La coltivazione della vite, nella Laguna di Venezia ha origini antichissime. Oggi un antico e pregiato vitigno quasi estinto, la Dorona, è stato recuperato grazie all'impegno di una famiglia di viticoltori che su antichi terreni, ha fondato una nuova tenuta agricola modello
Bere l’antico vino dei Dogi gustando le specialità veneziane immersi in un un’atmosfera d’altri tempi: questa esperienza sensoriale, ma anche storico-culturale, si può fare sull’isola di Mazzorbo-Burano, nel cuore della Laguna di Venezia, dove i Bisol, storica famiglia del Prosecco, hanno recuperato l’antica vigna murata di Venissa. Si tratta di una tenuta di due ettari chiusa da mura medievali rifatte nel 1727. Qui è stato piantato lo storico vitigno veneziano Dorona, detto Uva d’oro, l’antico vino bianco di Venezia amato dai Dogi, un vitigno autoctono a bacca bianca coltivato fin dal XV secolo e che rischiava di scomparire. Sono molti gli scrittori che hanno cantato questa parte di laguna, tra cui George Sand, Henry James ed Hernest Hemingway. Non a caso, il vino e la tenuta devono il loro nome al verso che Andrea Zanzotto dedica a “Venessia, Venissa, Venusia” . Quello che era un cimitero di ricordi è oggi un Parco Agricolo Ambientale con viti, orti, una peschiera e rigogliosi alberi da frutto, un luogo da visitare e da gustare nel ristorante creato ad hoc al suo interno; il Parco è vincitore nel 2007 del bando indetto dal Comune di Venezia, proprietario della Tenuta, e segnalato dalle riviste americane come meta turistica di particolare interesse. Ma come nasce? Ce lo racconta Gianluca Bisol, direttore generale dell’azienda, tra i principali protagonisti di questo recupero.
Il nettare dei Dogi? Un vitigno autoctono
«Le isole di Mazzorbo, Burano e Torcello si trovano nella parte Nord della Laguna veneziana: questo arcipelago di natura, colori, sapori e arte rappresenta la “prima” Venezia», racconta Bisol, «infatti, è uno dei più antichi e prosperi insediamenti della laguna: vi sorge la nota basilica di Santa Maria Assunta, fondata nel 639. E proprio vicino a questa basilica ho scoperto una vigna che mi ha incuriosito», prosegue il direttore dell’azienda. «Allora ho commissionato una ricerca di archeologia viticola per capire il ruolo del vino nella storia della Serenissima: dagli archivi sono emersi quadri, mappe e disegni che rivelano la presenza di vigneti e orti sparsi su tutte le isole. Ma a me interessava scoprire un vitigno, tra quelli importati nel tempo, che fosse davvero autoctono veneziano e così abbiamo trovato la Dorona, un centinaio di piantine fra Torcello e Mazzorbo. Le abbiamo chieste ai vecchi delle isole che le coltivavano, le abbiamo selezionate, moltiplicate e infine a portate nella tenuta per una micro vinificazione», continua Bisiol, «e infine le abbiamo piantate usando metà della terra e nel 2010 c’è stata la prima vendemmia. Abbiamo scelto una bassa resa per ettaro per privilegiare la qualità». Ne è nato un vino particolare, di grande carattere e molto strutturato pur essendo un bianco, che porta in sé i profumi della laguna. Dieci volte l’anno, infatti, l’acqua alta ricopre la vigna: il sale aggredisce le piante che devono essere lavate, ma influisce in modo particolare anche sul gusto finale del vino. Nell’insieme è un microcosmo con un equilibrio naturale e umano molto delicato.
Orti, frutteti e un ristorante gourmand
Venissa ospita anche frutteti e orti, dedicati alla coltivazione di specialità veneziane, e una peschiera con tipici pesci lagunari come cefali, anguille e moeche, i granchi pescati prima di formare la corazza. Il percorso di visita parte dal frutteto e termina, se si vuole, al Ristorante Venissa, gestito da Paola Budel, chef bellunese formatasi alla scuola di Gualtiero Marchesi che omaggia con le sue creazioni la cultura veneta e veneziana, utilizzando i prodotti dell’azienda. Non solo. Il recupero della Tenuta Venissa ha permesso anche il ripristino dell’ex-casa padronale, un elegante edificio a tre piani che è stato completamente ristrutturato e trasformato in un’accogliente locanda-ostello con sei camere (www.venissa.it) «Potevamo fare tutte e due gli ettari a vigneto», spiega Gianluca Bisol, «ma c’erano già gli alberi da frutto e la peschiera, così ci è venuta l’idea di mettere insieme tutte le attività che caratterizzavano l’agricoltura lagunare di un tempo, per farla rivivere. E così abbiamo fatto. I tre mila metri quadrati messi ad orto li abbiamo affidati ai pensionati di Burano». Gli anziani buranelli portano avanti la tradizione contadina veneziana curando il terreno di Venissa e praticandovi una orticoltura sostenibile ed eroica: gli orti sono 70 centimentri sotto il livello del mare e, grazie alla salinità e all’eccezionale microclima, non sono mai attaccati dai parassiti. «Coltivare su un’isola consente di non essere esposti a contaminazioni da terreni vicini» dice ancora Bisol, «inoltre l’aria salata nebulizzata dal vento ha sulle colture un effetto sanificante, di sterilizzazione naturale. Tutto questo ci consente di scegliere l’agricoltura biologica e di fare completamente a meno dei pesticidi», conclude.