Nella seconda metà del 2023, i popoli dell’Amazzonia hanno dovuto fare i conti con una siccità estrema. Non è stata una casualità, bensì una chiara conseguenza del riscaldamento globale. Lo dimostra uno studio del World Weather Attribution
Quando pensiamo all’Amazzonia, la immaginiamo verde, rigogliosa, brulicante di vita. D’altra parte, è la foresta pluviale più grande del mondo: il suo elemento identitario non può che essere l’acqua. Nella seconda metà del 2023, il polmone del nostro Pianeta ha cambiato volto, sfigurato da un’interminabile ondata di siccità. Un fenomeno di portata storica che è un chiaro effetto dei cambiamenti climatici in corso. Lo dimostra uno studio del World Weather Attribution.
La siccità che ha cambiato volto all’Amazzonia
Nella seconda metà del 2023 una stagione secca più lunga e severa del solito, unita alle temperature torride, ha cambiato volto all’Amazzonia. Il livello dei fiumi si è abbassato a una velocità inusitata, migliaia di pesci sono morti, l’acqua fangosa è diventata imbevibile, le fiamme degli incendi si sono estese su 9,4 milioni di ettari tra gennaio e novembre. Al porto di Manaus, dove il Rio Negro confluisce nel Rio delle Amazzoni, l’acqua è scesa al livello più basso mai registrato dal 1902. La stessa Manaus, capitale dello Stato di Amazonas, per giorni si è trovata avvolta da un’aria grigia, densa e irrespirabile.
Le conseguenze per la popolazione
Per i trenta milioni di persone che vivono nel bacino dell’Amazzonia, e che dipendono dall’ecosistema per la propria sopravvivenza, è stato un duro colpo. I fiumi sono fonti di energia idroelettrica, sulla quale il Brasile fa affidamento per ricavare l’80% della propria elettricità, la Colombia il 79% e il Venezuela il 68%. Tant’è che da giugno si sono susseguiti vari blackout.
I villaggi indigeni, raggiungibili soltanto via fiume, si sono trovati improvvisamente isolati. Le comunità locali, dunque, non sono più riuscite a vendere i loro prodotti agricoli, né ad approvvigionarsi di cibo dall’esterno, né a raggiungere gli ospedali. “Dipendiamo in tutto dalla natura”, ha raccontato Maria Vanessa Tavares de Souza, insegnante trentaseienne che vive a Serafina, sul fiume Canaticu. “Ora che i cambiamenti climatici hanno sbilanciato tutto, sarà difficile per noi vivere qui”.
Il ruolo dei cambiamenti climatici in Amazzonia
Ma è corretto dare la colpa ai cambiamenti climatici? Per mesi la comunità scientifica si è confrontata su questo tema. Una delle ipotesi più accreditate vedeva la causa nel ritorno di El Niño, un fenomeno meteorologico periodico in cui le acque superficiali dell’oceano Pacifico centro-meridionale e orientale si scaldano, con una serie di conseguenze a cascata in varie zone del mondo. Di norma, El Niño si ripresenta a intervalli di due-sette anni e dura tra i nove e i dodici mesi.
Gli esperti del World Weather Attribution, però, smentiscono quest’ipotesi: se l’Amazzonia è stata interessata da una siccità così intensa, è per via dei cambiamenti climatici. Per essere più precisi, confrontando i dati osservati e i modelli climatici emerge che la siccità meteorologica (che corrisponde alla scarsità di piogge) è diventata dieci volte più probabile, mentre la siccità agricola (che considera sia le piogge scarse, sia l’evotraspirazione) è diventata trenta volte più probabile. Senza il riscaldamento globale provocato dall’uso di combustibili fossili e dalla deforestazione, la siccità non sarebbe stata “eccezionale” ma soltanto “severa”.
Potrebbero non essere fenomeni isolati
Episodi del genere, dunque, non resteranno isolati: se la temperatura media globale salirà di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, la siccità agricola si verificherà una volta ogni 10-15 anni e quella meteorologica una volta ogni trent’anni. Vale a dire, con una frequenza che è rispettivamente quattro volte e tre volte maggiore rispetto a quella attuale. Un quadro che, purtroppo, appare credibile. Per quanto l’Accordo di Parigi preveda di fare “tutto il possibile” per restare vicini alla soglia degli 1,5 gradi, anche una piena applicazione delle promesse di riduzione delle emissioni (ndc, nationally determined contributions) condurrebbe comunque a un aumento di 2,9 gradi centigradi nell’arco di questo secolo.
Climate change, not the strong El Nino is the real game changer in driving the exceptional drought in Amazon river basin – home of the the largest rainforest in the world. New & worrying @WWAttribution study https://t.co/OIUYa6e7H3 pic.twitter.com/JJAu9KYK7x
— Dr Friederike Otto (@FrediOtto) January 24, 2024
Cosa sono gli studi di attribuzione
Il compito del World Weather Attribution è tanto importante quanto delicato. È infatti scientificamente assodato come gli eventi meteo estremi siano destinati a diventare più intensi e più frequenti per via del riscaldamento globale; ciò non significa, però, che ogni uragano, ciclone o ondata di siccità sia una conseguenza diretta dell’aumento delle temperature. Per accertarlo servono, appunto, gli studi di attribuzione.
Queste analisi fanno perno sui cosiddetti modelli climatici, cioè simulazioni complesse dell’atmosfera, degli oceani e delle terre emerse. Grazie a essi, calcolano quante probabilità ci sarebbero di assistere a uno specifico fenomeno (in questo caso, la siccità in Amazzonia) in un mondo ideale privo di emissioni di gas serra di origine antropica. Se nei modelli l’evento risulta molto meno intenso, oppure si verifica molto più di rado, allora è lecito supporre che sia dipeso dall’aumento della temperatura media globale.
Valentina Neri