Wise Society : Outdoor education: come imparare all’aria aperta
Wise Incontri

Outdoor education: come imparare all’aria aperta

di Maria Enza Giannetto
22 Giugno 2020

Il professore Alessandro Bortolotti, esperto di scuola all'aperto, spiega quali sono le basi che valorizzano lo spazio esterno come ambiente di apprendimento

Scuola al tempo del Coronavirus. Per il ritorno tra i banchi di scuola, a settembre, si avanzano ipotesi tra le più svariate. Si parla di Dad, distanziamento, plexiglas, mascherine ma anche di Outdoor Education. Ed è proprio sull’educazione aperto che si concentra, ormai da anni, la ricerca di Alessandro Bortolotti professore dell’Università di Bologna dove coordina il Corso di Laurea Magistrale in Management delle attività motorie e sportive e dove insegna Pedagogia speciale e Prasseologia Motoria proprio con riferimento all’OE. «Diciamo che negli ultimi mesi l’OE è sulla bocca di tutti, ma il nostro gruppo, coordinato dal professore Roberto Farnè se ne occupa ormai da più di dieci anni», spiega il professore bolognese, che si augura non se ne discuta solo come moda educativa del momento. «Di sicuro, il Covid-19 ha posto il sistema scolastico italiano di fronte a una grande sfida e forse anche a un’opportunità di cambiamento. Spero solo che si consideri la “scuola all’aperto” come un modo serio di fare educazione per il quale bisogna essere formati, come insegnanti, educatori e pedagogisti».

Bambini all'aria aperta

Foto: 123RF.com

Professor Bortolotti, cos’è l’Outdoor Education?

L’OE è l’insieme di teorie e pratiche dell’orientamento pedagogico che valorizza lo spazio esterno nelle sue diverse configurazioni come ambiente di apprendimento. È un metodo, un modo di fare, uno spirito che propone un cambiamento nel modo di pensare e di fare educazione grazie al quale non solo il bambino, ma anche l’adulto scopre e allarga gli orizzonti e le potenzialità dell’apprendimento/insegnamento. Educazione all’aperto, infatti, significa soprattutto educazione attiva, disposta ad assecondare la curiosità di tutti: bambini, ragazzi e adulti. Inoltre, l’educazione all’aperto deve essere capace di adattarsi alle proposte del territorio. In questi anni mi sto occupando molto di formazione in varie regioni di Italia e quello da cui parto sempre è l’approccio che possiamo anche condividere e rimodulare, ma che poi deve essere sviluppato in autonomia dall’insegnante e dalla scuola, adeguandolo al proprio territorio e a quello che offre.

Per fare Outdoor Education deve necessariamente esserci un parco o un bosco?

No, niente affatto. Quando si pensa all’OE, in molti pensano subito alla Scuola in Natura. In realtà, anche se è una forma bellissima, quella della Natura è solo uno degli aspetti, o meglio, delle possibili varianti della scuola all’aperto. Ripeto che scuola all’aperto significa innanzitutto scuola attiva, dove si impara seguendo anche le aspettative dei bambini. Sicuramente stare nel verde è una variabile meravigliosa, perché i bambini hanno l’occasione di apprendere attraverso tutti i sensi, ma limitarsi a parlare di natura, non è inclusivo. Io vengo da un passato nel mondo della scuola secondaria e conosco bene i limiti economici delle scuole pubbliche, quindi ritengo che parlare di Scuola in Natura come unica opportunità di scuola all’aperto sia limitativo perché taglia fuori le scuole che non hanno accesso a parchi, boschi e campagne. La mia idea di educazione all’aperto si basa sul dialogo con il territorio e sul trovare percorsi adatti a tutti, anche ai bambini che vivono al centro di città popolose.

Da cosa bisogna partire, quindi, per avviare progetti di Outdoor Education?

Dalla creatività, dagli stimoli e dalle relazioni. È importante che l’insegnante si ponga come elemento di mediazione all’interno di un triangolo che comprende anche l’alunno e il territorio. Attraverso l’instaurazione di relazioni, e con un approccio interdisciplinare, si risveglia la creatività e si attivano stimoli che possono portare a innovazione e risultati importanti. Fare scuola nei teatri, nelle biblioteche, mettere in relazione i bambini della scuola dell’infanzia con i nonni nelle case di cura: sono tutti modelli possibili da perseguire. L’importante è farsi guidare dalla curiosità, da ciò che offre il territorio e capire anche dove vuole andare il bambino.

A che stadio siamo, oggi in Italia, nel campo dell’educazione all’aperto?

Siamo praticamente ancora agli esordi. A livello istituzionale, il nostro gruppo di ricerca universitario si occupa anche di formazione e facilitazione verso le scuole e i gruppi interessati. Non si può non citare, inoltre, l’esperienza della rete “Scuole all’Aperto” che mappa una trentina di scuole in diverse parti d’Italia e che vede come caposcuola l’Istituto Comprensivo 12 di Bologna. In queste realtà si aderisce ad un protocollo condiviso che prevede tutta una serie di azioni e di impegni programmatici a contatto diretto con l’ambiente esterno. Siamo ancora lontani nel nostro Paese, però, dalle esperienze dei paesi scandinavi e dalla Scozia – dove io mi sono specializzato – che hanno reso l’OE un modello ormai piuttosto consolidato. I motivi sono davvero misteriosi, perché rispetto alle proposte che sento oggi, non solo sarebbe più salubre, ma farebbe anche risparmiare. Oltretutto noi abbiamo un clima migliore! Eppure si guarda all’OE con diffidenza. Si tratta di questioni culturali, insomma.

Foto: scuoleallaperto.com

Lei ha pubblicato anche il libro “Outdoor Education. Storia, metodi ed ambiti”. Di cosa si tratta?

È un libro per addetti ai lavori. Oltre a parlare di esperienze e metodi, in pratica, invito educatori e insegnanti a intraprendere un attento approfondimento per evitare semplificazioni e banalizzazioni nel fare scuola oltre la soglia dell’aula. Quello che sottolineo, nel testo come nella formazione in genere, è che non basta certo uscire dall’aula per fare OE, ma occorre considerare che “uscire” significa anche pensare e pianificare una scuola attiva e centrata sui bisogni dei bambini. L’OE può offrire una marcia in più a livello di sviluppo personale e motivazione ma per farlo deve esserci alla base una struttura solida, e occorre un notevole cambiamento, un vero e proprio “salto”, nei processi d’insegnamento.

Quali consigli darebbe oggi a chi volesse organizzare didattica all’aperto?

Innanzitutto pianificare nel dettaglio il progetto e trovare una cornice di riferimento senza cercare di improvvisare. Per il resto, bisogna entrare nell’ottica che si può sempre uscire, con ogni tipo di meteo, sfruttando gli spazi esterni per farsi sorprendere dalle curiosità e poi riflettere insieme. Accompagnati adeguatamente, incuriositi, ascoltati, i bambini danno sempre spunti fantastici, e il lavoro dell’insegnante diventa così ben più leggero e significativo.

© Riproduzione riservata
Altri contenuti su questi temi: ,
Continua a leggere questo articolo:
CONOSCI IL PERSONAGGIO

Alessandro Bortolotti

Professore esperto di Outdoor Education