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Antonello Ciotti di Corepla: dal riciclo della plastica all’economia circolare

di Michele Novaga
14 Agosto 2020

Dalla raccolta differenziata al riciclo della plastica, all'importantissima (e imprescindibile) economia circolare che ne consegue. Ne parliamo con Antonello Ciotti, vicepresidente di Corepla.

La plastica sta invadendo i corsi d’acqua e gli oceani e si cominciano a trovarne tracce importanti anche sulle montagne e sui ghiacciai. In Italia sono molte le iniziative e le campagne per evitare che la plastica venga dispersa nell’ambiente, col fine di incentivarne il riciclo attraverso la raccolta differenziata. La buona notizia è che gli italiani sanno diventando bravi in questo.

Ad Antonello Ciotti, vice-presidente di Corepla – il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica – abbiamo chiesto cosa si può fare per evitare che la plastica venga dispersa nell’ambiente e cosa si sta facendo, invece, per riutilizzarla.

Nel nostro paese la quota di raccolta della differenziata e degli imballaggi in plastica è in aumento: +13% rispetto al 2018. Il che vuol dire che stiamo diventando bravi. Ma il punto non è che stiamo producendo troppa plastica e che sarebbe il caso di ricorrere ad altri materiali?

Quando si parla di sostenibilità dobbiamo domandarci se facendo ciò abbiamo un mondo più sostenibile. Gli studi fatti dimostrano che la produzione di plastica ha un consumo energetico competitivo rispetto agli altri materiali . Noi diciamo che va ridotto l’overpackaging e sostenuto invece l’ecodesign affinché gli imballaggi in plastica rientrino in un sistema di economia circolare e non si disperdano nell’ambiente.

Foto Corepla

Ogni anno vengono immesse sul mercato italiano due milioni di tonnellate di plastica. Voi ne intercettate un milione e trecentomila: che fine fa il resto?

Sono articoli che non finiscono nella raccolta differenziata, ma che vengono messi nell’indifferenziata a monte, durante la raccolta effettuata dai comuni e che vanno poi al termovalorizzatore, e quelli raccolti da altri operatori.

Come interviene Corepla e come funziona il processo di riciclo?

Per capire bene come funzione il consorzio bisogna partire dal  comportamento del cittadino virtuoso e dotato di senso civico che fa la raccolta differenziata grazie anche al comune che glielo consente. Dopo la raccolta, noi portiamo la plastica negli impianti sparsi su tutto il territorio nazionale. Lì pesiamo il rifiuto, affinchè il Comune venga premiato con circa 300 euro a tonnellata (nel 2019 il totale pagato ai comuni da Corepla per sostenere la raccolta è stato di oltre 400 milioni di euro). E successivamente, per dare valore agli imballaggi, li separiamo per polimero. Sono operazioni automatizzate e che consentono di separare 15 prodotti: bottiglie, tappi, flaconi della detergenza, film, etc che poi vengono venduti ai riciclatori con l’obiettivo di rimetterli nel ciclo produttivo. Questa operazione di selezione vale quasi 200 milioni. Una parte di quello che selezioniamo può essere venduto. Rimane una parte che non può essere separata e va a produrre un combustibile utilizzato dai cementifici e che aiuta ad arrivare alle temperature di 800-900 gradi. Infine, una parte va in termovalorizzazione.

Quanti tipi di plastica esistono?

I polimeri principali sono 6:

  1. Il Polietilene tereftalato o PET, che viene utilizzato nelle bottiglie o nei blister
  2. Il polietilene ad alta intensità, con cui si fanno i flaconi della detergenza, i tappi e i giocattoli
  3. Il polietilene a bassa intensità, con cui si fanno film e pellicole e da cui derivano anche sacchetti e buste
  4. Il polipropilene, con cui si fanno oggetti per casalinghi, barattoli e flaconi
  5. Il PVC, utilizzato per gli infissi e i tubi dell’edilizia
  6. Il polistirolo, che va nelle stoviglie usa e getta e nei contenitori che devono mantenere il fresco.

Ciascuno di loro ha una caratteristica particolare: il PET, per esempio, ha una ottima barriera contro l’ossigeno e anche l’acqua gassata resiste per un certo numero di settimane.

Ogni comune ha una sua politica sulla raccolta e spesso non si sa in quale cassonetto buttare un rifiuto spostandosi da comune a comune: come mai non c’è una normativa nazionale uniforme?

Perché il comune delega alla municipalizzata la raccolta. Abbiamo scoperto, per esempio, che nei sette comuni dell’isola d’Elba ci sono quattro differenti raccolte differenziate. Questo perché, legati a ogni tipo di raccolta, ci sono costi diversi e le varie municipalizzate si organizzano come meglio credono. Noi abbiamo tentato di armonizzare la raccolta, ma poi si entra nella facoltà decisionale dei singoli comuni.

foto Corepla

Il cittadino però è quello che perde sempre: non solo paga la Tari ma deve attenersi a fare la raccolta differenziata a casa senza sgarrare (altrimenti viene multato). Mentre poi il comune viene remunerato da voi, voi dalle società di riciclo.

Ho posto questa domanda all’Anci, chiedendo di fornirmi una lista dei comuni che hanno ridotto la Tari perché i cittadini si sono comportati bene. La risposta è stata disarmante: su oltre 8000 comuni solo meno di dieci hanno ridotto la tassa. Però il problema è un altro: i sindaci (che io non invidio), che affrontano complessità elevate senza fondi, sono costretti a basare i loro introiti sulle tasse comunali. Noi abbiamo fatto un progetto con il comune di Potenza fornendo ai cittadini delle carte con microchip. Loro, facendo la raccolta differenziata e portando i rifiuti in alcuni eco-compattatori sparsi nella città, ricevono una riduzione della Tari. Sono consapevole del fatto che questo sia solo purtroppo un esempio.

Come si stanno comportando le imprese su questo fronte? Voi ogni anno premiate quelle più virtuose o quelle che presentano progetti di economia circolare interessanti.

Stiamo vivendo un cambio epocale: una volta le imprese utilizzavano le materie prime “seconde” solo se costavano meno delle materie prime vergini. Oggi è diverso: con il costo del petrolio così basso è chiaro che le materie prime seconde sono più costose. E quindi la scelta delle aziende è solo di sostenibilità. Le industrie sono disposte d investire in prodotti più costosi purché siano fatti di materia prima seconda, ma è altrettanto chiaro che le industrie dovranno entro il 2030 – se vogliono rispettare gli obiettivi ambizioni del Green Deal della UE –  fare uno sforzo di innovazione. Alcune di loro, più attente al mercato, stanno facendo dell’innovazione il loro nuovo campo di battaglia.

La plastica sta invadendo mari e oceani: ci sono interi continenti di plastica galleggiante e tantissimi fiumi in tutto il mondo sono letteralmente invasi da bottiglie. Cosa si può fare?

Secondo una ricerca dell’Università di Lipsia di alcuni anni fa, circa l’80% dei detriti che arrivano negli oceani provengono da 10 grandi fiumi mondiali come il Gange, il Niger, il Nilo e dai fiumi del sud est asiatico. Noi ci siamo chiesti perché non controllare lo stato di salute anche dei corsi d’acqua nostrani e verificare cosa si trova nei fiumi, cercando di capire i trend delle cattive abitudini. E così abbiamo cercato di recuperare i rifiuti di Tevere e Po. Se quest’ultimo ha dato risultati positivi e abbiamo raccolto solo il 30% di quello che avremmo dovuto raccogliere in base all’algoritmo, sul Tevere a Fiumicino invece abbiamo raccolto molto di più: circa 2300 kg di rifiuti galleggianti.
La plastica non cammina da sola e, se c’è una raccolta differenziata potente, i fiumi rimangono puliti. E comunque, i rifiuti plastici, se rimangono in acqua dolce, possiamo ancor pensare di riciclarli. Quando arrivano nel mare, con l’acqua salata che corrode, i prodotti diventano non più riciclabili. Ecco perché è importante interrompere subito il flusso che porta a mare i rifiuti.

plastica in mare

Foto di Cristian Palmer / Unsplash

Pensando a fiumi ben più lunghi (Gange, Nilo) e a paesi più poveri viene da dire che recuperare la plastica in quei luoghi sembra molto difficile e costoso. E’ così?

E’ un problema serio ma non abbiamo vie d’uscita. Finché c’è un cattivo comportamento del consumatore, il rifiuto va intercettato prima che arrivi al mare. Noi con questa sperimentazione vogliamo indicare una strada. Poi saranno i governi dei vari paesi a rendersi attivi. Gli imballaggi di plastica, dal punto di vista della sostenibilità, se riciclati hanno un impatto minore, anche come costi. Dobbiamo quindi fare in modo che queste plastiche vengano al più presto possibile raccolte e riciclate.

Un altro problema correlato a questo è quello delle microplastiche che minacciano flora, fauna e l’ecosistema in generale, e che si trovano ormai anche in luoghi prima impensabili come i laghi alpini o i ghiacciai.

Quello delle microplastiche è un problema complesso perché andarle a recuperare è ancor più difficile. Anche qui stiamo valutando una sperimentazione. Con una start up pugliese stiamo mettendo a punto un filtrino per i motori delle barche in grado di intercettare le microplastiche durante la fase di pompaggio dell’acqua per il raffreddamento che poi vengono rigettate in mare dopo aver assolto a questo compito.

Il problema sta probabilmente a monte (nella politica mondiale e nella produzione): ma noi cittadini nel nostro quotidiano cosa possiamo fare per ridurre il consumo di plastica o la dispersione nell’ambiente?

Quello che il cittadino deve fare assolutamente è la raccolta differenziata. Senza quella non sono possibili nemmeno i passaggi successivi. Il governo poi dovrebbe far rispettare quella legge varata dall’allora governo Renzi (Green procurement) che prevede che la PA nei propri acquisti privilegi quelli cosiddetti verdi. Legge che non ha mai avuto i decreti attuativi. In sostanza basterebbero meno parole e più fatti.

Esiste o potrà esistere una vera alternativa alla plastica?

Se pensiamo in termini di maggiore sostenibilità, ad oggi no. Non c’è prodotto più facile da riutilizzare della plastica.


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Antonello Ciotti

Presidente del consorzio Corepla