Wise Society : Verso il divieto della distruzione dei vestiti invenduti

Verso il divieto della distruzione dei vestiti invenduti

di Paola Greco
21 Luglio 2023
SPECIALE : Moda tossica

I 27 Stati membri dell’UE propongono il divieto di distruzione di prodotti tessili nuovi e invenduti, e l’introduzione di un “passaporto digitale del prodotto” per rendere trasparente la filiera e l’impatto ambientale di ogni singolo capo

Stop al macero dei vestiti invenduti! Lo chiede il Consiglio dell’Unione Europea per il futuro “Regolamento Ecodesign”, riguardante la progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili. La nuova proposta aggiorna, modernizza e amplia la direttiva 2009/125/CE, estendendo i requisiti di sostenibilità ambientale a quasi tutti i tipi di merce immessi nel mercato UE e non più solo ai 31 gruppi di prodotti connessi all’energia (come per esempio veicoli elettrici, elettrodomestici o apparecchi per il riscaldamento, la ventilazione e il condizionamento dell’aria), con cui, secondo i calcoli della Commissione, sono stati risparmiati 120 miliardi di euro di spesa energetica ed è stato ridotto del 10% il consumo annuo di energia, risultati che Bruxelles punta a consolidare attraverso il nuovo Regolamento.

Vestiti invenduti

Foto Shutterstock

Regolamento Ecodesign: nuovi requisiti di sostenibilità

La proposta vuole rendere i prodotti sostenibili la norma nell’Unione Europea e a tale scopo definisce nuovi requisiti per renderli maggiormente durevoli, affidabili, riutilizzabili, migliorabili, riparabili, quindi più facili da gestire in termini di manutenzione, ricondizionamento e riciclaggio, nonché efficienti dal punto di vista energetico e delle risorse. Inoltre mira ad armonizzare la progettazione ecocompatibile nell’UE per gruppi di prodotti specifici, al fine di migliorarne in modo significativo la circolarità, la prestazione energetica e altri aspetti della sostenibilità ambientale. “Una misura che ci aiuterà a compiere un enorme passo in avanti verso modelli di business sempre più circolari” ha dichiarato la ministra svedese dell’energia e rappresentante della presidenza di turno del Consiglio Ebba Busch.

L’obiettivo è quello di porre un freno alla crescente tendenza delle imprese di produrre, importare e infine distruggere merci di varia natura senza che le stesse siano mai state, di fatto, utilizzate; pratica quest’ultima che porta a conseguenze per l’ambiente molto gravi.

Il settore tessile è sempre più insostenibile

Una delle aggiunte più ambiziose riguarda il settore della moda, il cui problema di sovraproduzione crea ormai da tempo non poche preoccupazioni: basti semplicemente pensare alla grandezza dei nostri armadi rispetto a quello dei nostri nonni. Nel dopoguerra le persone avevano uno o due vestiti per la settimana e “quello buono” della domenica; le calze, anche quelle di nylon, se si sfilavano non si buttavano ma si portavano a rammendare e le scarpe nuove si compravano solo quando quelle vecchie erano davvero troppo usurate e irrecuperabili.

Questi sono ricordi e racconti che ognuno di noi ha chiari nella mente, ma parliamo di numeri, in modo da dare una misura a tutto questo: secondo un report pubblicato dal Parlamento Europeo, ogni anno ciascun cittadino europeo consuma in media 26kg di prodotti tessili (il 40% in più rispetto agli anni ‘90) e ne smaltisce circa 11kg. Non solo: nel 2020, il settore tessile è stato la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo.

In quell’anno, sono stati necessari in media nove metri cubi di acqua, 400m² di terreno e 391kg di materie prime per abiti e scarpe di ogni cittadino dell’UE. Si stima che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile a causa dei vari processi a cui i prodotti vanno incontro, come la tintura e la finitura, e che il lavaggio di capi sintetici rilasci da solo ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari.

Sovraproduzione e invenduto

Questi sono dati davvero molto allarmanti. Ma se da un lato è vero che compriamo troppi abiti rispetto al passato, è altrettanto vero che non ne compriamo abbastanza rispetto a quelli che vengono fabbricati, soprattutto a seguito del rapido aumento delle vendite online, e queste enormi quantità di prodotti tessili, che non sono mai usciti dal negozio, sono destinati al macero.

Ed è proprio su questo che il Consiglio dell’Unione europea si è focalizzato, vietando che calzature e capi di abbigliamento invenduti, mai nemmeno arrivati negli armadi dei consumatori, vengano distrutti: oltre ad essere assolutamente insostenibile dal punto di vista ambientale, si tratta di una perdita di risorse economiche preziose, in quanto i beni sono prodotti, trasportati e successivamente distrutti senza mai essere utilizzati per lo scopo previsto.

Vestiti da buttare

Foto Shutterstock

I punti cardine del Regolamento Ecodesign

Più precisamente, l’orientamento generale introduce un divieto diretto di distruzione di prodotti tessili, calzature e articoli di abbigliamento, con una deroga di quattro anni per le medie imprese e una deroga generale per le piccole imprese e le microimprese. Sarà previsto un periodo transitorio di circa 18 mesi dall’entrata in vigore prima che scatti il divieto, in modo da dare agli operatori economici il tempo di adeguarsi alle nuove specifiche. Gli Stati membri dispongono inoltre di due anni per adeguare e adottare le misure nazionali necessarie, comprese quelle relative alla vigilanza del mercato e alle ammende.

Inoltre il Regolamento vuole introdurre un “passaporto digitale del prodotto” che dovrà rendere immediatamente disponibili a cittadini e imprese informazioni chiare e dettagliate sulla sostenibilità del prodotto, tenendo traccia della filiera allo scopo di migliorare la trasparenza in termini di impatto ambientale nel ciclo di vita degli stessi, permettendo così ai consumatori di sapere quanto i propri acquisti siano sostenibili e quindi di compiere scelte consapevoli.

Con queste misure, il Consiglio intende cominciare ad agire già dalla progettazione dei prodotti, in quanto stima essa determini fino all’80% del loro impatto ambientale.


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Paola Greco

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