Il servizio, che funziona scattando una foto e inviandola tramite smartphone, si chiama Plastic Radar ed è stato messo a punto da Greenpeace per classificare i rifiuti di plastica che galleggiano nei mari
Lo smartphone che ormai tutti abbiamo sempre tra le mani, anche in spiaggia, a partire dall’estate che è alle porte avrà una funzione in più: fotografare i rifiuti di plastica in mare a scopo di denuncia e rendersi parte attiva nella lotta a quello che oggi è considerato l’inquinante più pericoloso per l’ambiente marino. È questo l’obiettivo di «Plastic Radar», il servizio lanciato da Greenpeace per favorire un turismo attivo. Per partecipare all’iniziativa, basta utilizzare la più comune applicazione di messaggistica istantanea, Whatsapp: inviando le segnalazioni al numero 342-3711267, assieme alle coordinate geografiche del luogo in cui ci si trova. Per effettuare una segnalazione sarà necessario scattare una foto del rifiuto o dei rifiuti di plastica e, se possibile, fare in modo che sia riconoscibile il marchio e il tipo di plastica di cui è costituito. Ogni segnalazione viene elaborata da Greenpeace e i dati relativi a tipo di rifiuto e posizione saranno disponibili in forma aggregata in tempo reale sul sito plasticradar.greenpeace.it.
UN’OCCASIONE PER FARE LUCE SULLE AZIENDE VIRTUOSE – Attraverso il portale sarà possibile consultare i risultati e scoprire quali sono le tipologie di imballaggi più comuni nei mari italiani, a quali categorie merceologiche appartengono, se sono in plastica usa e getta o multiuso e da quali mari italiani arriva il maggior numero di segnalazioni. «Con questa iniziativa invitiamo tutti gli amanti del mare a non rassegnarsi a convivere con la presenza di rifiuti in plastica, ma ad accendere i riflettori su questo grave inquinamento che rappresenta una delle emergenze ambientali più gravi dei nostri tempi», afferma Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia. «Se vogliamo fermare l’inquinamento da plastica nei nostri mari, è necessario che le grandi aziende affrontino concretamente le loro responsabilità, in particolare riguardo la plastica monouso, avviando immediatamente programmi che riducano drasticamente il ricorso all’utilizzo di imballaggi e contenitori in plastica usa e getta».
PER DEGRADARE UNA CANNUCCIA SERVONO 500 ANNI – L’iniziativa ha lo scopo di sensibilizzare la popolazione italiana su una problematica che ha un riflesso diretto sull’ecosistema e ancora poco conosciuto sull’uomo. A partire dagli anni cinquanta le grandi multinazionali hanno invaso le nostre vite con enormi quantitativi di plastica, spesso senza darci alternative. Basta entrare in un supermercato o in un negozio per rendersi conto di quanta plastica (spesso inutile) viene utilizzata per confezionare alimenti, bevande, prodotti per l’igiene domestica e personale. Nell’ordine, i contenitori per bevande, per alimenti per prodotti destinati all’igiene della casa e della persona e accessori per la pesca: questi gli articoli che più di frequente si riscontrano sulle nostre coste. Oltre il novanta per cento della plastica prodotta non è mai stata riciclata e quando finisce in mare può restarci anche per secoli: un sacchetto impiega fino a vent’anni per degradarsi, una cannuccia o una bottiglia impiegano fino a cinquecento anni, un contenitore in polistirolo fino a mille anni.
Twitter @fabioditodaro