Questa misura potrebbe contribuire a colmare il gender gap in Italia, favorendo ambienti aziendali in cui le donne siano valorizzate e trattate - sia in termini di crescita che di stipendio - come i colleghi uomini. Ecco di che si tratta
L’empowerment delle donne oggi ha uno strumento in più: la certificazione della parità di genere. Un “bollino rosa” che viene attribuito alle aziende, piccole o grandi, che hanno dimostrato in modo oggettivo di essere attive nell’inclusione delle donne e di agire in prima persona per combattere quel famigerato “gender gap” che le discrimina, confinandole in posizioni lavorative meno retribuite e gratificanti rispetto agli uomini.
Questo vuol dire creare un clima adatto al riconoscimento e alla crescita delle donne in azienda. Fin dal momento dell’assunzione e poi assicurando un salario giusto, non inferiore a quello degli uomini, tutelando le mamme lavoratrici e valorizzando la work-life balance, così importante per conciliare davvero famiglia e impegni di carriera. La gender equality certification non va considerata come un banale strumento di “pink-washing” ma come una possibile spinta per innescare un vero “circolo virtuoso” a favore di donne e imprese. Vediamo perché.
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Gender equality certification, un riconoscimento alle aziende “inclusive”
La certificazione di genere fa bene alle donne e nello stesso tempo anche alle imprese. È un parametro di valutazione recente (è nato solo due anni fa) e forse ancora poco conosciuto ma è destinato a diventare importante nella cosiddetta brand reputation.
I consumatori, infatti, tendono sempre di più a premiare i brand “inclusivi”: secondo il report del Diversity Brand Summit di Milano del 2022 le aziende percepite come più inclusive possono contare su un incremento nella crescita dei ricavi fino al 23% in più rispetto a brand concorrenti visti, invece, come poco attenti alle diversità.
D’altra parte la certificazione di genere è anche immediatamente utile per l’azienda perché garantisce vantaggi a livello fiscale (uno sgravio contributivo dell’1% dei contributi dovuti sui dipendenti fino a 50.000 euro all’anno), vale nei punteggi dei bandi pubblici e per ottenere finanziamenti a livello europeo, regionale e nazionale e permette una diminuzione della garanzia del 20% per tutte le tipologie di contratti pubblici.
Certificazione di genere fra Agenda 2030 e PNRR
La gender equality certification fa parte del complesso di norme e di interventi strutturali per costruire l’Italia e l’Europa di domani. La parità di genere, infatti, rientra negli obiettivi dell’Agenda 2030 che disegna le priorità dell’ONU da raggiungere nei prossimi anni e fra le aree di azione del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, dove è alla Missione numero 5.
Il PNRR promuove le imprese che riducono il gender pay gap e premiano e valorizzano il lavoro femminile partendo dall’idea che da aziende in cui le donne si trovano meglio può nascere una nuova coesione sociale e un ulteriore impulso alla ripresa economica.
La certificazione di parità di genere serve a identificare queste imprese in modo obiettivo e a dare un incentivo perché proseguano nel loro impegno. Si tratta di un ”work in progress” che continua attraverso un Tavolo di lavoro permanente presso il Dipartimento delle Pari Opportunità.
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Dall’assunzione al life-working balance: le 6 KPI da valutare
Ma quali sono i requisiti che vengono richiesti alle aziende per ottenere la certificazione? Le KPI (Key Performances Indicator – Indicatori chiave di prestazione) riguardano 6 aree di azione e sono state individuate dalla prassi di riferimento Uni Pdr 125 del marzo 2022. Questi ambiti sono:
- Cultura e strategia;
- Governance;Processi relativi alle risorse umane;
- Opportunità di crescita ed inclusione femminile in azienda;
- Equità remunerativa per genere;
- Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.
Tutti i campi insomma in cui si sviluppa la vita lavorativa di una donna e che l’azienda può assecondare al meglio con una carriera e uno stipendio giusti ma anche dando flessibilità negli orari, creando strutture aziendali per le madri lavoratrici e garantendo smart working da alternare al lavoro in presenza.
Ogni area ha un diverso peso percentuale e viene valutata qualitativamente e quantitativamente anche in base al tipo di attività dell’azienda: la certificazione, che dura 3 anni, si ottiene attraverso un attento controllo che viene poi ripetuto annualmente quando viene raggiunto una percentuale complessiva del 60%.
Chi rilascia la certificazione e chi la può chiedere
La certificazione viene richiesta su base volontaria: possono chiederla e ottenerla sia i grandi colossi che le piccole e medie imprese, le PMI. Queste ultime possono chiedere di essere aiutate e supportate con assistenza tecnica qualificata nelle politiche di gender equality e per questo sono stati stanziati contributi con appositi fondi dal PNRR.
Al rilascio della certificazione provvedono gli organismi di certificazione accreditati presso Accredia che operano sulla base della prassi UNI/PdR 125:2022 (ad oggi sono 47).
È recentissima la creazione di una piattaforma digitale delle organizzazioni certificate dove potranno essere inseriti tutti i dati che consentiranno di monitorare costantemente i progressi della gender equality in Italia.
I dati della certificazione di parità di genere oggi
Secondo i dati del sito di UNI la certificazione di parità di genere per essere così recente (e così innovativa) è già un successo.
In questi 2 anni sono 2.800 i siti aziendali che hanno ottenuto la parità di genere, corrispondenti a 823 organizzazioni pubbliche e private. E sono aziende, piccole e grandi, che lavorano in tutti i campi, dall’energia, alle banche, all’agroalimentare.
Insomma, la strada da fare per abbattere il muro di cristallo e dare al lavoro al delle donne piena dignità e la giusta gratificazione è ancora lunga, ma qualcosa si sta sicuramente muovendo.
Lucia Fino