Wise Society : Anna Reggio: «In caso di sisma prevenire è isolare»
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Anna Reggio: «In caso di sisma prevenire è isolare»

di Andrea Ballocchi
5 Novembre 2015

L'ingegnere specializzato in isolamento sismico racconta come questa disciplina comprenda diverse soluzioni per rendere un edificio meno esposto ai rischi di un terremoto. Ma in Italia non ha ancora trovato adeguato spazio

image by iStockCon la legge di stabilità si è tornato a parlare della proroga degli ecobonus, ma solo marginalmente delle misure per la riqualificazione sismica, oltre che energetica, degli edifici, che pure sono contenute nelle disposizioni. Ciò è strano, in un Paese, l’Italia che, con la Grecia, è il più esposto a rischio sismico in Europa.

Eppure ci sono soluzioni per mettere in sicurezza non solo nelle nuove costruzioni, ma anche in quelle già esistenti: «Negli anni Venti il grande architetto Frank Lloyd Wright fu chiamato a progettare un hotel a Tokyo. Adottò misure antisismiche estremamente innovative e originali e ricordò con queste parole l’intuizione ispiratrice: “Perché combattere un terremoto? Perché invece non entrare in sintonia con esso e superarlo in astuzia? Perché non ricorrere a un’estrema flessibilità invece della massima rigidezza? È sorprendente pensare che questa stessa intuizione si ritrovi oggi alla base della filosofia progettuale dell’isolamento sismico». A ricordarlo è Anna Reggio, ingegnere strutturale dell’Università Sapienza di Roma e AXA research post-doc fellow, durante il convegno Axa intitolato “I nuovi rischi emergenti per il pianeta e i suoi abitanti”. In tale occasione ha illustrato cos’è l’isolamento sismico, soluzione che – spiega la ricercatrice – fa parte delle tecnologie innovative di controllo strutturale, «che consentono di modificare la risposta dinamica di una struttura (ad esempio, un edificio o un ponte) all’azione di un terremoto, in modo da contenerne i danni.»

Cosa succede a un edificio convenzionale e a uno isolato sismicamente durante un terremoto?

Il primo, vincolato rigidamente al suolo, subisce un moto di trascinamento che genera su di esso delle forze estremamente intense, responsabili della sua deformazione e del suo danneggiamento fino all’eventuale collasso. Il secondo edificio conta, alla base della struttura, di speciali dispositivi, chiamati appunto isolatori sismici, estremamente flessibili in direzione orizzontale. L’effetto che si ottiene è quello di disaccoppiare la struttura dal moto di trascinamento esercitato dal terreno. Il movimento relativo struttura-terreno si concentra in corrispondenza del sistema di isolamento sismico e, al di sopra di esso, l’edificio subisce minime deformazioni e accelerazioni. Il risultato che così si ottiene è quello di ridurre drasticamente i danni, strutturali e non, sull’edificio, preservandone la piena funzionalità anche nella fase immediatamente successiva al sisma

I vantaggi quindi, sono quelli di mantenere in piedi e in buono stato l’edificio…

Sì, ma non solo. Oltre a prevenire i danni alla struttura, si evitano anche quelli agli elementi non strutturali presenti nella costruzione: tamponature, pareti vetrate, pannelli di tramezzatura, ma anche impianti e apparecchiature e tutti i beni contenuti. Pensiamo a costruzioni con elevato valore tecnologico come un centro di elaborazione dati: in questo caso, più che la struttura, certamente importante, il valore maggiore è proprio dato da ciò che vi è contenuto.

A livello progettuale l’isolamento è possibile prevederlo solo in nuove costruzioni?

No. È possibile inserirlo sia nel nuovo sia nell’esistente con operazioni di adeguamento e miglioramento sismico.

E in termini di costi, occorre prevedere un incremento di spesa?

Nei casi di nuova costruzione non si prevede un aumento di costo perché la voce di spesa che deriva dalla installazione degli isolatori sismici viene compensata da un risparmio sulla costruzione della struttura che, destinata a sostenere forze sismica di intensità inferiore grazie a quell’accorgimento, potrà essere dimensionata in modo più economico rispetto a un edificio convenzionale. Sempre dal punto di vista dei costi non si dovrebbe solo considerare quello della realizzazione dell’edificio isolato, ma occorrerebbe fare un’analisi sull’intero ciclo di vita dell’edificio, sommando alla costruzione anche quelli probabili – ma considerevoli – legati a un evento sismico.

Esistono già simili realizzazioni in Italia?

Sì. Penso, per esempio, al progetto C.a.s.e. a L’Aquila, moduli abitativi previsti per la popolazione sfollata a seguito del sisma e realizzati su piattaforme isolate sismicamente. Le prime applicazioni risalgono agli anni Ottanta, ma la tecnologia non si è ancora diffusa Foto di Paolo Agnelli/Flickrcapillarmente. Le strutture di questo tipo sono per lo più pubbliche e strategiche: mi riferisco, per esempio, a tre ospedali realizzati negli ultimi dieci anni, a Udine, a Frosinone e a Napoli. Nel capoluogo campano, tra l’altro, il nuovo Ospedale del Mare – in corso di ultimazione – sarà la struttura isolata sismicamente più grande d’Europa.

Ma cosa manca perché ci sia uno sviluppo più diffuso di questo tipo di soluzioni?

Manca, forse, la sensibilità tra i progettisti con il risultato di limitate applicazioni nell’edilizia privata e residenziale. Senz’altro aiuterebbe nella diffusione della tecnologia anche un intervento pubblico di sostegno.

A livello di progettazione quali sono i limiti che si possono ravvisare?

Una delle difficoltà oggi in Italia discende dal fatto che la sensibilità sui problemi sismici è stata fatta propria dagli ingegneri strutturali, ma poco dagli architetti. Altrove non è così: per esempio, negli Usa già si è diffusa una disciplina di studio denominata earthquake architecture che cerca di orientare il progetto architettonico in modo tale da rispondere a criteri di maggiore sicurezza sismica. Nel nostro Paese, invece, si assiste a una sorta di discrasia tra il progetto strutturale antisismico e quello architettonico, spesso non rispondente a criteri antisismici. Bisognerebbe quindi cercare una maggiore coerenza tra i due aspetti.

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