Studi recenti hanno messo in evidenza gli effetti collaterali del global warming: da una parte aumenta la produzione di CO2 indotta dai microorganismi del suolo, dall’altra modifica il ciclo di carbonio e di azoto delle foreste e rischia di far estinguere il plancton già alla fine del secolo
L’aumento della CO2 è un problema attuale e crescente e ha effetti sul clima. I suoi livelli e quelli degli altri gas serra hanno raggiunto un nuovo record nel 2023, sostiene la World Meteorological Organization. Dato che l’aumento della concentrazione atmosferica di anidride carbonica è uno dei principali fattori che contribuiscono al riscaldamento globale, pensare che si sta accumulando nell’atmosfera “più velocemente di qualsiasi altro momento sperimentato durante l’esistenza umana, aumentando di oltre il 10% in soli due decenni”, come sottolinea la WMO, è preoccupante. Ad allarmare è anche un altro elemento: secondo uno studio pubblicato su Nature, si prevede un aumento globale di circa il 40% nella respirazione eterotrofica entro la fine del secolo. Detto in altri termini: i microrganismi nel suolo produrranno il 40 per cento in più di anidride carbonica da qui al 2100, nello scenario peggiore. Perché dovrebbe inquietare? Perché, all’interno del ciclo terrestre del carbonio, la respirazione del suolo, l’emissione di CO2 attraverso la respirazione delle radici (autotrofa) e microbica (eterotrofa), costituisce il più grande efflusso di CO2 nell’atmosfera.
Gli effetti del riscaldamento globale sui microorganismi del suolo
Si stima che i batteri nel suolo (e in parte del sottosuolo) ammontino tra i 15 e i 23 miliardi di batteri, ricorda Paolo Pileri nel suo ultimo libro “Dalla parte del suolo” (Editori Laterza). Il suolo ha un ruolo fondamentale nel trasferire, tamponare, filtrare e accumulare carbonio tra atmosfera, biosfera e litosfera. Contiene circa tre volte più carbonio dell’atmosfera e il doppio circa della vegetazione terrestre.
Circa un quinto della CO2 atmosferica ha origine dal suolo, che è circa dieci volte di più delle emissioni di anidride carbonica antropogeniche, ricordano gli autori della ricerca pubblicata su Nature.
La respirazione eterotrofica del suolo
La respirazione eterotrofica del suolo è uno dei meccanismi principali attraverso cui gli ecosistemi terrestri rilasciano CO2 nell’atmosfera. «Si è osservato che il suo contributo relativo è gradualmente aumentato negli ultimi due decenni», scrivono gli scienziati.
Per riuscire a quantificare e prevedere l’aumento della produzione di anidride carbonica da qui al 2100, essi hanno creato modelli da cui sono partiti per ipotizzare l’aumento della respirazione eterotrofica dello strato superficiale del suolo. Essa aumenta globalmente a un tasso di circa il 2% per decennio, una tendenza analoga in pressoché tutte le aree del mondo, tranne che nella zona artica, dove il tasso è doppio della media globale. «Sulla base delle proiezioni dei cambiamenti nella temperatura e nell’umidità del suolo ottenute dai modelli climatici, abbiamo dimostrato che le tendenze future indicano un graduale aumento del tasso annuale di respirazione eterotrofica del suolo fino alla fine del secolo del 5% per decennio, con un aumento maggiore (quantificato al 10% per decennio) nella zona artica».
Gli effetti del global warming sulle foreste
Un altro studio, sempre pubblicato su Nature, curato da un team di ricerca della cinese Zhejiang University spiega che il riscaldamento globale aggrava la disuguaglianza nei cicli del carbonio e dell’azoto nelle foreste, causando la compromissione della capacità globale di assorbimento del carbonio potenzialmente superiore a cinquecento milioni di tonnellate all’anno.
Tale disuguaglianza indotta dal riscaldamento nei cicli del carbonio e dell’azoto delle foreste potrebbe ampliare il divario economico tra il Sud e il Nord del mondo.
Le foreste ospitano oltre il 75% della biodiversità. Creare squilibri provoca diversi effetti collaterali: uno di questi è che il rapporto carbonio/azoto delle radici suggerisce una probabile tendenza verso una maggiore decomposizione della materia organica del suolo, contribuendo a una maggiore respirazione eterotrofica in condizioni di riscaldamento.
Il plancton rischia l’estinzione entro la fine del secolo
Gli effetti del riscaldamento globale si fanno sentire anche sugli ecosistemi marini. Uno studio pubblicato di recente, a cura di scienziati dell’Università inglese di Bristol, evidenzia come il plancton potrebbe estinguersi nel corso del prossimo secolo a causa del riscaldamento.
Per valutare la risposta dei minuscoli organismi oceanici, il team di ricerca ha confrontato gli effetti causati dall’ultimo riscaldamento significativo dell’era glaciale, con lo scenario che probabilmente si verificherà in condizioni simili entro la fine del secolo attuale.
I risultati hanno rivelato che il plancton non è in grado di tenere il passo con l’attuale velocità di aumento delle temperature, mettendo in pericolo vaste fasce della vita marina, compresi i pesci che dipendono da questi organismi per il cibo.
Ad allarmare sensibilmente è il fatto che, anche con proiezioni climatiche più conservative di un aumento di 2 °C, risulta evidente che il plancton non riesce ad adattarsi abbastanza rapidamente per adeguarsi al tasso di riscaldamento molto più rapido che stiamo sperimentando ora e che sembra destinato a continuare. Gli stessi ricercatori ricordano che il plancton è la linfa vitale degli oceani, ma ha anche un ruolo essenziale di cattura e stoccaggio della CO2.
Andrea Ballocchi