Secondo Greenpeace, che aderisce al "Buy nothing day" in risposta al Black Friday, ogni anno compriamo il 60% in più di capi d’abbigliamento che inquinano e durano meno
Capi a buon mercato sì ma spesso usati troppo poco o mai. Ma quanto inquinano? Secondo una ricerca pubblicata da Greenpeace Germania il business dell’abbigliamento a basso costo è in costante crescita.
Infatti, in media, una persona acquista il 60 per cento in più di prodotti d’abbigliamento ogni anno e la loro durata media si è dimezzata rispetto a 15 anni fa producendo montagne di rifiuti tessili. E a crescere, oltre al consumo, è naturalmente anche la produzione di vestiti raddoppiata dal 2000 al 2014, con vendite passate da un miliardo di miliardi di dollari nel 2002 a 1,8 miliardi di miliardi nel 2015 destinati a diventare 2,1 miliardi di dollari nel 2025. Per questo Greenpeace aderisce il 25 novembre al Buy nothing day, la giornata del non acquisto nata in Canada per promuovere un consumo più critico e consapevole e che si celebra lo stesso giorno del Black friday.
Un modello di business, quello del consumo usa e getta che, secondo Greenpeace, è da ripensare dato che per l’ambiente e anche per le tasche dei consumatori sarebbe più utile produrre capi più duraturi, riparabili e riutilizzabili. E magari non in fibre sintetiche come il poliestere presente nel 60% dell’abbigliamento, che emette quasi tre volte più CO2 nel suo ciclo di vita rispetto al cotone e che può impiegare decenni a degradarsi contaminando l’ambiente marino sotto forma di microfibre in plastica.
«Difficile resistere alla tentazione di un buon affare, ma l’offerta di prodotti a basso costo fa sì che consumiamo e produciamo rifiuti a un ritmo più elevato di quello che il nostro pianeta può sostenere» afferma Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace. Che aggiunge: «Come consumatori prima di effettuare il nostro prossimo acquisto chiediamoci: ne ho realmente bisogno?»