Wise Society : L’educazione alimentare? Passa dalle emozioni

L’educazione alimentare? Passa dalle emozioni

di di Enrica Belloni
9 Aprile 2010
SPECIALE : Combattere l’obesità

Si chiama Food&School ed è un gruppo di professionisti che opera nelle scuole, per insegnare ai bambini a mangiar bene. Senza dare lezioni, ma con giochi, esperimenti e racconti

bambina che mangia pomodori

Foto di George Dagerotip/Unsplash

Prova a chiedere a un bambino quali cibi fanno bene; ti risponderà frutta e verdura. Poi offrigli un ventaglio di merende. Non prenderà la mela, ma le patatine. Un po’ come dire: ha imparato la lezione, ma non l’ha fatta sua. Chissà, forse ore di lezione non sono andate a segno. Ecco perché qualcuno ha deciso di insegnare in altro modo la sana alimentazione. “Spiegare in astratto cosa sono i grassi, le vitamine, la piramide alimentare non serve a molto, specie se si dettano informazioni, come se s’impartisse una lezione di geografia”, spiega Giorgio Donegani, nutrizionista e tecnologo alimentare, direttore scientifico di Food&School associazione che realizza progetti di educazione alimentare nelle scuole. «Il cibo è molto di più di un insieme di sostanze chimiche, buone o cattive. Mangiare è emozione, è piacere. E per educare i bambini al buon cibo (inteso come gustoso e sano) bisogna partire proprio da lì, dalle emozioni e dall’esperienza».

L’associazione Food&School da anni entra nelle scuole con progetti di educazione alimentare.«Non chiamatela alimentazione corretta, che fa pensare al sacrificio. Meglio alimentazione che ci fa stare bene, che ci soddisfa”, puntualizza Donegani.«È il nostro dogma. Se dai a tuo figlio la mela per merenda, durante la ricreazione andrà a mendicare le merendine dai compagni e si sentirà uno “sfigato”. Se invece parti dall’esperienza e  parli dei vari frutti, o t’inventi un albero, sul quale ognuno disegna il frutto che più gli piace (la fragola, la ciliegia, ma anche il mango e la papaya); se inviti i bambii a portare a scuola una varietà a loro scelta, crei una curiosità, un interesse. Senza pregiudizi, apriranno i frutti, li assaggeranno e scopriranno che sono buoni come se non più delle merende».

Durante gli incontri con i bambini gli operatori di Food & School non presentano disegni animati in cui le carotine spiegano quanto fanno bene («è un linguaggio improprio e superato che toglie credibilità all’adulto», dice Donegani); piuttosto in classe si gioca, creando un clima privo di preconcetti, dove non esistono giusto e sbagliato, ma si analizzano i cibi e le emozioni che ci legano a essi.

Educazione alimentare

Foto: Joson Photography/Corbis

Un esempio di attività è il gioco del se fosse. «Quando chiediamo ai bambini che alimenti vorrebbero essere, le risposte sono spesso indicative (e bellissime). Molti ci rispondono “la pasta, perché quando la mangiamo stiamo bene”; una bimba ha citato “la pizza, perché piace a tutti”, mentre un bimbo rumeno ha indicato una specie di rapa, che qui non si trova, “per farla conoscere ai miei amici italiani”. Un ragazzino ha parlato del pane con il lampredotto: perché “quando siamo in Toscana, vado a mangiarlo con papà e con lui sto sempre bene”. Tutto ciò fa capire come spesso nel cibo, e nelle scelte alimentari, si riversino i sentimenti, i ricordi, le aspettative (spesso legate alla pubblicità).

L’obiettivo, dunque, è aumentare la consapevolezza del bambino. Sbagliato dire l’ovetto di cioccolato fa male, perché il bimbo pensa “io l’ho mangiato e non mi è successo nulla, anzi sto meglio e tu mentivi”. Più corretto indurlo a chiedersi perché sceglie l’ovetto (sarà la sorpresa?) e spiegargli che può agire in altro modo, per esempio comprando un cioccolato altrettanto buono, ma meno caro, e tenendo via i soldi per un gioco vero. Poi gli si potrà indicare come scegliere le merendine, leggendo gli ingredienti. Le liste che cominciano con zuccheri e grassi sono più pesanti, e meno sane, di quelle che hanno tra i primi componenti la farina (che possono essere assimilate alla torta casalinga). Quando i bambini smascherano un prodotto, verificando che non corrisponde a quel che dichiara in pubblicità (per esempio si dice che è pieno di latte, ma ne contiene una piccola percentuale) reagiscono in modo molto severo.

Quanto alle bibite, funziona un esperimento pratico: una bevanda alla frutta, per esempio un’aranciata, contiene il 12% di succo, il resto è acqua. Chiediamo ai bambini di versare in una caraffa 8-9 bicchieri d’acqua e uno di succo e di assaggiarlo. Sarà una sorpresa scoprire che il sapore è molto simile all’acqua e molto diverso da quello delle bevande comuni, a cui sono stati aggiunti coloranti, zucchero, aromatizzanti. In questo modo si stimola lo spirito critico, che i piccoli sanno esercitare molto bene.

Tutti questi “giochi” permettono ai ragazzi di distinguere la fame fisiologica, da una golosità culturale o emotiva. Una volta capito che spesso non si mangia per appetito, sta a loro decidere se accettare passivamente quel che la pubblicità o il mercato propone o fare una scelta più attiva. E diventare consumatori più consapevoli.

 

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