L'organizzazione ambientalista ha puntato il dito contro i big brand della moda, proponendo un progetto per eliminare le sostanze chimiche tossiche dai loro capi. E 14 grandi nomi hanno già aderito al Detox Commitment
È la campagna Detox lanciata da Greenpeace nel novembre scorso. L’organizzazione ambientalista ha acquistato pantaloni, magliette, lingerie e abiti di vari marchi famosi realizzati in Cina e in altri Paesi in via di sviluppo, facendo poi analizzare i tessuti.
È risultato che per ogni marca, uno o più articoli analizzati contengono Npe (composti nonilfenoloetossilati) che possono rilasciare i corrispondenti nonilfenoli, pericolosi perché in grado di alterare il sistema ormonale dell’uomo.
I livelli più alti sono stati trovati per i marchi Zara, Metersbonwe, Levis, C & A, Mango, Calvin Klein, Jack & Jones e Marks & Spencer (M & S). Per Zara, inoltre, quattro dei capi analizzati presentavano alti livelli di ftalati e altri due tracce di un’ammina cancerogena derivante dai coloranti azoici.
È subito partito l’invito-provocazione lanciato ai brand della moda: eliminare le sostanze chimiche più pericolose impiegate nella lavorazione tessile, sostituendole via via con prodotti meno tossici. Il tutto sostenuto da una forte pressione mediatica sui social network e dalle manifestazioni inscenate da cittadini-consumatori davanti ai negozi monomarca di diverse città del mondo.
Convinti dal messaggio (o solo spaventati da tanta pubblicità negativa) 14 grandi marchi della moda hanno già aderito al Detox Commitment di Greenpeace. Sono Puma, Nike, Adidas, Li Ning, H & M, C & A, Marks & Spencer, Zara, Levi’s, Mango, Esprit, Unirlo, Benetton e ,da pochissimo, Limited Brands, proprietario dei marchi di biancheria intima Victoria’s Secret e La Senza.
«Oggi come oggi non esistono brand che sono del tutto ecofriendly o le cui produzioni si possano considerare totalmente toxic-free. Ovvio che chi ha aderito alla nostra roadmap mostra una sensibilità che apprezziamo, ma ci impegniamo a valutare i progressi reali che verranno fatti», sottolinea Tiziana Pallotta, consulente di Greenpeace Italia.
«Quello che noi chiediamo alle aziende con l’adesione al Detox commitment è un impegno che va ben al di là dei semplici requisiti delle leggi locali sopratutto nei Paesi a sud del mondo.
La sfida che chiediamo è quella di individuare, attraverso una pressione e un controllo sui propri fornitori, le possibili sostanze alternative da sostituire ai composti chimici pericolosi attualmente utilizzati per la fabbricazione dei propri prodotti, in modo da innescare un processo globale di “disintossicazione” lungo l’intera catena produttiva.
Con l’obiettivo di arrivare entro il 2020 all’eliminazione delle emissioni nocive da tutto il comparto tessile».