38mila miliardi di dollari di danni da qui al 2050: è quello che ci aspetta a causa del riscaldamento globale. Ma siamo ancora in tempo per cambiare rotta. Anche per un senso di giustizia nei confronti di quei Paesi che non hanno fatto quasi nulla per provocare i cambiamenti climatici ma ne pagano comunque le conseguenze peggiori.
Quando si parla della transizione ecologica nelle sue varie forme – elettrificare la mobilità, ristrutturare le case, installare pannelli solari e pale eoliche e così via – l’obiezione più comune verte sempre sullo stesso punto: i costi. Interventi del genere sono vasti, radicali e possono cambiare il sistema soltanto se sono adottati su scala planetaria. Dunque, inevitabilmente, costano. Ma il costo dell’inazione è ben maggiore. Per la precisione, la somma dei danni economici che il riscaldamento globale provocherà da qui al 2050 è sei volte più alta rispetto all’investimento necessario per limitarlo entro i 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali.
I dati sulla crisi economica dovuta al riscaldamento globale
Questo è il tema di un ampio studio pubblicato su Nature da tre ricercatori tedeschi, Maximilian Kotz, Anders Levermann e Leonie Wenz. Andiamo a esaminare più da vicino il metodo e i risultati.
Come si calcolano i danni economici della crisi climatica
Non se ne sente parlare spesso, ma esiste una branca di studi che si occupa proprio di questo. Si chiama econometria del clima. Nello specifico, l’analisi di Nature prende il via dai dati sulle variazioni di temperatura e di precipitazioni in oltre 1.600 regioni del mondo, incrociandoli con le variazioni del reddito negli ultimi quarant’anni al fine di identificare i possibili nessi causali tra variabili climatiche e produttività economica. A differenza di altre analisi meno sofisticate, dunque, questa non si limita a studiare le variazioni di temperatura su scala nazionale, ma si spinge fino agli impatti sul meteo locale. E valuta anche se le conseguenze siano limitate al breve termine o tendano a persistere nel corso dei mesi o addirittura degli anni.
38mila miliardi di dollari di danni entro il 2050
Nel suo insieme, dunque, nel 2050 la crisi climatica arriverà a provocare danni economici compresi tra i 19 e i 59mila miliardi di dollari nel 2050. La stima intermedia, dunque, è di 38mila miliardi all’anno. Una previsione che peraltro è parziale perché non tiene conto di alcune variabili che fuoriescono dal perimetro dello studio, per esempio gli incendi e le tempeste.
“Si prospettano forti riduzioni del reddito per la maggior parte delle regioni, incluse Europa e Nord America, con conseguenze più severe per l’Asia meridionale e l’Africa”, spiega Maximilian Kotz del Potsdam Institute for Climate Impact Research. “Queste sono causate dall’impatto dei cambiamenti climatici su vari aspetti che sono rilevanti per la crescita economica, come le rese agricole, la produttività del lavoro o le infrastrutture”.
Anche se tagliassimo le emissioni di CO2 drasticamente a partire da ora, andremmo comunque incontro a una riduzione del reddito globale pari al 19% entro il 2050. Danni che sono sei volte più ingenti rispetto ai costi che dovremmo sostenere per limitare il riscaldamento globale entro i 2 gradi.
Un ottimo motivo per investire fin da subito sia nella mitigazione, cioè nell’abbattimento delle emissioni di gas serra, sia nell’adattamento, cioè gli interventi per far sì che il territorio sia meno vulnerabile agli stravolgimenti del clima. Azzerando le emissioni entro il 2050, infatti, il calo del reddito si stabilizzerà sul 20%. In caso contrario, nella seconda metà del secolo supererà il 60%.
Quali sono i Paesi più esposti alla crisi economica legata al clima
Inevitabilmente, ci saranno territori che andranno incontro a un impatto economico devastante e altri, invece, che subiranno conseguenze più lievi in relazione al pil. Come riporta il Guardian, ci sarà una sorta di spaccatura. Se la Germania perderà l’11% del proprio reddito, la Francia il 13%, Gli Stati Uniti l’11% e il Regno Unito il 7% entro la fine del secolo, in Botswana e Mali si arriverà a un meno 25%, in Brasile al -21%, in Qatar al -31%, in Pakistan al -26% e in Iraq al -30%.
Perché è anche una questione di giustizia climatica
“Il nostro studio evidenzia la considerevole iniquità degli impatti climatici. Rileviamo danni economici pressoché ovunque, ma gli Stati ai tropici soffriranno di più perché le loro temperature sono già più alte. Di conseguenza, ulteriori incrementi delle temperature qui saranno più nocivi”, spiega Anders Levermann, ricercatore del Potsdam Institute e coautore dello studio.
Si apre quindi il grande tema della giustizia climatica. Perché i dati sulle emissioni storiche dimostrano in modo incontrovertibile quanto alcuni Stati abbiano dato un contributo ben maggiore all’incremento dei gas serra in atmosfera e, dunque, della temperatura media globale. In primis gli Stati Uniti, con il 25% del totale tra la rivoluzione industriale e il 2017, seguiti da Unione europea e Regno Unito (22%) e Cina (12,7%). Il Pakistan, per fare un solo esempio, rappresenta appena lo 0,4% del totale: eppure, vedrà il proprio reddito crollare del 26%.
“I Paesi meno responsabili dei cambiamenti climatici, secondo le previsioni, subiranno perdite nel reddito che saranno del 60% maggiori rispetto a quelle dei Paesi ad alto reddito e del 40% rispetto a quelle degli Stati ad alte emissioni. Sono anche i Paesi che hanno meno risorse per adattarsi al loro impatto”, conclude Levermann. “Spetta a noi decidere: cambiamenti strutturali verso un sistema basato sulle energie rinnovabili servono per la nostra sicurezza e ci permetteranno di risparmiare denaro. Restare nella strada in cui ci troviamo attualmente, invece, porterà a conseguenze catastrofiche”.
Valentina Neri