Wise Society : Gli smisurati consumi di energia dell’intelligenza artificiale compromettono l’azione per il clima di Stati e aziende

Gli smisurati consumi di energia dell’intelligenza artificiale compromettono l’azione per il clima di Stati e aziende

di Valentina Neri
23 Agosto 2024

L’adozione di massa dell'AI richiede infrastrutture tecnologiche complesse e fortemente energivore. A tal punto che le Big Tech stanno accumulando ritardi nel loro percorso verso la decarbonizzazione

L’amministrazione statunitense guidata da Joe Biden, che si avvicina alla fine del suo mandato, è stata estremamente ambiziosa nelle sue promesse di riduzione delle emissioni. Così come le grandi aziende tecnologiche con le quali tutti e tutte noi abbiamo a che fare ogni giorno, a partire da Microsoft, Google e Amazon. Questi impegni, però, si stanno infrangendo contro la realtà. Una realtà in cui l’intelligenza artificiale prende piede e lo fa consumando giganteschi quantitativi di energia, prodotta ancora – per la gran parte – con i combustibili fossili. Un circolo vizioso che, almeno per il momento, rappresenta un grosso ostacolo all’azione per il clima.

Intelligenza artificiale

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Perché l’intelligenza artificiale ha un impatto climatico così ingente

Quando usiamo ChatGPT, oppure un chatbot, un traduttore automatico o qualsiasi altra funzionalità basata sull’intelligenza artificiale, ci stiamo appoggiando a un’architettura che, seppure invisibile ai nostri occhi, è molto complessa. Fondamentali sono i data center, cioè quegli spazi fisici che ospitano i server (le macchine che eseguono i calcoli per addestrare e operare i moduli di AI), le unità di archiviazione dati e le reti ad alta velocità. Sono strutture che consumano molta energia e richiedono sistemi di raffrescamento sempre in funzione, perché le macchine tendono a scaldarsi.

Nel 2015 ne esistevano circa 3.600 in tutto il Pianeta: oggi, tra quelli già in funzione e quelli in costruzione, siamo a quota 7mila circa. Potenzialmente, se questi data center rimanessero in funzione costantemente tutti insieme, arriverebbero a consumare 508 terawattora, più della produzione annua di elettricità di uno Stato come l’Italia o l’Australia.

In molte parti del mondo, rivela Bloomberg, la domanda di energia dei data center basta – da sola – per esaurire la disponibilità. Già nel 2022, negli Stati Uniti attingevano al 3% dell’energia elettrica totale: entro la fine del decennio arriveranno all’8%. Il problema sta nel fatto che, ancora oggi, a livello globale più di un terzo dell’elettricità è prodotto a partire dal carbone e un altro 20% circa dal gas naturale. Fonti fossili che contribuiscono all’emissione di gas serra in atmosfera e quindi al riscaldamento globale. Lo dicono i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea).

Studentessa e intelligenza artificiale

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Gli obiettivi climatici sfumati anche a causa dell’intelligenza artificiale

Inevitabilmente, tutto ciò complica la strada verso la cosiddetta carbon neutrality, cioè l’azzeramento delle emissioni nette di CO2 da parte di una singola impresa o di un intero Stato (o Continente, visto che l’Unione europea l’ha promessa entro il 2050). Sebbene l’intelligenza artificiale abbai raggiunto un’adozione di massa soltanto negli ultimi tempi, le conseguenze sono già tangibili.

Vacillano i piani di riduzione delle emissioni di Joe Biden

Aggiornando le proprie promesse di riduzione delle emissioni di gas serra nell’ambito dell’Accordo di Parigi (ndc, nationally determined contributions), l’amministrazione Biden si era impegnata per un taglio almeno del 50% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005. L’Inflation reduction act – che, a dispetto del nome, è il piano per il clima più coraggioso mai approvato da un governo statunitense – aveva messo nero su bianco una tabella di marcia per la decarbonizzazione dell’energia e dei trasporti.
Tutto questo, con ogni probabilità, non accadrà.

Stando a un’analisi della società di ricerca Rhodium Group, di questo passo le emissioni degli Stati Uniti caleranno soltanto del 43% allo scattare del prossimo decennio. È sempre il rapporto a indicare l’avvento dell’intelligenza artificiale come uno dei principali responsabili. Non bisogna pensare che sia un problema solo americano, anzi, ci riguarda tutti: per il buon esito dell’Accordo di Parigi è cruciale che la prima economia del mondo sia sulla buona strada.

Le emissioni di Microsoft crescono del 30% rispetto al 2020

Tra le multinazionali che si sono esposte di più in materia di clima c’è Microsoft, con la promessa di rimuovere più CO2 rispetto a quella immessa nell’atmosfera entro la fine del decennio. O, forse, sarebbe meglio declinare il verbo al passato. Nell’ultimo report di sostenibilità, infatti, il colosso fondato da Bill Gates ammette di aver incrementato le proprie emissioni del 30% rispetto al 2020.

Quando aveva annunciato la propria strategia climatica, infatti, non aveva messo in conto l’esplosione che da lì a poco avrebbe vissuto l’intelligenza artificiale. Che aumenta a dismisura il carico di lavoro dei data center esistenti e la obbliga a investire miliardi per costruirne di nuovi. Questo significa usare cemento, acciaio e microchip (tutti articoli dall’enorme impatto in termini di emissioni) per costruire strutture che, una volta operative, consumano energia 24 ore al giorno, 7 giorni su 7.

Interpellato da Bloomberg, il presidente di Microsoft Brad Smith insiste sul fatto che ne valga comunque la pena, perché i potenziali vantaggi dell’intelligenza artificiale compensano ampiamente questi ostacoli iniziali. “Fondamentalmente crediamo che la risposta non sia quella di rallentare l’espansione dell’AI, ma di accelerare il lavoro necessario per abbassare il suo impatto ambientale”.

Il piano per il clima di Amazon regge, per ora

Amazon, almeno per ora, appare in controtendenza. Era il 2019 quando il gigante dell’e-commerce ha annunciato l’obiettivo del net zero al 2040. Nel 2023 ha fatto sapere di aver sforbiciato le emissioni per il secondo anno consecutivo, con un promettente meno 3%. Ma anche nei suoi progetti per il futuro ci sono investimenti nei nuovi data center, e sono cifre di tutto rispetto: si parla di 150 miliardi di dollari nei prossimi quindici anni. Tant’è che la chief sustainability officer Kara Hurst ci tiene a precisare che quello verso il net zero “non è un percorso lineare”. Come ha spiegato a Bloomberg, “assisteremo a cambiamenti. Ci sono cose come l’intelligenza artificiale con cui dovremo confrontarci, ma penso che disponiamo di così tanti strumenti che fino a un paio d’anni fa non avevamo”.

Valentina Neri

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