Il cantautore rock che festeggia 40 anni di carriera affronta temi importanti che stanno cambiando il nostro mondo. Come migrazioni, inquinamento, diseguaglianze
Eugenio Finardi li festeggia in questo 2016 in occasione del quarantennale di Sugo, un disco che è una pietra miliare di un certo cantautorato rock che non si è mai sottratto alla presa di coscienza dei disagi della società. Argomenti ai quale Finardi, 64 anni compiuti a luglio, non si sottrae neppure adesso, partendo da quello delle migrazioni. «Credo che il tema delle migrazioni sia il più vivo del presente, e lo sarà ancora di più nel prossimo futuro. Sono convinto che quando si parlerà di questo periodo storico lo si descriverà come quello delle grandi migrazioni, non certo come quello del terrorismo dell’Isis», dice il cantautore milanese.
Perché ne è convinto?
In questi giovani rapiti da questi ideali di natura estremista ritrovo personaggi che già ho conosciuto negli anni ’60. Certo l’ideologia era diversa, ma il meccanismo di arruolamento è simile a quello che usavano le Br negli anni ’70 con i reclutatori tendono a coinvolgere ragazzi disadattati. Invece le migrazioni sono il risultato di uno sconvolgimento planetario a livello ecologico che ha come effetti, tra gli altri, la desertificazione delle fasce equatoriali e lo scioglimento dei ghiacciai polari. È stata messa in moto la sesta grande estinzione, la prima dopo quella dei dinosauri; la prima causata dall’uomo che provocherà altre migrazioni di massa che sono inquietanti, ma difficilmente inevitabili.
Ma quell’uomo che invocava di essere portato via da un extraterrestre, oggi avrebbe ancora la nostalgia del ritorno?
Il tema di Extraterrestre era la fuga da se stessi, oggi come allora il cambiamento dipende da ogni singolo. Per cambiare le cose, o almeno tentare di invertire la rotta di questa società, dovremo avere coraggio di affrontare adesso grosse rinunce che richiedono una rivoluzione totale del nostro atteggiamento e che nessuno vuole fare. Al contrario c’è un’isterica voglia di appropriarsi del mondo.
Quando parla di grosse rinunce parla di una rivoluzione nei consumi?
Non solo, occorre cambiare atteggiamento su tutto. Magari a partire dagli imballaggi: cambiare contenitore costa poco e potrebbe essere una metafora. Oggi si usa troppo cartone e plastica per il packaging, e ancora si fa poca raccolta differenziata anche perché le lobby la ostacolano. Lo stesso avviene col trasporto ferroviario che, pian piano, viene ridimensionato nelle tratte in cui non rende col risultato che si deve utilizzare l’auto per gli spostamenti. Mi pare che questa ideologia liberista improntata al guadagno a tutti i costi stia portando alla rovina del pianeta.
Il capitalismo è il problema?
Dagli anni ‘80 c’è un sempre più arrogante pensiero unico, un turbo-capitalismo finanziario che mangia il mondo e nega altri sistemi. Io, essendo per metà americano (da parte di madre, ndr) sto seguendo la campagna elettorale nella quale Trump sta facendo leva sulle paure, sul fatto che la gente ha voglia di semplificazione e risposte facili che spesso sono risposte violente.
Quarant’anni fa cantava la “musica ribelle”, oggi quale può essere la rivoluzione?
Già allora è stata una ribellione fallita. La vera rivoluzione è stata quella a cavallo del ’68 con Martin Luther King e la conquista dei diritti civili per i neri americani, le battaglie per i diritti delle donne e i lavoratori, la fine del Colonialismo. Poi negli anni ’80 con la Tatcher è cominciato un periodo reazionario e liberista che ci ha portato a un declino medievale. È tornata la schiavitù nelle nostre campagne, i massacri e i genocidi quotidiani nel mondo, le esplosioni demografiche incontrollate in paesi senza industrializzazione e/o prospettive. Oggi le disuguaglianze sociali sono estreme: l’1% per cento della popolazione mondiale possiede più dell’altro 99% per cento. La cosa più oscena è che nessuno lo trova strano, i miei figli non si scioccano e quando lo faccio notare rispondono: “Beati loro”. All’indignazione si è sostituita l’invidia.
Il rock non incide più come elemento di protesta?
In Italia c’è ancora qualche esempio di rock di protesta come Lo stato sociale, ma c’è anche la censura che, diversamente da quello che capitava negli anni ’70, è subdola. Quando il mio primo album fu censurato dalla Rai ne parlarono tutti, oggi il problema è una censura tacita e sottile imposta dalle radio commerciali che passano solo pop e canzonette.
Però c’è il web…
Con la gente che discute di scie chimiche e complotti di ogni genere.
Lei quindi è d’accordo con Umberto Eco che ha detto che i social hanno dato parola agli imbecilli?
La digitalizzazione in generale dà voce a un sacco di lobby, è difficile scremare. Tutti possono pubblicare un libro a proprie spese credendosi scrittori, video credendosi star perché si spalmano addosso la mayonese, fotografie convinti di essere grandi fotografi e musica pensando di essere musicisti e raccogliendo milioni di visualizzazioni. Al contrario il più grande violoncellista al mondo ha appena 8 mila visualizzazioni. Del resto anch’io se pubblico su Facebook una riflessione o pensiero ho 8 mila visualizzazioni, se posto una torta ne ho 200mila.
Farebbe il giudice in un talent?
Perché no? Sarebbe un modo per influire sulla realtà attuale. Credo che i talent siano buona televisione, che in qualche caso aiutino la gente a diventare più consapevole come è capitato con Masterchef e il cibo. Diverso è il caso dei concorrenti, non mi pare che Masterchef abbia prodotto grandi chef o X Factor grandi popstar.
Due anni fa dopo l’elezione di Papa Francesco ne parlava come di un rivoluzionario, continua a pensarla così dopo due anni di pontificato?
Non è che segua giorno per giorno le vicende pontificie, credo anche stia patendo delle censure. Ma è anche l’unica voce critica autorevole di questa ideologia neo liberista famelica e violenta, di questo culto del vitello d’oro e del profitto che stiamo vivendo. Papa Francesco propone valori condivisibili di vita, tanto da essere criticato anche dai politici americani.