Psicologo e psicoterapeuta, il presidente della Fondazione Minotauro ci conduce in un viaggio "scomodo" nel mondo dei giovani di oggi, dove forse i più soli e problematici non sono loro, ma gli adulti...
Matteo Lancini è psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro, dove dirige l’équipe sulle dipendenze tecnologiche e la sezione adolescenti. È anche docente presso l’Università Milano-Bicocca e l’Università Cattolica di Milano e autore di diversi libri, tra cui il recente Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta. Lo abbiamo incontrato in occasione del TEDxMilano, che ha avuto come leitmotiv il tema della libertà, e con lui abbiamo parlato del mondo dell’adolescenza e del rapporto con la tecnologia e con gli adulti in un periodo in cui sempre più vengono alla ribalta delle cronache episodi di violenza e autolesionismo tra giovani e giovanissimi…
Dottor Lancini, da dove viene la vera libertà per gli adolescenti di oggi?
La libertà vera non viene dall’esterno, ma da dentro il proprio essere. Gli adolescenti di oggi sembrano avere una maggiore libertà rispetto alle generazioni passate: possono viaggiare e sono spesso liberi in famiglia, tuttavia, non sono realmente liberi, perché spesso si trovano a fare ciò che vogliono gli adulti – genitori e insegnanti in primis – e non ciò che desiderano loro. Spesso diciamo che li abbiamo amati troppo e gli abbiamo dato troppo, ma non è vero, non è così, perché al centro ci siamo noi, i nostri desideri, i nostri gatti e i nostri cani… La loro è una libertà condizionata dalle aspettative e dalle regole degli adulti, più che una libertà autentica.
Lei parla di fragilità degli adulti. In che senso e come questo condiziona il rapporto con i ragazzi?
Oggi molti adulti non mettono al centro l’adolescente, ma sé stessi e la propria necessità di sentirsi adeguati. Le azioni educative non sono più finalizzate alla crescita dei ragazzi, ma a confermare l’autorità e l’autorevolezza dell’adulto. Invece di accettare che ogni figlio è unico, si cerca di seguire modelli standardizzati che tranquillizzano gli adulti. Questo si riflette in interventi che spesso mettono a tacere l’espressione identitaria degli adolescenti, portandoli a sentimenti di inadeguatezza o rabbia repressa.
Si spiegano in questo episodi di violenza e autolesionismo tra i giovani, come per esempio quello di Rozzano o dei più recenti casi che hanno coinvolto anche giovanissimi?
Negli ultimi anni c’è stato un aumento di comportamenti autodistruttivi, disturbi alimentari, suicidi e anche episodi di violenza tra i ragazzi. Penso che alla base ci sia un profondo vuoto identitario e un’assenza di prospettive. I giovani si sentono spesso soli, anche se circondati da molte persone e dagli adulti. Questo li spinge a rifugiarsi nei social, che diventano il luogo dove cercano di esprimere i propri stati d’animo. Ma non sono i social a isolarli, è la mancanza di un ascolto autentico da parte degli adulti.
I nostri ragazzi rischiano così di perdere il contatto con la realtà?
Non penso che i ragazzi abbiano perso il contatto con la realtà, ma viviamo in una società che è “onlife”, come dice il filosofo Luciano Floridi. Il virtuale e il reale si intrecciano e hanno conseguenze concrete. Gli adolescenti si trovano a vivere la loro crescita identitaria in un ambiente dove le relazioni passano spesso attraverso i social, non perché lo vogliono, ma perché è il contesto che abbiamo creato noi adulti.
Viviamo ormai in una sorta di pornografizzazione della società con persone, adulti in primis, che fotografano il piatto di pasta asciutta e qualsiasi altra cosa, che mettono poi in piazza, di fatto annullando la separazione fra esperienza pubblica ed esperienza intima.
Quante volte diciamo le cose tramite queste piattaforme che usiamo in maniera compulsiva prima ancora di dirle faccia a faccia, a voce, alle persone! Esprimiamo sentimenti, riveliamo cose, lasciamo le persone e decretiamo la fine di storie d’amore o pseudo tali tramite i social! Siamo quindi noi adulti i primi a utilizzare in modo incontrollato i social media. Cellulari e social bisognerebbe quindi vietarli agli adulti, non ai ragazzi! La tecnologia di per sé, non è il problema, ma lo è il modo in cui la usiamo…
Quanto ha influito la pandemia sullo stato d’animo dei giovani di oggi?
Il Covid ha sicuramente aggravato alcune dinamiche preesistenti. L’isolamento forzato ha accentuato la solitudine, e molti ragazzi, già in difficoltà nel trovare uno spazio di espressione, hanno vissuto con maggiore ansia la mancanza di relazioni reali. Tuttavia, è riduttivo attribuire solo alla pandemia i problemi che vediamo oggi. La fragilità adulta e l’incapacità di porre limiti e offrire ascolto erano già presenti prima.
Che ruolo ha la Fondazione Minotauro in un contesto come questo?
La Fondazione Minotauro esiste da più di quarant’anni e si occupa di tutto ciò che riguarda la fascia d’età tra i 12 e i 24 anni. Offriamo consulenza psicologica e percorsi di terapia per adolescenti e genitori, con l’obiettivo di creare spazi di ascolto reale. Il nostro lavoro si basa sul cercare di capire chi sono i ragazzi e cosa provano, senza giudicarli, offrendo loro un supporto autentico e non condizionato dalle aspettative degli adulti.
Noi persone adulte dovremmo imparare a fare ai nostri ragazzi domande disturbanti, senza mettere a tacere le emozioni, anche se si tratta di domande appunto scomode, chiedendogli per esempio, cosa che non facciamo mai, “Chi sei tu? Come ti senti? Cosa provi?”. Se ci si mette in reale ascolto, senza giudicarli a priori, è molto più probabile che si aprano e ti raccontino di loro, lasciandoti entrare di più nel loro mondo interiore…
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Vincenzo Petraglia