Sono i mezzi più ecologici con cui raggiungere il lavoro o l’università, ma sono anche vecchi, sovraffollati, in ritardo. Soprattutto al sud e nelle isole. Lo testimoniano i dati raccolti da Legambiente nel report Pendolaria
Ritardi imprevedibili, sporcizia, convogli vecchi e sovraffollati, ore di viaggio per percorrere pochi chilometri. Per quei 5,7 milioni di italiani che ogni giorno si spostano in treno o in metropolitana per raggiungere la scuola, l’università o il luogo di lavoro, è questa la routine. Da anni, l’organizzazione ambientalista Legambiente fa da loro portavoce attraverso la campagna Pendolaria. Documentando, dati alla mano, tutte le inefficienze della nostra rete di treni regionali.
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Quali sono le condizioni dei treni regionali italiani
Cominciamo dalle (poche) buone notizie. Dopo lo stop forzato dovuto alla pandemia, gli italiani hanno ricominciato a spostarsi e a farlo in treno, il mezzo più ecologico a disposizione. Trenitalia ha chiuso i primi dieci mesi del 2023 con il 20% di passeggeri in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Non bisogna immaginarsi necessariamente lunghi viaggi a bordo di un treno ad alta velocità, anzi: il 75-80% degli spostamenti non supera i 10 chilometri e più della metà del totale resta entro i 15 minuti. Insomma, si usa il treno per tratte che potrebbero essere coperte anche dai mezzi pubblici o dalla mobilità condivisa.
L’età media dei treni italiani supera i 15 anni
Sulla qualità dei viaggi in treno, però, c’è molto da dire. L’età media dei convogli in circolazione è di 15,8 anni: c’è stato un miglioramento rispetto ai 18,6 del 2016, ma resta piuttosto alta. Perché treni più vecchi sono anche più scomodi, malmessi e tendono a guastarsi più facilmente. Oltretutto, questa è una media: al nord l’età media dei treni è di “soli” 14,6 anni, mentre al sud si arriva a 18,1 con punte di 22,6 anni in Molise e 21,4 in Calabria. Va ancora peggio per le flotte in mano ad altri gestori, come Cotral nel Lazio (l’età media dei convogli supera i 32 anni) ed EAV in Campania (oltre 21 anni).
Le linee ferroviarie peggiori d’Italia
Sono quasi tutte al centro-sud anche le linee ferroviarie che Legambiente considera le peggiori d’Italia. Come la Roma-Lido, che collega Porta san Paolo e il mare di Ostia: poco più di venti chilometri che diventano un’odissea tra salti di corsa, stop al servizio e stazioni che da anni sono ferme allo stato di cantieri. Estenuanti anche le attese sulla Roma-Viterbo, tra corse soppresse (oltre 7mila nel 2023), biglietterie chiuse e barriere architettoniche.
Anche le ex linee Circumvesuviane, che servono centinaia di migliaia di abitanti di vari comuni attorno a Napoli, confermano la loro pessima fama. Per l’acquisto di nuovi convogli – annunciato ormai più di un anno fa dalla regione Campania – bisognerà aspettare, perché manca il materiale ferroviario e le commesse dunque sono in ritardo.
Nella linea Catania-Gela, la tratta Caltagirone-Gela è sospesa dal 2011 a causa del cedimento di un viadotto: i lavori sono iniziati nel 2022 e si dovrebbero concludere entro il 2026. Anche ammettendo che il progetto vada a buon fine nei tempi previsti, prevede solo l’ammodernamento, senza l’elettrificazione, il secondo binario né un aumento della velocità attuale (che si attesta sui 42 chilometri orari tra Catania e Caltagirone).
Poi ci sono la ferrovia Jonica in Calabria, la Genova-Acqui-Asti tra Liguria e Piemonte, la Ravenna-Bologna, la Verona-Rovigo, la Bari-Trani-Barletta, la Torino-Pinerolo. Nella poco invidiabile classifica delle linee peggiori d’Italia ce n’è anche una lombarda, la Milano-Mortara, che raccoglie ogni giorno migliaia di pendolari da Vigevano e Abbiategrasso ma tra Albairate e Mortara è ancora a singolo binario. Del raddoppio si parla da tempo, ma i costi sono lievitati a tal punto da rendere impossibile l’accesso ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
Trasporti ferroviari, il divario nord-sud
Sfogliando le pagine del report Pendolaria, è impossibile non notare quanto i disagi si concentrino prevalentemente al sud e nelle isole. Emblematico il caso della Sicilia, la regione più estesa d’Italia. Su 1.490 chilometri di linee, 1.267 (l’85%) sono a binario unico e 689 (il 46,8%) non sono elettrificati. I tempi di percorrenza potrebbero scoraggiare anche l’ambientalista più accanito: per andare da Trapani e Ragusa bisogna cambiare quattro treni regionali, per un totale che (salvo ritardi) supera le 13 ore, contro le 4 ore e mezza del tragitto in auto.
“In Calabria e in Sicilia si continua a viaggiare e a spostarsi quasi come trenta anni fa”, puntualizzano Anna Parretta e Tommaso Castronovo, presidenti di Legambiente rispettivamente per la Calabria e per la Sicilia. “Circolano meno treni, i convogli sono mediamente più vecchi e si muovono su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate con tempi di percorrenza che li rendono poco competitivi rispetto al trasporto su gomma. In Calabria ed in Sicilia servono collegamenti più sicuri e frequenti con l’adeguamento delle linee anche ai fini dell’alta velocità, treni tecnologicamente avanzati, stazioni rinnovate ed accoglienti. Quello di cui abbiamo bisogno è il triplo degli investimenti programmati, già da diversi anni, per migliorare e ampliare l’offerta del servizio e il materiale rotabile oltre a informazioni puntuali nel rispetto dei diritti dei passeggeri”.
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Le priorità del governo: mobilità sostenibile o ponte sullo Stretto?
Considerate le condizioni in cui sono costretti a viaggiare gli abitanti (e i turisti) di Calabria e Sicilia, è ragionevole che la priorità per il governo in carica sia investire in una grande opera come il ponte sullo Stretto di Messina? Su questo tema, la posizione di Legambiente è molto netta.
Per la prima volta dal 2017, infatti, la legge di bilancio approvata a fine 2023 non prevede fondi né per il trasporto rapido di massa, né per la ciclabilità e la mobilità dolce, né per il rifinanziamento del fondo destinato alla copertura del caro materiali per i progetti finanziati, in via di realizzazione e neanche per il fondo di progettazione. La priorità è appunto il ponte sullo Stretto di Messina, per cui è stata autorizzata una spesa complessiva di 11,63 miliardi di euro spalmati su nove anni. Un’opera contro la quale Legambiente si batte da tempo, sia per i suoi costi inusitati, sia per il suo impatto ambientale, sia perché non incide sulla quotidianità di chi in Calabria e Sicilia si sposta ogni giorno.
“Bisogna invertire la rotta e puntare su importanti investimenti per il nostro Paese, a partire dal Mezzogiorno, finanziando le prioritarie infrastrutture: ossia nuove linee ferroviarie a doppio binario ed elettrificate, treni moderni, veloci, interconnessioni tra i vari mezzi di trasporto e con la mobilità dolce, garantendo accessibilità e uno spostamento dignitoso e civile”, dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente.
Valentina Neri