Uno studio pubblicato sulla rivista Science rivela che l’incremento della densità di vegetazione in alcune zone boreali ha provocato un aumento delle temperature.
A nessuno, finora, è mai venuto in mente di considerarle potenziali «nemiche» del Pianeta. Le piante, vista la capacità di nutrirsi di anidride carbonica in cambio del rilascio di ossigeno nell’atmosfera, sono sempre state considerate un antidoto efficace al riscaldamento globale, legato anche all’aumento della concentrazione di carbonio nell’aria. Ma la realtà potrebbe essere diversa, stando a quanto riportato in uno studio pubblicato su «Science». L’aumento della superficie fogliare registrato nell’ultimo trentennio potrebbe infatti non essere così d’aiuto, se nell’analisi di quanto accaduto in tre decenni i ricercatori hanno osservato un effetto duplice e opposto. Se nelle aree semiaride s’è assistito a una riduzione delle temperature, lo stesso non è avvenuto nelle zone boreali (dove il termometro è stato rilevato in ascesa).
Aumento della vegetazione: il trend degli ultimi anni
Ricorrendo all’analisi di immagini satellitari e a proiezioni modellistiche, gli scienziati hanno avuto conferma di quella che era la loro ipotesi. L’area fogliare, una grandezza che misura la quantità di foglie per unità di superficie del suolo, è cresciuta in maniera costante dal 1980 a oggi. Il processo è dovuto in primis all’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera. Partendo da quanto riscontrato, sono state poi osservate le due reazioni divergenti. Come spiega Giovanni Forzieri, ricercatore della Commissione Europea e primo firmatario della pubblicazione, «in alcune zone boreali l’aumentata densità di vegetazione ha provocato un aumento delle temperature. Il fenomeno è dovuto allo scurimento della superficie terrestre da parte delle foglie e a un conseguente maggior assorbimento di radiazioni solari. L’effetto risulta più marcato in presenza di neve, perché più foglie tendono a mascherare maggiormente la copertura altamente riflettente della neve».
Trend opposto quello registrato nelle aree semiaride, dove il raffreddamento rilevato in trent’anni è stato di circa 1,5 gradi. Questo è lo scenario appartenente, per esempio, al Mezzogiorno italiano. Un riscontro che conferma una volta in più l’esigenza di compiere valutazioni più approfondite, prima di tirare le somme sull’effetto che la vegetazione può avere sul riscaldamento del Pianeta, dal momento che per il Sud è stato agitato a più riprese lo spettro della desertificazione.
Secondo Forzieri, affiancato nella ricerca da un altro collega italiano (Alessandro Cescatti) e da due scienziati dell’ateneo belga di Ghent (Diego Miralles e Ramdane Alkama), «quanto osservato è il frutto dell’analisi dei processi biogeochimici innescati dalla vegetazione sul clima. Come tali si considerano la capacità della vegetazione di assorbire anidride carbonica e dunque di raffreddare il pianeta. In questo caso lo spazio di ricaduta è globale e gli effetti temporali possono essere ritardati anche di decenni».
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