenzie, in realtà le tre sorelle si spartiscono la stragrande parte della torta di chi emette debito in tutto il mondo. E visto che tutti s’indebitano, a loro il lavoro di certo non manca, e se non ti rivolgi a Standard & Poor’s ci sono sempre Moody’s o Fitch dietro la porta.
Chi controlla i colossi del rating finanziario?
Ma chi controlla e possiede il capitale di questi colossi che ogni anno generano miliardi di dollari di fatturato? Secondo quanto si può desumere controllandone il bilancio a fine dicembre 2019, il primo azionista di Moody’s, con il 13,2% del capitale, risulta Warren Buffett, il guru di Omaha, attraverso il suo fondo Berkshire Hathaway. Al secondo posto compare, invece, il colosso dei fondi passivi Vanguard e poi un gruppone compatto di gente che di mestiere compra e vende titoli: si va da State Street a BlackRock passando per Fidelity, Invesco e Morgan Stanley per citarne alcuni. Insomma i più grandi gestori di fondi a livello mondiale sono azionisti di Moody’s. E non c’è da stupirsi quindi se la stessa trama si ripeta, e quasi specularmente, per Standard & Poor’s e Fitch.
Agenzie di rating tra grandi fondi e conflitti d’interesse
Questo fa sorgere un quesito spontaneo. Che ci fanno grandi investitori e gestori di fondi nel capitale di chi dà i voti ad azioni e obbligazioni che essi stessi detengono in portafoglio? La prima risposta è abbastanza intuitiva: fanno un sacco di soldi e poi le società di gestione americane sono da sempre gli investitori istituzionali per eccellenza.
La seconda valutazione è più delicata, ma del tutto lecita, soprattutto per la situazione che stiamo vivendo. Detenere quote rilevanti del capitale di chi determina i destini di milioni di aziende nel mondo permette di avere accesso a informazioni privilegiate e spesso a dossier molto delicati. È vero che esistono i Chinese Walls per evitare che tutto questo avvenga, ma vista la situazione delicatissima che stiamo vivendo, con intere nazioni che potrebbero finire sul lastrico per il giudizio giusto o sbagliato di queste agenzie, un sistema di garanzie e di controlli pubblici potrebbe senz’altro rasserenare gli animi, evitando di lasciare campo libero a complottisti e antagonisti di lungo corso, che non perderebbero occasione per cavalcare il malcontento.
Ma è la cronaca che ci porta crudamente alla realtà, dato che solo pochi giorni fa, Fitch ha declassato l’outlook dell’Italia portandola ad un solo gradino dal livello junk, ovvero spazzatura. Perché è proprio nei momenti di grande tensione e difficoltà che emergono i valori su cui si fondano le nazioni, sopratutto di quelle come gli Stati Uniti, che hanno una delle più belle costituzioni del pianeta, ricche di proclami alla libertà e alla giustizia. Ma se non prevarrà il buonsenso, soprattutto in Europa, è probabile, che Montesquieu, considerato il fondatore della teoria politica della separazione dei poteri, veda avverarsi la sua profezia: “Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata all’ombra della legge e nascosta sotto il pannicello caldo della giustizia”.
Alex Ricchebuono, esperto di Finanza e Asset management