Nel 2023 il tasso di deforestazione nel mondo è rimasto stabile, ma con forti differenze tra Stato e Stato. Ed è tutta questione di volontà politica. Lo testimonia il Global Forest Watch
Il Global Forest Watch, il principale report sulla deforestazione, ogni anno ci fa da monito. Perché spiega per filo e per segno quante foreste tropicali primarie stanno scomparendo e dove. È una cartina al tornasole di cosa stiamo facendo – e di cosa non stiamo facendo –per tutelare i polmoni verdi del Pianeta. L’edizione 2024 più di ogni altra. Perché la media globale registrata nell’anno precedente sarà pure stabile, ma basta scavare un po’ per far emergere le clamorose discrepanze tra chi sta affrontando il problema e chi, invece, lo sta ignorando.
I dati globali sulla deforestazione
Nell’arco del 2023 il Pianeta ha perso 3,7 milioni di ettari di foresta tropicale primaria, l’equivalente di quasi 10 campi da calcio al minuto. Il dato complessivo segna dunque un meno 9% rispetto al 2022 ma è pressoché identico a quello del 2021 e del 2019. Sostanzialmente, dunque, si può dire che il tasso globale di deforestazione sia rimasto stabile.
Ma perché il Global Forest Watch si focalizza proprio sulle foreste tropicali primarie, cioè quelle che non sono ancora state intaccate da attività agricole e industriali? In realtà i satelliti sono in grado di monitorare qualsiasi perdita di copertura arborea. In queste specifiche foreste, però, si concentra il 96% della deforestazione permanente associata all’agricoltura, all’urbanizzazione e alla produzione di materie prime. Viceversa, nelle zone boreali e temperate spesso le foreste vengono intaccate dagli incendi o dall’estrazione di legname: se sono in buona salute, possono riprendersi nell’arco di qualche anno.
C’è un secondo, fondamentale motivo. A parità di estensione, le foreste tropicali primarie sequestrano molta più anidride carbonica (CO2) rispetto, per esempio, alle piantagioni. La perdita di questi 3,7 milioni di ettari nel 2023, quindi, corrisponde a 2,4 gigatonnellate di CO2 emessa in atmosfera: per avere un termine di paragone, sono all’incirca la metà delle emissioni annuali dovute ai combustibili fossili negli Stati Uniti. Un Pianeta privato delle sue foreste dunque è un Pianeta molto più esposto al riscaldamento globale e alle sue conseguenze. E questo riguarda anche ciascuno di noi, non importa se viviamo a migliaia di chilometri di distanza dalle grandi foreste e non ne abbiamo nemmeno mai vista una.
La metodologia usata
Il Global Forest Watch è uno studio prezioso, basato sui dati dell’università del Maryland e pubblicato nell’omonima piattaforma del World Resources Institute. Va però letto con alcune precauzioni. Innanzitutto, come ha precisato in conferenza stampa la stessa direttrice del Global Forest Watch per il WRI Mikaela Weisse, si basa unicamente sui dati satellitari. E questi ultimi non consentono di sapere se le perdite osservate siano causate dall’uomo né se siano permanenti, due caratteristiche fondamentali per poter parlare di deforestazione. Insomma, i dati sono e restano utili ma vanno contestualizzati.
Successi e insuccessi nella tutela delle foreste
Un altro insegnamento importante che si può trarre da questi dati? La deforestazione non è inevitabile. È finalizzata a precisi interessi economici, quelli dell’agroindustria in primis. I governi nazionali ne sono pienamente consapevoli: c’è chi sceglie di chiudere un occhio e chi, invece, opta per un approccio interventista. In termini di risultati, le differenze si vedono.
L’impegno istituzionale dà i suoi frutti: i casi di Brasile e Colombia
Gli occhi sono inevitabilmente puntati sul Brasile. Perché è lì che si trova la porzione più grande della foresta amazzonica, e perché l’amministrazione guidata da Jair Bolsonaro si è rivelata un periodo nero, in cui le misure di protezione ambientale sono state allentate e le agenzie di controllo sono state progressivamente svuotate dai loro poteri. Quando ha iniziato il suo quarto mandato da presidente del Brasile dopo un lungo stop, Lula ha promesso di porre fine alla deforestazione in Amazzonia entro il 2030. È ancora troppo presto per poter dire se riuscirà a raggiungere questo traguardo. Ma, per ora, appare sulla buona strada.
La deforestazione in Brasile è infatti calata del 36% tra il 2022 e il 2023, raggiungendo il suo livello più basso dal 2015. In Amazzonia il declino è ancora più marcato, con un -39% anno su anno. Una vittoria per l’intero Pianeta, perché l’Amazzonia ha un valore senza eguali in termini di biodiversità e stoccaggio della CO2. Certo, non mancano i motivi di preoccupazione. Il 2023 è stato anche l’anno in cui la stessa Amazzonia ha vissuto una siccità senza precedenti, che ha favorito anche il dilagare degli incendi nella città di Manaus e nello stato di Roraima. Oltretutto, sia la savana del Cerrado sia l’area umida del Pantanal hanno vissuto una drammatica perdita di area forestale. La prima per via dell’espansione di coltivazioni e allevamenti, la seconda per gli incendi.
Anche la Colombia arrivava da anni difficili. A partire dall’accordo di pace siglato con le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia), infatti, nelle aree forestali precedentemente controllate dai miliziani si sono insediati altri gruppi armati e speculatori. Anche in questo caso, il cambio di approccio corrisponde a un cambio di governo, con l’insediamento di Gustavo Petro Urrego come presidente nell’agosto del 2022. Anche grazie ai negoziati con i gruppi armati, nel 2023 la deforestazione è crollata del 49% rispetto al 2022.
La deforestazione galoppante in Bolivia, Laos e Nicaragua
La situazione è di segno opposto in Bolivia, reduce dal terzo record di deforestazione in tre anni. 251mila ettari (poco più della metà del totale) sono andati distrutti dagli incendi, spesso e volentieri appiccati deliberatamente per prendere possesso dei terreni o fare spazio ai pascoli. Il problema è che, con il clima caldo e secco, le fiamme si propagano fuori da ogni controllo. E il 2023 è stato un anno torrido, per l’effetto combinato del riscaldamento globale e di El Niño.
L’agricoltura è la principale indiziata anche in Laos. Un Paese che nel solo 2023 ha perso l’1,9% delle foreste primarie che gli erano rimaste: la deforestazione ha fatto un salto in avanti del 47% rispetto al 2022 che, paradossalmente, era già stato un anno record. A spingere per un’espansione dei terreni agricoli a tutti i costi è da un lato la Cina, dall’altro la povertà dei contadini, alle prese con la crisi economica e l’inflazione.
Il Nicaragua, dal canto suo, nell’arco di un solo anno ha perso il 4,2% delle sue foreste primarie rimaste, cioè circa 60mila ettari. Oltre all’agricoltura, il report punta il dito contro gli allevamenti di bovini e le miniere d’oro, entrambi capisaldi dell’economia del Paese, soprattutto in termini di export.
Valentina Neri