Mettere le persone al centro dell' attenzione. Anche nell'applicazione dello "stressometro". È questa la fiosofia della Helvoet Pharma Italia, multinazionale nel settore del packaging farmaceutico. Parola dell'ex direttore delle risorse umane con più di vent'anni d'esperienza in azienda. Che ha ancora un sogno nel cassetto: promuovere benessere e qualità del lavoro in tutti i reparti
Vincenzo Schembri è stato per oltre vent’anni Direttore delle Risorse Umane della Helvoet Pharma Italia. Un’azienda che si occupa di confezionamento farmaceutico e appartiene alla divisione Pharmaceutical Packaging, del gruppo multinazionale Datwyler. Ha due insediamenti in Italia: uno a Montegaldella (Vicenza) e uno a Pregnana Milanese (Milano). Oggi, racconta Schembri, la sfida è quella di pensare alla catena di montaggio come un’esperienza di gestione della macchina da parte del lavoratore. Questo nuovo punto di vista permette di capovolgere un modello che vedeva l’operaio al servizio della macchina e responsabilizzarlo, e mmettendolo nelle condizioni di valorizzazione la propria figura professionale. In questo senso, la Helvoet Pharma ha vissuto una importante fase di trasformazione e rappresenta un caso interessante tra le aziende che si sono mobilitate per migliorare le condizioni di lavoro dei propri dipendenti.
Ci racconta quali sono state le novità all’interno della vostra azienda sul versante della gestione dello stress?
Fin dal 2009, nonostante stessimo affrontando una crisi del settore e la legge fosse ancora sospesa da una serie di proroghe, abbiamo deciso di affrontare il problema con una valutazione dello stress lavoro-correlato basata su una metodologia scientificamente solida e rigorosa che permettesse, non solo di tutelare effettivamente la salute e la sicurezza del dipendente, ma anche di analizzare la nostra organizzazione, dal punto di vista dell’espressione delle potenzialità del capitale umano. Il metodo che abbiamo utilizzato privilegia il punto di vista dei dipendenti come elemento centrale nei processi di sviluppo organizzativo. Quindi abbiamo rilevato non solamente gli indicatori “oggettivi”, che non richiedono il coinvolgimento dei dipendenti, ma anche la percezione organizzativa di tutti i lavoratori
Come vi siete mossi per attuare il cosiddetto “stressometro”?
Ci siamo affidati ad una società che si occupa di consulenza aziendale e che ha messo in atto per noi il progetto “Benessere&azienda”. Riproduce un modello molto efficace, sperimentato per la prima volta dai giapponesi di Toyota, che permette di implementare il coinvolgimento dei dipendenti promuovendo la qualità della mansione che svolgono. L’obiettivo non era quello di valutare la condizione di stress del dipendente, ma quanto l’organizzazione dell’attività lavorativa potesse procurare una condizione di stress e quindi di danno alla salute, mettendo in pericolo la sicurezza sul lavoro.
In particolare, ci siamo resi conto che un settore della produzione era particolarmente sensibile: il reparto “Mescole”, una nostra unità produttiva caratterizzata da elevati livelli di assenza per malattia, turn-over e fermi qualitativi, oltre che da un elevato rischio di stress associato all’organizzazione del lavoro. Un reparto delicato che richiede un continuo controllo. In questa situazione, siamo riusciti, coinvolgendo il personale, a rendere questa fase un’occasione di confronto con i dipendenti che si sono sentiti più responsabilizzati e non soltanto “strumenti” per far funzionare una macchina. La grande sfida è stata quella di sovvertire un ordine che fino ad allora aveva messo i dipendenti in una condizione di basso rendimento, oltre a convolgerli troppo marginalmente. La risposta è stata molto buona.
E poi cosa è successo in azienda?
L’applicazione del modello “Benessere&azienda” ci ha permesso di implementare modelli organizzativi evoluti di stampo giapponese, superando i limiti del modello Fordista e Taylorista dominanti nei settori produttivi come i nostri. Noi siamo una realtà aziendale del settore manifatturiero in cui la produzione è legata ai processi della catena di montaggio. L’approccio classico in questo settore è legato ad un’organizzazione del lavoro di tipo Fordista, basato su due aspetti: la predeterminazione dei tempi di lavoro e la parcellizzazione dei suoi contenuti. L’approccio introdotto dal nuovo metodo ci ha permesso di passare a modelli organizzativi post-fordisti che privilegiano forme organizzative molto più flessibili, all’interno delle quali l’autonomia, l’intercambiabilità, la capacità di decidere del lavoratore diventano fattori sempre più rilevanti per il buon andamento dell’impresa. Il coinvolgimento del dipendente è diventato uno strumento che autorealizza, che promuove il benessere individuale ed è stato determinante per raggiungere gli obiettivi di produzione.
Quindi è cambiato anche il modo di gestire le “risorse umane”?
Da almeno 10 anni nella nostra azienda abbiamo agito con lo stesso obiettivo: “mettere le persone al centro delle nostre attenzioni”. Questo concetto è stato sviluppato in tutti questi anni attraverso la creazione di strumenti essenziali che ci hanno guidati su questa strada. Sono stati realizzati una carta dei valori aziendali, un codice di condotta, il comitato etico strutturato sulla base del rispetto dei precedenti strumenti; infine le riunioni “Clima”, per tenere sotto controllo i livelli di tensione e monitorare l’andamento di reparti ed uffici.Tutte iniziative che convergono su uno scopo unico: promozione e sviluppo del benessere personale, organizzativo e gestionale della nostra realtà produttiva, per poter lavorare in uno stato di maggior serenità psico-fisica.
Come vede il futuro ?
In maniera ottimistica ma senza mai perdere di vista le possibilità di miglioramento. Io sono alla conclusione della mia carriera lavorativa, ho raggiunto l’età pensionabile, ma con il mio successore Carlo Paganessi, ci siamo dati un bellissimo e stimolante obiettivo: trasformare la nostra figura professionale da Direttore delle Risorse Umane a “Direttore della Felicità Aziendale”. Vedremo se e quando ci sapremo arrivare, nel frattempo continuiamo a lavorare su questa strada, che sembra essere proprio quella giusta.