A rischio una superficie marina più grande della Sicilia. Greenpeace, WWF e Legambiente chiedono al Parlamento di cancellare l'articolo 35 del decreto “Cresci Italia” e di puntare seriamente sulle rinnovabili
Settanta nuove piattaforme petrolifere minacciano il nostro mare e legano ancora una volta le politiche energetiche italiane alle fonti fossili. A lanciare l’allarme sono Greenpeace, WWF e Legambiente. Le tre associazioni ambientaliste hanno lanciato l’allarme nel corso di un convegno organizzato al Senato dal titolo “Trivelle d’Italia”. Obiettivo dell’iniziativa: chiedere al Ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera la cancellazione dell’articolo 35 del decreto “Cresci Italia”(d.l. 83/2012).
Perché quell’articolo espone a rischio trivellazione una superficie marina più grande della Sicilia e costituisce una sanatoria non solo dei titoli acquisiti dai petrolieri al giugno 2010 ma anche delle istanze di prospezione e di ricerca in mare nella fascia di interdizione delle 12 miglia, mettendo a rischio le aree protette e le zone litoranee di pregio. L’Italia, secondo i promotori dell’incontro dovrebbe invece scommettere su una strategia energetica nazionale che non rilanci le fonti fossili, ma punti decisamente su efficienza e rinnovabili. Sono stati messi in evidenza tutti i problemi ambientali ed economici legati a questa scelta, oltre alle scarse riserve di petrolio presenti in Italia e alle royalties irrisorie con cui le compagnie petrolifere spingono alla corsa all’oro nero.
Il decreto “Cresci Italia”, infatti, estende a tutta la fascia costiera la zona off limits delle 12 miglia per le nuove richieste di estrazione di idrocarburi a mare, ma fa anche ripartire tutti i procedimenti per la prospezione, ricerca ed estrazione di petrolio che erano stati bloccati nel giugno di due anni fa dal decreto legge n. 128/2010 approvato dopo l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico.
I quantitativi di petrolio in gioco sono, però, davvero risibili. Allo stato attuale, la produzione italiana di petrolio equivale allo 0,1% del prodotto globale e il nostro Paese è al 49esimo posto tra i produttori. Secondo le ultime stime del ministero dello Sviluppo economico ci sarebbero nei nostri fondali marini 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe. Stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane. Non solo: anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi. Questi dati dimostrano l’assoluta insensatezza del rilancio delle attività estrattive previsto dalla Strategia energetica nazionale abbozzata dal ministro Passera e della spinta verso nuove trivellazioni volte a creare secondo i proponenti 15 miliardi di euro di investimento e 25 mila nuovi posti di lavoro.