Wise Society : Tre caffè al giorno? Tolgono il diabete di torno

Tre caffè al giorno? Tolgono il diabete di torno

di di Francesca Tozzi
2 Dicembre 2010

Bere qualche tazzina in modo costante potrebbe prevenire questa insidiosa malattia e ridurre il rischio anche per altre. Lo hanno scoperto i ricercatori dell'INRAN, che però ci mettono in guardia: questa bevanda non è un farmaco e i suoi effetti positivi possono valere solo se in relazione a uno stile di vita sano e corretto

Da tempo la scienza ha evidenziato il potere protettivo del caffè nei confronti del diabete, ma quali sono i meccanismi che consentono ai consumatori abituali di prevenire questa patologia? Secondo una ricerca dell’INRAN, (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) il caffè sarebbe in grado di inibire uno degli enzimi deputati alla digestione dei carboidrati. Lo studio si è svolto con l’utilizzo di due approcci sperimentali: uno bioinformatico e uno in vitro. Mediante tecniche di simulazione al computer è stata valutata la capacità dei composti fenolici presenti nel caffè di legare, e quindi inibire, gli enzimi coinvolti nel metabolismo dei carboidrati. Le simulazioni al computer sono state poi confermate dallo studio in vitro. «La letteratura scientifica è ricca di studi che dimostrano una correlazione fra caffè e prevenzione del diabete in termini di riduzione del rischio», spiega Fausta Natella, la ricercatrice responsabile del progetto, «il che vuol dire che su 100 persone, le 50 che bevono abitualmente caffè si ammalano in percentuale inferiore. Siamo partiti da questa evidenza per individuare il meccanismo che sta alla base della prevenzione».

 

Nuove scoperte

 

L’ispirazione iniziale il gruppo di ricerca dellINRAN l’ha tratta da uno degli studi epidemiologici usciti nel 2010, secondo il quale le persone più protette risultavano essere quelle che consumavano caffè dopo i pasti principali. Si è quindi pensato che le molecole del caffè potessero avere degli effetti sulla digestione dei carboidrati, cui è connesso il formarsi del diabete. Da questa considerazione è partito uno studio per verificare l’influenza del caffè e dei suoi composti sull’attività degli enzimi coinvolti nel metabolismo dei carboidrati: è risultato che inibisce una classe di questi enzimi rallentando la digestione dei carboidrati complessi (altri studi hanno evidenziato invece un rallentamento nell’assorbimento) e di conseguenza attenuando il picco glicemico, che è uno dei principali fattori di rischio. Questi risultati sono stati ottenuti in vitro e sono ipotetici: vanno confermati da uno studio in vivo condotto sull’uomo.

Risultati non previsti

 

Ma ci sono anche altre patologie coinvolte: «È stato dimostrato che il caffè può essere protettivo nei confronti del tumore al fegato, per l’azione dei ditipreni, e del tumore al colon, e in questo caso i mediatori coinvolti sono i fenoli», continua Fausta Natella. «Si tratta di studi epidemiologici e non di intervento. La differenza è che nel primo caso si studia una popolazione, la più numerosa possibile e per un periodo di tempo lungo perché alcune patologie si sviluppano nell’arco di molti anni; la si divide in due gruppi con differenti abitudini di consumo e dopo circa 20 anni si verifica quanti si sono ammalati fra i consumatori e quanti fra i non consumatori di una certa sostanza», continua Natella. «Valutare il rischio sulla base di uno studio di intervento vorrebbe dire somministrare al gruppo la sostanza da studiare, seguirlo quotidianamente per anni», aggiunge. Gli studi epidemiologici sono però in grado di dire che l’assunzione moderata ma costante di caffè riduce il rischio di contrarre il diabete di tipo due. Senza dimenticare che nel corso di queste ricerche spesso emergono delle evidenze non previste. Per esempio, studiando il potere protettivo del caffè nei confronti di alcune tipologie di tumore, ci si è accorti che diminuiva la percentuale di persone che si ammalava del morbo di Parkinson. Non si può ancora parlare di effetti neuroprottettivi ma si stanno facendo degli studi in questa direzione.

 

Sì a una quantità moderata ma costante

 

Non bisogna esagerare nel bere il caffè ma, perché sia efficace, è comunque preferibile un consumo prolungato nel tempo a quello occasionale. Questo perché gli effetti della caffeina sul consumatore abituale sono diversi: c’è una maggior tolleranza al principio attivo e una risposta più soft dell’organismo per cui, per esempio, è difficile che ci sia un aumento di pressione arteriosa di rilievo, cosa che può accadere a chi non è solito bere caffè.

 

Meglio quindi non andare oltre le 3-4 tazzine al giorno ma poi dipende dal tipo di caffè e dal suo contenuto in caffeina: l’americano ne contiene di più di quello fatto con la moka che a sua volta è più carico dell’espresso. Diciamo che la dose massima per un uomo di circa 70 chili è 350 milligrammi di caffeina al giorno; per le donne la soglia si abbassa a 300. «La caffeina, però, non è la sola sostanza da studiare», conclude la responsabile della ricerca, «il caffè è una miniera di sostanze interessanti fra cui i composti fenolici responsabili, in primis, dell’effetto preventivo nei confronti del diabete. Queste sostanze fanno del caffè l’alimento con il più alto potere antiossidante e ripeto alimento: non è e non sarà mai un farmaco», chiarische Natella. Il fatto che riduca il rischio di contrarre una malattia non assicura che la persona che lo beve non la contrarrà. Non si può, infatti, pensare a una strategia di prevenzione basata sul caffè anche perché induce in alcuni soggetti effetti negativi come la tachicardia. «Mi preme, infine, sottolineare che il consumo di caffè va visto nell’ambito di uno stile di vita sano e corretto», conclude la ricercatrice. «Se si è sovrappeso, non si fa attività fisica e si fuma, bere tanti caffè non serve di certo a normalizzare la situazione».

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