L’ingegnere, architetto, e direttore del MIT SENSEable City Lab, parla di smart city e di migliore qualità di vita, grazie al Web e alla lezione dei classici
Il futuro sembra conoscerlo bene Carlo Ratti. L’ingegnere e architetto torinese, direttore del MIT SENSEable City Lab, studia le tendenze e le dinamiche delle città del futuro, quelle che contraddistingueranno il nostro domani, basandosi sui dati di oggi. Così è possibile comprendere quali azioni e soluzioni vadano intraprese per migliorare le realtà urbane e assicurare una migliore qualità della vita a chi le abita. Al Milano Arch Week ha parlato di smart city, di auto a guida autonoma, di car sharing: su quest’ultimo punto ha affermato che se tutti coloro che si spostano in auto in città condividessero i loro spostamenti, si riuscirebbe a soddisfare le esigenze complessive di mobilità con un quinto delle auto circolanti oggi. Non è una battuta, ma le evidenze di studi e ricerche. Ratti studia il futuro, partendo anche dalla conoscenza della storia e di alcuni dei suoi personaggi più autorevoli, dalla scienza alla letteratura: nella lecture al Politecnico di Milano cita Leon Battista Alberti, uno dei padri dell’architettura, ma anche Italo Calvino: proprio il personaggio di un suo libro, Palomar, è alla base di un’idea per il supermercato del domani ma che ha già assunto le fattezze concrete che si sono potute vedere nel padiglione Coop a Expo 2015.
Carlo Ratti, qual è la lezione più importante che ci lasciano i grandi maestri dell’architettura sul ruolo dell’uomo nella realtà urbana?
Ci sono tanti approcci all’architettura. Quello che prediligo è la visione di Leon Battista Alberti e il suo mettere al centro la persona, il suo partire dall’esperienza e attorno a essa costruire lo spazio. Oggi questa visione sta tornando a essere importante grazie al digitale, che ci permette di creare nuove esperienze e nuovi spazi.
Si parla spesso di big data… come può essere di aiuto nel migliorare la qualità della vita?
Big data vuol dire conoscenza. È una dimensione, quella del mondo dei dati, da sempre presente. Un grande architetto e urbanista francese dell’era moderna affermava che uno non può pensare a una città se prima di progettare non ha fatto la raccolta dei dati. Oggi la loro quantità è tale da mettere in atto cose impensabili rispetto solo a qualche anno fa. Per esempio, ci permettono non solo di conoscere la città, il suo funzionamento, ma anche la vita al suo interno, il suo “metabolismo”.
È possibile coniugare la tecnologia con l’attenzione al verde?
Certo. Ricordo, per esempio, collaborazioni a Milano, col giardino verticale per Cafè Trussardi (progetto nato dalla collaborazione tra lo studio guidato da Ratti e l’inventore del giardino verticale Patrick Blanc) e a Cavezzo, il comune emiliano maggiormente colpito dal sisma (che ha visto sorgere un nuovo polo scolastico, realizzato a cura sempre dello studio di Carlo Ratti e selezionato da Renzo Piano quale piano del progetto Learning Garden – nda). Stiamo portando avanti un progetto di intelligenza artificiale per la mappatura degli alberi in tutte le città del mondo: si chiama Treepedia. Un esempio, questo che vede in primo piano la tecnologia, che ci permette di conoscere meglio il verde, ma anche di portarlo dove prima non era possibile. La città dell’inizio del XX secolo era immaginata proiettata nella campagna; c’è un saggio di fine Ottocento, a cura dell’urbanista Ebenezer Howard, intitolato “Garden cities of To-morrow” che la prefigurava proprio così. Oggi possiamo pensare a un percorso inverso, ossia portare la campagna in città: pensiamo alla possibilità offerta dagli orti urbani, quindi alla possibilità di produrre cibo in città non tanto o solo per soddisfare le esigenze alimentari, quanto per ritrovare il piacere del contatto con la natura.
Quali sono le principali evidenze e risultati ottenuti presso il MIT Senseable City Lab, da lei fondato nel 2004 e diretto?
Abbiamo seguito e realizzato molti progetti nel corso degli anni: dalla mappatura dei flussi di traffico all’ideazione di soluzioni quale la “Copenhagen Wheele”, ruota applicabile a qualsiasi bicicletta, contenente una batteria elettrica che raccoglie l’energia in frenata e la restituisce come riserva a richiesta (nominata “Best Inventions of the Year” dalla rivista Time); ricordo inoltre “Live Singapore“, dove la tecnologia e la circolazione delle
informazioni in tempo reale possono permettere una miglior gestione spazio-temporale. Il denominatore comune è dato dal fatto che ogni progetto contiene uno spunto per avviare una discussione nella città.
Quindi non più solo la visione di un solo architetto…
Credo che la città del domani non debba essere pensata come nel Novecento da un “novello Prometeo”, ossia un’unica persona che progetta un intero quartiere o un’area ancora più ampia, senza però preoccuparsi di quello che pensano i cittadini. Piuttosto la progettazione urbana deve essere immaginata in una visione più collaborativa che, partendo da uno spunto, possa avviare una conversazione. Quello che mi ha più sorpreso in tutti i nostri lavori è la voglia di partecipazione dei cittadini che, riflettendo su uno spunto progettuale, cercano di trasformarlo in una nuova condizione urbana.
Quale sarà la tecnologia protagonista del prossimo futuro?
Penso che l’Internet delle cose sia destinato a durare per diversi anni, quale “seconda ondata” di internet, di cui la prima è stata il digitale. L’IoT è entrato nelle città e resterà con noi per un po’: sarà una delle cose più interessanti anche per le implicazioni relative, anche dal punto di vista dell’architettura e dell’urbanistica.