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Luca Mercalli: “L’Italia rischia grosso a causa dei cambiamenti climatici e vi spiego perché”

di Gabriele Rinaldi
21 Maggio 2023

In occasione della Giornata mondiale della biodiversità del 22 maggio, abbiamo intervistato il meteorologo più famoso d’Italia con cui abbiamo parlato di cambiamenti climatici e protezione degli ecosistemi, ma anche di mobilità sostenibile e di molto altro...

«Il problema di chi dà brutte notizie, come noi climatologi, è che veniamo spesso considerati come il medico che ti avvisa dei rischi che corri. Certo non ti migliora la giornata, ma ti salva con ogni probabilità da guai peggiori». Inizia così la chiacchierata con Luca Mercalli, il meteorologo più famoso d’Italia, climatologo, scrittore e infaticabile divulgatore scientifico, presidente della Società Meteorologica Italiana e docente di sostenibilità ambientale in varie università, noto al grande pubblico per la conduzione del programma Scala Mercalli e per le apparizioni in trasmissioni di successo quali TGMontagne e Che tempo che fa.

Luca Mercalli

Luca Mercalli è il meteorologo più famoso d’Italia, presidente della Società Meteorologica Italiana, noto al grande pubblico per la conduzione del programma “Scala Mercalli”.

L’uomo dall’immancabile farfallino («d’autunno li prediligo marroni come le foglie, grigi con le nebbie») con cui parliamo di cambiamento climatico, ma anche del suo ultimo libro (Salire in montagna, pubblicato con Einaudi), di biodiversità, celebrata nella Giornata mondiale del 22 maggio.

E delle sue scelte per ridurre l’impatto ambientale, per esempio attraverso precise scelte per una mobilità sostenibile: Mercalli è guidatore elettrico da oltre 12 anni, da 5 anni ha abolito interamente i viaggi in aereo, in favore del treno, a cui riconosce una serie di indiscutibili vantaggi (ma anche qualche criticità): secondo le rilevazioni dell’Efa (European Environment Agency), di gran lunga il mezzo di trasporto più ecologico, capace di impattare per un minuscolo 0,4% sul totale delle emissioni di cui sono responsabili genericamente i trasporti.

E proprio in treno l’abbiamo incontrato grazie all’iniziativa promossa da Evaneos, il brand pioniere del turismo sostenibile, per promuovere l’utilizzo di questo mezzo di trasporto forse ancora non del tutto valorizzato come invece meriterebbe. Eppure proprio Evaneos ha registrato fra i suoi clienti negli ultimi due anni un aumento delle prenotazioni del 46% per viaggi che sfruttano il treno come mezzo di spostamento e ciò lo ha spinto ad aumentate del 90% le proprie proposte di viaggio che includono appunto la cara vecchia rotaia. Un trend che si spera pervada sempre più le abitudini delle persone, perché il pianeta certamente ringrazierebbe…

Il suo ultimo libro si intitola “Salire in montagna. Prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale“. Ci racconti un po’ il senso e il messaggio di questo libro…

Lavoro in questo settore da 30 anni e per mestiere ricevo e processo dati climatici e ambientali provenienti da tutto il mondo. I dati ci dicono chiaramente che lo scenario è in peggioramento: a livello alpino, mediterraneo, globale.

È faticosissimo far “digerire” questi dati all’opinione pubblica, alla politica, a causa della generale indifferenza e inerzia. Perciò ho deciso di usarli per primo, di farne la base di una personale strategia di migrazione verticale volontaria, e questo è quello che racconto nel libro: la mia personale scelta, scientificamente motivata, di allontanamento dal clima urbano in costante peggioramento.

Una scelta lunga e ponderata, nel corso di cinque anni, dall’acquisto alla ristrutturazione della baita in cui abito in estate. Oltretutto il 35% del nostro territorio è montano e fortemente spopolato: mi è sembrato un buon modo per rilanciare questi territori.

montagne

Foto: Alex Shutin / Unsplash

Che futuro ci aspetta se non agiamo rapidamente e in modo deciso?

Non lo dico io, ma gli organismi internazionali e le Nazioni Unite: ci aspetta un futuro più caldo. In base agli accordi di Parigi, per scongiurare i danni peggiori, dovremmo contenere l’innalzamento termico a 2 gradi da oggi al 2100.

Se non ci riusciamo, al tasso attuale, i gradi saranno 5 con conseguenze pesantissime. Se già con 2 gradi di temperatura media in più ci aspettiamo un innalzamento di mezzo metro del livello dei mari, con 5 gradi l’acqua crescerà di oltre un metro.

Significa mandare sott’acqua Venezia, Miami, New York e moltissime città costiere. E i problemi non sono solo questi. Temperatura più elevata significa anche siccità prolungate e croniche. Significa scarsità di cibo e carestie in ampie zone del globo, come India, Africa. Significa mettere in conto migrazioni sempre più massicce da zone che non sono più grado di sostenere la produzione di cibo necessaria all’uomo.

In pratica se non facciamo le cose di cui sopra, quali sarebbero le tappe prevedibili del disastro che ci attende? 

È possibile solo stilare stime di massima, non certo una timeline puntuale. I fenomeni metereologici diverranno sempre più violenti e frequenti. In alcune zone del pianeta fenomeni sconosciuti ed esotici diverranno comuni (come i mini uragani che già il Mediterraneo ha sperimentato).

Se nel secolo scorso l’occorrenza di fenomeni come le alluvioni era di una ogni 100 anni, in futuro possiamo aspettarcene una ogni 10. La siccità rischia di diventare cronica e modificare radicalmente il paesaggio. I ghiacciai rischiano di scomparire già entro la fine di questo secolo.

E poi, come detto poco fa, il mare si innalzerà mentre la sua temperatura media – nonostante la fusione delle calotte – continuerà a salire. Già oggi registriamo temperature più alte fino a 700 metri di profondità, mari più caldi restituiranno maggiore energia termica all’atmosfera e questo causerà eventi climatici sempre più violenti.

A livello locale l’innalzamento delle temperature dei mari porterà a una tropicalizzazione della fauna. Già oggi molte specie aliene invadono il Mediterraneo e soppiantano le specie autoctone. Ci sono poi effetti atmosferici che si ripercuotono anche in mare: l’aumento della concentrazione di anidride carbonica in aria, un gas che solubilizza in acqua, sta cambiando il ph dei mari. Un ph che diviene sempre più acido mettendo a rischio la sopravvivenza di specie animali che vivono in gusci di carbonato, come molluschi e conchiglie. Questo ci aspetta…

terreno arido

Foto: Olivier Mesnage / Unsplash

Cosa si potrebbe e dovrebbe fare? Tracciamo insieme una roadmap per evitare quello che allo stato attuale delle cose sembra inevitabile…

La buona notizia è che nulla di quanto sopra è inevitabile, a condizione di voler agire. I mezzi per contenere il cambiamento climatico ci sono: cambiare il modello economico, ridurre la spinta al consumo, mutare i comportamenti dell’umanità, rinunciare ai combustibili fossili, Ogni anno sono migliaia le pubblicazioni scientifiche che denunciano questi fatti, ma vengono costantemente ignorate. Vedo mancare le condizioni economiche e soprattutto sociali perché il cambiamento dei comportamenti abbia luogo. Come ho già detto mi sento come un medico che prescrive una dieta salva vita e viene ignorato.

Perché la politica e chi ha in mano il potere decisionale continua a non ascoltare la voce della scienza (e del pianeta)?

La politica non ha ignorato soltanto la voce della comunicazione ambientale, ma moltissime altre. Pensiamo a questa guerra. Sappiamo da più di 3.000 anni quali sono le conseguenze prevedibili di un conflitto: povertà, sofferenza, fame. E nonostante questa consapevolezza i conflitti continuano a divampare.

Il cambiamento climatico, al confronto, è un fatto molto più recente, un’informazione nuova per l’umanità. Questi due elementi però – guerra e cambiamento del clima – possono avere conseguenze insanabili: un esito nucleare del conflitto cambierebbe il clima in modo irreversibile. Persino il presidente Mattarella ha detto che non è possibile anteporre l’economia all’ambiente perché non ci verrà data una seconda possibilità.

I problemi che stiamo cercando di affrontare sono così grandi e pervasivi a livello globale che possiamo solo sperare di fare prevenzione: una volta innescato il processo potrebbe non essere possibile tornare indietro.

Quali sono i maggiori rischi per il nostro Paese? La desertificazione è uno di questi, e poi?

L’Italia è una somma perfetta dei principali rischi climatici immaginabili, inclusi fenomeni esotici che già abbiamo visto manifestarsi. Abbiamo 8.000 chilometri di coste: siamo quindi pesantemente esposti al rischio di alluvioni in caso di innalzamento del mare. I nostri ghiacciai sono in grande sofferenza. La desertificazione si fa strada anche alle nostre latitudini. E desertificazione e siccità portano a maggiori rischi di incendi boschivi.

La siccità, a sua volta, minaccia la biodiversità e nostra agricoltura: prodotti di pregio come il vino e alcune colture rischiano di non poter essere più economicamente sostenibili. Come non bastasse viviamo in un territorio che già normalmente è esposto ai rischi del dissesto idrogeologico. Immaginiamo che effetti avrebbero eventi e fenomeni climatici ancora più violenti degli attuali. Insomma non c’è di che abbassare la guardia.

Però lo ripeto: nulla è inevitabile. La coscienza e le scelte degli individui sono elementi fondamentali per arrestare il processo. Scelte individuali e di consumo che riguardano i viaggi, gli spostamenti, le scelte di vita, sono la prima trincea, nella speranza che una fetta sempre più ampia dell’opinione pubblica e della politica prenda coscienza di ciò che sta avvenendo.

Accennava agli spostamenti… Il mezzo di trasporto di gran lunga più ecologico è, secondo le rilevazioni della European Environment Agency, il treno, capace di impattare per un minuscolo 0,4% sul totale delle emissioni di cui sono responsabili genericamente i trasporti. Che rapporto ha con le rotaie?

Mi sposto abitualmente in treno, sia per lavoro che per piacere. È il mezzo ideale per le medie distanze. Ho abolito i viaggi aerei da anni, anche se per chi fa il mio mestiere guardare il cielo da un oblò a 10.000 metri è un’esperienza unica. Se devo intervenire a una conferenza a New York lo faccio online, un’abitudine che la pandemia ha consolidato.

Il treno mi permette di leggere, lavorare, persino di fare piacevoli incontri. Certo sconta una minore indipendenza rispetto al mezzo privato e spesso è afflitto da ritardi che sono causa di stress, ma è anche indiscutibilmente più sicuro ed ecologico. È perfetto per le destinazioni che amo di più: Austria, Francia, Svizzera e Slovenia, per esempio. Però prendo anche posizione contro progetti ferroviari faraonici ambientalmente insostenibili, contano i dati tecnici, non la propaganda verde!

treno

Il treno è, secondo le rilevazioni della European Environment Agency il mezzo di trasporto più ecologico (foto: Abbilyn Rurenko / Unsplash

Quanto contano le scelte individuali per un mondo più sostenibile?

Moltissimo. Io ho scelto di rinunciare all’aereo. È un sacrificio? Sì, se vogliamo sì. Ma negli anni ho iniziato a considerarlo un mezzo “ambiguo”. La facilità con cui ti permette di macinare migliaia e migliaia di chilometri, i costi tutto sommato ridotti, ne fanno un mezzo che spinge gli individui a percorrere più chilometri del necessario.

Penso ai tantissimi last minute che ti fanno visitare una capitale a 3.000 chilometri in un weekend. Comodo, ma necessario? E che impatto ha? Se è vero che le emissioni per persona fra auto e aereo sono quasi comparabili è proprio la quantità enorme di chilometri che gli aerei spingono a percorrere a fare la differenza.

Il treno è un mezzo da scegliere quindi anche per il turismo?

Perché no? Permette di gustarsi l’avvicinamento, è più ecologico, sicuro e confortevole di una macchina. Ti permette di leggere, di giocare con i tuoi figli, di parlare con tranquillità, anche con estranei. Per me, su destinazioni di corto e medio raggio è la soluzione migliore, soprattutto per le città d’arte. Per i luoghi più decentrati mi appoggio all’auto elettrica, e guido lento.

La comunicazione scientifica che ruolo può avere nel guidare le scelte degli individui?

Enorme, a patto che ci sia ascolto dall’altra parte. Divido da anni il mio tempo in parti uguali fra ricerca e divulgazione. Il messaggio che noi studiosi del clima lanciamo è scomodo perché interroga le nostre scelte e mette in discussione il nostro modello comportamentale. La strumentalizzazione di alcune notizie operata dai media non aiuta.

Faccio un esempio. Ritengo importante denunciare un record climatico di caldo o di precipitazioni, ma se sono uno scienziato devo inserirlo in una serie storica che dimostri, dati alla mano, che si tratta davvero di un record. Altrimenti la giornata record o l’evento violento, rimangono un dato a sé stante, decontestualizzato e capace solo di assuefare le persone all’ennesima asticella superata. E non cambia i comportamenti. Scegliere di viaggiare in un certo modo è un modo di contribuire a cambiare le cose.

Gabriele Rinaldi

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