Wise Society : Coronavirus, come spiegarlo ai bambini

Coronavirus, come spiegarlo ai bambini

di Maria Enza Giannetto
4 Marzo 2020

Raffaele Mantegazza, professore di Pedagogia generale all’Università Bicocca, parla del giusto approccio da utilizzare con i più piccoli: «Creare uno spazio di dialogo e rispondere alle loro domande, mostrando serenità. No al silenzio degli adulti».

I bambini ci ascoltano, si sa. E i bambini, in questi giorni, non fanno altro che sentir parlare di Coronavirus. Come fare, allora, a spiegare ai più piccoli di cosa si tratta, senza spaventarli ma insegnando loro a prendere le giuste precauzioni?

No alla censura e al silenzio

«E’ importante avere il coraggio di parlare perché la cosa peggiore è il silenzio e il lasciar spazio alla paura e al non detto», spiega Raffaele Mantegazza, professore di Pedagogia generale e sociale all’Università di Milano Bicocca. «I bambini stanno vivendo un momento storico particolare, soprattutto quelli nelle zone rosse, dove le scuole sono chiuse da giorni. Non si può non raccontare quello che sta succedendo, perché hanno il diritto di sapere e sono molto più spaventati dal silenzio adulto che da una spiegazione fatta in modo semplice e che non deve necessariamente essere scientifica e accurata, ma sincera».

Da cosa partire per spiegare il Covid19 ai più piccoli

Spazio quindi alla condivisione, al dialogo e alla parola che non deve puntare però sugli aspetti più critici della situazione ma partire da quelli di attività.

«È buona norma prendere spunto dai consigli di prevenzione, ovvero dal perché bisogna lavarsi spesso e bene le mani e perché non bisogna starnutire in faccia alla persone», continua Mantegazza. «Se noi partiamo non dal virus ma da quello che possiamo fare per prevenire il contagio, trasferiamo ai bambini un messaggio di tranquillità. Si può quindi arrivare a parlare di contagio e trasmissione del virus, ma mostrando serenità nelle spiegazioni».
Altra regola d’oro, oggi più importante che mai, è ascoltare i bambini e rispondere alle loro domande. «È  bene partire sempre dalla domanda del bambino – aggiunge Mantegazza – , rispondendo con serenità e dando sempre l’impressione, non di sapere tutto, ma di non rimanere spiazzati di fronte ai loro quesiti. Una cosa interessante, per esempio con ragazzini dagli 8 anni in su, è anche capire cosa sanno loro, cosa hanno capito finora. Insomma, è importante che abbiano uno spazio dove esprimere le paure che questo momento evoca».

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Media e rete, possono essere d’aiuto?

Pullulano in rete e nei vari media decaloghi, spiegazioni, vignette e video che, in qualche caso possono anche essere utili per fornire maggiori informazioni e catturare l’attenzione dei più piccoli. L’importante, però, è non lasciarli mai da soli davanti a questo flusso continuo e incontrollato di notizie.

«In questo momento – continua Mantegazza  – bisogna stare più attenti che mai all’uso di internet e dei media. In questi giorni in Rete è stato diffuso di tutto, ci sono state notizie, contro-notizie e anche tante speculazioni, quindi non lascerei che l’unica fonte di informazione per i ragazzi fosse internet. Noi adulti siamo in grado di capire se una notizia è affidabile o se è una bufala, è quindi necessario filtrare le informazioni e fornire solo quelle necessarie. Per esempio, non è utile, né necessario dare ai bambini cifre e statistiche stilando liste di contagi e decessi».

Il ritorno a scuola come opportunità di dialogo

Augurandoci che la situazione rientri al più presto e che i bambini e i ragazzi possano fare ritorno, al più presto, alla loro quotidianità, è auspicabile pensare che anche il rientro a scuola va gestito con attenzione.

«Mi auguro – conclude il pedagogo – che la ripresa scolastica non coincida con una valanga di verifiche e di compiti. Spero che gli insegnanti sappiano capire che il rientro dovrà essere una gioia per i ragazzi e che non andranno terrorizzati con interrogazioni a catena. Sarà, invece, opportuno utilizzare la contingenza fornita da questo periodo storico particolare per farne un fatto culturale. Può essere un modo per tornare a parlare con i ragazzi di attualità».

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