Wise Society : «Ai ricercatori bisogna dare l’opportunità di indagare la realtà»
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«Ai ricercatori bisogna dare l’opportunità di indagare la realtà»

di Fabio Di Todaro
30 Novembre 2017

Federico Faggin, fisico di fama mondiale, Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l'Innovazione (NMTI) racconta la sua visione di futuro tra tecnologia, ricerca, robot e realtà interiore

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Proprio per aiutare i ricercatori e dar loro l’opportunità di indagare la realtà, senza essere costretti a seguire il profumo dei soldi,  Faggin ha dato vita con sua moglie Elvia ad una Fondazione, Image by iStock

Nessuna persona – mamma, papà, moglie, marito o figlio – è presente nella nostra vita più di Federico Faggin. Eppure in molti, a questo punto, non saprebbero rispondere alla domanda: di chi si tratta? Fisico, 76 anni, proveniente dalla provincia vicentina, Faggin vive in Silicon Valley da cinquant’anni, è cittadino statunitense e nel 2010 ha ricevuto la Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione (NMTI) dalle mani di Barack Obama. Giù i veli, allora. Il riconoscimento gli fu conferito per l’invenzione del primo microprocessore, risalente ai primi anni ’70: una rivoluzione, per il mondo dell’informazione. A seguire Faggin, intervenuto a Genova in occasione dell’ultimo Festival della Scienza, ha inventato il touch-screen e il touch-pad, pasteggiato con Bill Gates e Steve Jobs e costruito modellini d’aereo: la sua vera passione. Di fatto, ha cambiato la vita di chi è venuto dopo di lui. Ma lui si schernisce. «Ho soltanto raggiunto prima di altri colleghi un approdo che già all’epoca mi sembrava inevitabile. La rivoluzione era nell’aria, il mio merito è stato quello di bruciare i tempi».

Faggin, oggi il dibattito è dominato dai robot: sono croce o delizia?
Dipende dall’uso che se ne fa, ma un robot non potrà mai essere considerato sullo stesso piano di un uomo. Uno è un’entità riduzionista, l’altro un organismo vivente: che nutre sentimenti, prova emozioni e comprende il significato delle esperienze. Un bit non vale un atomo e anche il progresso più spinto non darà mai coscienza alla macchina. La vita di un robot non ha significato poiché manca della consapevolezza, una guida per le scelte successive

Fa effetto sentire queste parole da lei.
Da trent’anni lavoro anche sulla realtà interiore, esplorando quel bacino inestimabile chiamato esperienza. Il mio modello di uomo è composto da due facce complementari: quella sintattica della fisica e quella semantica della consapevolezza.

Non crede dunque all’uomo che rischia di diventare schiavo di una macchina?
I robot stanno cambiando il mondo del lavoro, ma non serve guardare tutto nero. La tecnologia può essere usata bene o male: conta saper sfruttarla, senza diventarne vittime. Pensate alle auto che si guidano da sole: quando arriveranno sulle nostre strade, crollerà il numero degli incidenti legati al consumo di alcol o all’utilizzo del cellulare alla guida.

Quanto è difficile spiegarlo ai giovani?
Se i ragazzini hanno un legame morboso coi loro smartphone, la colpa non è di questi ultimi. Ne incontro tanti, di studenti: molti di loro sono curiosi, vogliono comprendere la realtà che li circonda. Ma attorno spesso ci sono genitori e insegnanti impreparati a far fronte alla loro sete di conoscenza. E gli esempi che offrono non sono sempre i migliori.

In questo mondo c’è qualcosa che le fa paura?
Il dogmatismo cieco, la sopravvivenza del più forte, il materialismo di chi non sa guardare dentro di sé. Viviamo in un mondo che dà poco valore alle emozioni, all’arte e ai sentimenti.

Cosa vuole lasciare ancora ai giovani?
La possibilità di fare ricerca andando contro ogni dogma. È per questo che con mia moglie ho creato una Fondazione. L’obiettivo è dare ai ricercatori l’opportunità di indagare la realtà, senza essere costretti a seguire il profumo dei soldi.

Twitter @fabioditodaro

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