Secondo l'Istituto Superiore di Sanità sarebbero almeno duecentocinquantamila per persone che hanno utilizzato per anni acqua potabile inquinata da queste sostanze.
Li abbiamo sentiti nominare spesso, negli ultimi tempi, con il loro acronimo: «Pfas», che sta per sostanza perfluoro alchiliche. Di cosa si tratta? Di sostanze chimiche di sintesi utilizzate principalmente per rendere resistenti ai grassi e all’acqua vari materiali come tessuti, tappeti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti. I due composti chimici più usati appartenenti a questo gruppo sono l’acido perfluoroottanoico (Pfoa) e l’acido perfluoroottansulfonico (Pfos). Per anni sono ampiamente impiegati in applicazioni civili e industriali, ignorando quelli che avrebbero potuto essere gli effetti per la salute. Una volta scoperti, poi, è partito il balletto delle responsabilità. Chi avrebbe dovuto controllare? Qualcuna delle autorità preposte ha sottovalutato l’allarme? Cosa fare adesso per ridurre l’esposizione della cittadinanza a queste sostanze attraverso l’acqua?
Pfas, l’esposizione alle sostanze perfluoro alchiliche
Questi composti – dotati di elevata persistenza nell’ambiente: possono essere trasportati a distanza dall’acqua e se presenti nell’aria ricadono sul suolo in un tempo stimato fino a un paio di settimane – possono essere trovati nell’aria, nel suolo e nell’acqua in relazione a produzione, uso e smaltimento dei prodotti che li contengono. Sono inoltre presenti nell’ambiente di lavoro delle fabbriche che li utilizzano.
Tra le possibili e diverse vie di assorbimento da parte dell’organismo umano, la via orale, tramite consumo di acqua potabile ed alimenti, è quella più significativa per la popolazione in generale. Veicolati dall’acqua, i Pfas nel tempo hanno contaminato anche la catena alimentare. Il monitoraggio condotto dall’Istituto Superiore di Sanità parla chiaro: sarebbero almeno duecentocinquantamila le persone che hanno utilizzato per anni acqua potabile inquinata da queste sostanze. Altre possibili esposizioni dell’organismo umano sono attraverso l’inalazione di aria contaminata, o attraverso l’ingestione o il contatto di polvere o suolo contaminato. In generale, però, i lavoratori in impianti che producono o usano i perfluoroalchili possono essere esposti a livelli più alti della popolazione generale.
Gli effetti sulla salute dei Pfas
Le sostanze perfluoroalchiliche tendono a rimanere a lungo immutate nell’organismo anche per molti anni. I dati presenti nella letteratura scientifica sulla tossicità di Pfos e Pfoa nell’uomo sono comunque ancora limitati e talvolta controversi. Detto ciò, i riscontri emersi suggeriscono comunque di adottare ove possibile il principio di precauzione.
Alcuni studi sui lavoratori esposti per via inalatoria per lunghi periodi non hanno evidenziato significativi effetti nocivi sulla salute direttamente correlabili, mentre altri studi, sempre su lavoratori esposti, hanno rilevato alterazioni dei livelli di ormoni sessuali e di colesterolo associati alle concentrazioni di Pfoa nel sangue. Ci sono invece alcuni studi su animali di laboratorio esposti che mostrano una tossicità acuta moderata con effetti sul tratto gastrointestinale e sul fegato, nonché effetti irritativi a livello oculare e cutaneo con livelli molto alti di Pfoa nell’aria o applicato sulla pelle.
Altri studi su animali mostrano effetti su fegato, sistema gastrointestinale e livelli di ormoni tiroidei, per esposizione cronica. Relativamente al rischio oncologico, i dati al momento disponibili non permettono di trarre conclusioni sull’uomo. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) sta comunque conducendo delle valutazioni sui composti perfluoroalchilici, a oggi non inseriti negli elenchi delle sostanze cancerogene di queste agenzie. Non molto di più si può dire per l’esposizione dei neonati attraverso il latte materno. Quanto all’esposizione nel corso della gravidanza, alcuni hanno lasciato intendere una possibile correlazione con il basso peso dei neonati alla nascita. Dati comunque non sufficientemente solidi per essere scolpiti nella pietra.
Le polemiche sull’aferesi
Il dibattito sull’inquinamento provocato dagli Pfas e sui suoi effetti sulla salute umana ha acceso anche lo scontro tra il Ministero della Salute e il presidente della Regione Veneto,Luca Zaia. Adesso, dopo un lungo scambio di schermaglie, le parti sembrano aver trovato un punto d’accordo: la gestione commissariale, che dovrebbe essere affidata allo stesso Zaia.
Negli ultimi giorni a far discutere è stata anche la scelta della Regione Veneto di sperimentare la plasmaferesi – la filtrazione del sangue normalmente utilizzata per prelevare le piastrine a scopo terapeutico – per la rimozione dal sangue di sostanze perfluoroalchiliche. Una procedura sicura e non invasiva, ma che in questo caso non risulta supportata dall’evidenza scientifica.
Secondo quanto riferito in maniera congiunta – dal Centro Nazionale Sangue, dalla Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia (Simti) e dal Comitato Interassociativo del Volontariato Italiano del Sangue (Avis, Cri, Fidas e Fratres) – la scelta adottata dal Veneto sarebbe dunque inutile, alla luce delle prove attualmente disponibili. Nel caso delle procedure di plasmaferesi terapeutica utilizzate in regione Veneto la finalità è quella di separare la componente liquida del sangue (il plasma) dalla componente cellulare rimuovendo così sostanze presenti nel plasma stesso, che viene sostituito da liquidi che servono per mantenere, a un livello normale, il volume totale del sangue circolante (volemia)
Twitter @fabioditodaro