Lo chiamano così per la resistenza e la versatilità ed è un materiale da costruzione che ha grandi chance di sviluppo anche nel nostro Paese. Come racconta un architetto che lo utilizza da sempre: Mauricio Cárdenas Laverde
Sfatiamo subito un luogo comune: il bambù non è sinonimo di edilizia esotica o mobile etnico di gusto orientale, ma un materiale che offre opportunità di ricerca e sperimentazione di alto livello architettonico e ingegneristico. E, parola di Mauricio Cárdenas Laverde, architetto nato in Colombia e dal 2004 titolare di uno studio professionale a Milano, si candida a diventare uno dei protagonisti dell’architettura contemporanea e futura. Il segreto per costruire con il bambù, secondo Cárdenas che con questo materiale lavora da anni, è conoscerne la natura e saperne valorizzare a pieno le caratteristiche meccaniche ed estetiche.
Senza dimenticare quelle legate alla ricaduta sociale, in particolare nelle regioni più povere del pianeta, che derivano dall’utilizzo di un prodotto naturale ed ecosostenibile facile da lavorare a basso costo. Un approccio che ben rispecchia il concetto di “Conscious Design”, progettazione consapevole, caro all’architetto di origine colombiana, che mette in un’unica cornice il rispetto dell’ambiente, la lotta ai gas serra e all’inquinamento e il contributo allo sviluppo delle aree svantaggiate.
Come mai ha scelto di lavorare con il bambù?
L’uso di questo materiale deriva dal mio percorso professionale e di formazione, legato anche alla mia tesi di laurea in Colombia, nella regione Cafetera: lì la pianta di bambù cresce spontaneamente, arrivando a dimensioni eccezionali (30 metri di altezza e diametro di 20 centimetri) e viene spesso utilizzata nelle costruzioni locali. Il fatto di vivere e lavorare in Italia mi ha permesso, poi, di approfondire anche altre tecniche costruttive basate su vetro, acciaio, terracotta e altri materiali. Sono due percorsi paralleli che a un certo punto si sono incontrati.
Tradizionalmente, il bambù è utilizzato nei Paesi dove la manodopera specializzata non è costosa, le tecniche di costruzione sono diffuse e le normative lo consentono maggiormente rispetto a quelle italiane. Ora il mio obiettivo è portare il bambù, prodotto perfetto della natura, al livello degli altri materiali più consueti, per esempio all’interno di sistemi costruttivi che utilizzano anche acciaio e vetro. Il bambù, in fondo, è considerato anche un sorta di “acciaio vegetale“.
Quali sono le caratteristiche del bambù?
Il bambù ha il vantaggio di crescere molto velocemente anche alle latitudini europee, è la pianta che assorbe più ossigeno e carbonio durante il ciclo di vita, con le radici evita l’erosione del suolo, può essere utilizzato per produrre artigianato, design, architettura e costruzioni, finiture, è commestibile come vediamo nei piatti della cucina orientale.
È versatile ed esteticamente bello, personalmente non vedo perché non possa essere considerato utile anche nel contesto italiano, quanto il legno lamellare. In questa fase di maggiore sensibilità ambientale è ora che fra i materiali di riferimento rientri anche il bambù, io lavoro per questo.
C’è attenzione, su questo, da parte del mercato italiano?
In Italia attualmente sono attivi vivaisti o importatori ma sono già coltivate anche specie locali di bambù nel Bresciano e in regioni come Liguria, Sicilia e Calabria, stiamo vivendo la stessa situazione del legno lamellare quindici anni fa, quando mancavano produttori nazionali e non esistevano normative specifiche, mentre oggi ci sono già aziende che mi stanno contattando perchè vogliono lavorare con questo materiale, e presto arriveremo a una scheda tecnica specifica.
Come tutte le novità poco conosciute servirà tempo per permettere ai committenti di imparare a percepire come un pregio anche i difetti naturali del bambù, come una macchia, una piccola fessura, un nodo. Inoltre lavorare con il bambù porta a modificare l’iter progettuale, perché le esigenze sono diverse e richiama consulenti non tradizionali, come gli esperti di botanica e di sostenibilità a tutto campo. Tenere conto delle tolleranze del bambù insieme con quelle degli altri materiali come vetro e acciaio cambia la mentalità e l’approccio alla progettazione.
Un’attenzione che io trovo molto gradevole, perché a differenza di un modo di lavorare frenetico per consegnare velocemente un progetto, magari già pronto e tirato fuori dal cassetto, lavorare con il bambù vuol dire continua creazione, miglioramento e ripensamento. Un boccata di ossigeno.
Come si usa e si lavora il bambù nell’edilizia?
Innanzitutto non parliamo di un albero, ma di una pianta particolare che fin dalla crescita e dalla selezione di quali fusti tagliare (da un’unica famiglia di origine) richiede una preparazione specifica e approfondita. Solitamente in tre anni le piante sono già mature per essere lavorate, anche se in Italia i tempi di crescita sono più lunghi e possono arrivare a dieci anni per le diverse caratteristiche climatiche rispetto ai Paesi asiatici.
Una volta tagliato deve essere essiccato, il metodo naturale sfrutta il sole con un’esposizione di tre settimane, e occorre proteggerlo da insetti e funghi con diversi tipi di trattamento, chimici o naturali. L’ideale è l’utilizzo di trattamenti naturali, anche se riducono in parte la durabilità che rimane comunque da 15 anni in su contro i 30 di quelli chimici, con esempi di edifici realizzati che hanno più di 150 anni.
Questo punto è molto importante per il lavoro dell’architetto: se si progetta una struttura che dura 20 anni anziché 40 si deve permettere che i pezzi siano sostituibili, quindi facilità di montaggio-smontaggio e leggerezza diventano molto importanti.
Ci fa un esempio di studio interessante sul bambù applicato all’abitare?
Abbiamo studiato un sistema costruttivo per abitazioni low cost nei Paesi situati sull’anello tropicale del pianeta, dove si concentra la maggiore povertà. Dal taglio del fusto della pianta ricaviamo i moduli per le pareti, le travi a traliccio naturali, e i pilastri. A questi aggiungiamo la terra, altro materiale naturale, con la quale riempiamo i blocchi assicurando stabilità statica e ottimo isolamento termico e acustico.
Potrebbe essere immediatamente utilizzabile?
Basta un giardino di 9 metri quadrati di terra su tre dei quali coltivare il bambù che poi sarà utilizzato per la costruzione della casa. Con la crescita costante del bambù e la sua vendita è possibile incrementare nel tempo la dimensione del lotto di partenza, garantendo anche una autosufficienza economica.
In Italia si parla molto di social housing per la costruzione di case a basso costo, il bambù può essere una risorsa anche in questo ambito?
Sicuramente. Anzi, bisogna considerare i nuovi edifici anche dal punto di vista della possibilità di uso del bambù, pensiamo a strutture orizzontali o solai collaboranti, ai pannelli portanti. Il bambù ha una fibra paragonabile a quella di carbonio per resistenza, per svilupparne il mercato basterebbe per esempio che le aziende produttrici di pannelli di legno dessero il via alla ricerca e sviluppo anche dei pannelli di bambù. Ma il problema resta soprattutto di approccio psicologico.
Lei ha sperimentato altri materiali inediti oltre al bambù?
Ho utilizzato l’acqua come involucro esterno per il progetto di un padiglione galleggiante sul Tamigi a Londra, nel 2008, con la consulenza della società di ingegneria Buro Happold: l’idea era di riciclare una chiatta e trasformarla in un dispositivo di potabilizzazione dell’acqua che la reimmette nel fiume a fine ciclo come una fontana. All’interno trovano sede due piani espositivi, mentre le pareti esterne d’acqua sono contemporaneamente filtro acustico, protezione solare e, con acqua tiepida, fonte di climatizzazione interna. Un progetto ancora sulla carta ma per il quale siamo arrivati al livello esecutivo, quindi fattibile al cento per cento.