Wise Society : La fusione dei ghiacci antartici ormai sembra inevitabile

La fusione dei ghiacci antartici ormai sembra inevitabile

di Valentina Neri
5 Settembre 2024

Le acque dell’oceano si surriscaldano e, come logica conseguenza, i ghiacci dell’Antartide scompaiono. Un fenomeno destinato a continuare, nonostante i nostri sforzi per abbattere le emissioni di CO2

Ai confini del mondo c’è il continente più selvaggio, inabitabile e inesplorato: l’Antartide. Un continente che sta già pagando un prezzo altissimo, a causa del riscaldamento globale innescato dall’uomo. A tal punto che potrebbe essere ormai troppo tardi per salvarlo. È quanto rivela uno studio condotto da un team di ricerca britannico e pubblicato dall’autorevole rivista scientifica Nature Climate Change.

Antartide

Foto Shutterstock

Come e perché i ghiacci artici fondono: lo studio di Nature Climate Change

Nel suo insieme, il continente antartico copre circa il 20% dell’emisfero australe ed è più grande dell’Europa. La calotta polare antartica, che è il singolo pezzo di ghiaccio più grande esistente sul pianeta Terra, va da un minimo di 3 milioni di chilometri quadrati alla fine dell’estate a un massimo di 19 milioni in inverno; il suo spessore medio è di circa 2mila metri, ma arriva ai 4mila nelle aree centrali.

Lo studio, in particolare, si focalizza sulla fusione delle piattaforme di ghiaccio galleggianti nel mare di Amundsen, nell’Antartide occidentale. Queste enormi lastre di ghiaccio fondono “dal basso”, perché sono in contatto con l’acqua dell’oceano che diventa sempre più calda. Più di ogni altro, questo è il fenomeno che dal Polo sud contribuisce all’innalzamento del livello dei mari. Stando ai dati della Nasa, l’aumento globale medio è già stato di 21-24 centimetri dal 1880 in poi, ma con una brusca accelerazione negli ultimi anni: dagli 1,4 millimetri annui del Ventesimo secolo, infatti, si è attestato sui 3,6 millimetri annui tra il 2006 e il 2015..

Limitare il riscaldamento globale è necessario, ma non sufficiente

Sappiamo che l’acqua di mari e oceani si riscalda come logica conseguenza dell’aumento della temperatura media globale. E sappiamo che, siglando l’Accordo di Parigi, la comunità internazionale si è impegnata a contenerlo “ben al di sotto” dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, facendo tutto il possibile per avvicinarsi agli 1,5 gradi. Proprio su questo mezzo grado si è poi giocato il dibattito ai successivi negoziati per il clima, perché il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici ha dimostrato, a suon di solidi studi scientifici, quanto faccia un’enorme differenza per il futuro degli ecosistemi e di chi li abita.

Ciò non vuol dire, però, che limitare il riscaldamento globale possa cancellare con un colpo di spugna alcuni fenomeni che sono in corso da decenni. La fusione dei ghiacci antartici è un chiaro esempio. Il recente studio britannico sostiene infatti che il riscaldamento delle acque dell’oceano, quello che fa collassare gli enormi blocchi di ghiaccio del Polo sud, continuerà con qualsiasi scenario climatico. “Sembra che abbiamo perso il controllo della fusion della calotta dell’Antartide occidentale nel Ventunesimo secolo”, ha spiegato durante la conferenza stampa la co-autrice del paper Kaitlin A. Naughten. “Questo molto probabilmente significa che c’è una certa quota di innalzamento del livello dei mari che non possiamo evitare”.

Strada sommersa per innalzamento livello del mare

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Siamo ancora lontanissimi dai traguardi dell’Accordo di Parigi 

Ancora più preoccupante è il fatto che al rispetto dell’Accordo di Parigi non ci stiamo nemmeno vagamente avvicinando. O meglio, l’Emissions Gap Report 2023 pubblicato dal Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (Unep) precisa che, a seguito della sua firma, la comunità internazionale ha fatto dei progressi. Le politiche in vigore all’epoca, cioè a dicembre del 2015, avrebbero portato le emissioni globali di gas serra ad aumentare del 16% entro il 2030. Oggi l’aumento previsto è “appena” del 3%. Il problema è che, per limitare davvero il riscaldamento globale, le emissioni dovrebbero crollare: per la precisione, del 28% entro il 2030 per restare entro i 2 gradi centigradi e addirittura del 41% per centrare il più ambizioso obiettivo degli 1,5 gradi.

Nell’ambito di questo trattato internazionale, i singoli Stati si sono impegnati a consegnare alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) le cosiddette nationally determined contributions (ndc), cioè piani dettagliati di come e quanto intendono ridurre le proprie emissioni di gas serra. Immaginiamo che tutti i governi applichino per filo e per segno le loro ndc, comprese quelle conditional (cioè che dipendono dal sostegno finanziario fornito dall’estero). Se così fosse, l’aumento della temperatura globale nel corso di questo secolo sarebbe comunque di due gradi e mezzo. Una catastrofe per il clima che dobbiamo evitare a ogni costo.

Valentina Neri

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