l mercato delle bioplastiche cresce nel mondo, portando benefici per l’ambiente. La ricerca scientifica lavora a renderla più performante e sostenibile
Le bioplastiche crescono. Secondo European Bioplastics, l’associazione europea di riferimento, l’industria mondiale dedicata al comparto, dopo un periodo opaco causa pandemia, ha ritrovato slancio. La previsione è che la capacità di produzione dovrebbe quasi triplicare, passando da circa 2,23 milioni di tonnellate nel 2022 a circa 6,3 milioni di tonnellate nel 2027. È una buona notizia, se si considera che le plastiche prodotte da biomasse sono un’alternativa utile per ridurre l’impiego della plastica tradizionale, derivante dalla raffinazione di gas fossile e petrolio. A questo incremento, si aggiunge anche il rilevante contributo della ricerca che sta cercando di creare le condizioni perché le bioplastiche siano più performanti, oltre che più sostenibili. Due recenti studi hanno messo in luce le proprietà della fotosintesi e dell’acido tartarico per creare plastiche green.
Bioplastiche: cosa sono e quali vantaggi offrono
Prima di illustrare le scoperte scientifiche, è bene definire cosa sono le bioplastiche. Esse costituiscono una grande famiglia di materiali diversi, con proprietà e applicazioni altrettanto varie. Secondo European Bioplastics, un materiale plastico è definito bioplastica se è a base biologica, biodegradabile o presenta entrambe le proprietà.
Esse “a base bio” (biobased), significa che il materiale ha origine biologica, in quanto è (in parte) derivato da biomassa. Nel caso delle bioplastiche, esse derivano da mais, canna da zucchero o cellulosa. Quali sono i vantaggi nel loro impiego? Innanzitutto quelle biobased riducono l’impiego di risorse fossili. Inoltre, la biodegradabilità permette di abbattere considerevolmente i tempi di smaltimento.
Il mercato delle bioplastiche è in ascesa
Il mercato mondiale delle bioplastiche è in crescita. Lo certifica European Bioplastics, secondo cui oltre a una capacità produttiva che continuerà ad aumentare, essa si diversificherà in modo significativo. L’imballaggio rimane il più grande campo di applicazione delle bioplastiche con il 48% (1 milione di tonnellate) del mercato totale nel 2022. I dati confermano inoltre che i materiali bioplastici sono già utilizzati in molti altri settori e il portafoglio di applicazioni continua a diversificarsi. Segmenti come l’automotive e i trasporti, l’agricoltura e l’orticoltura, nonché l’elettricità e l’elettronica continueranno ad aumentare moderatamente la loro quota relativa nei prossimi anni.
L’Asia è il protagonista principale, più del 40% delle bioplastiche attualmente prodotte proviene da qui, mentre in Europa si produce il 25% circa. L’Italia conta su una filiera che raggruppa 275 aziende e poco meno di 2900 addetti (dati 2021) ed esprime un fatturato superiore a 1 miliardo di euro, con una produzione di 123.350 tonnellate di manufatti compostabili, registra Assobioplastiche.
Bioplastica più resistente grazie a un ingrediente di cucina
Poste queste premesse, alla crescita del mercato è atteso un incremento di nuovi prodotti. Ciò comporta un importante contributo della ricerca industriale e scientifica. Tra quelle più recenti, sono due le scoperte messe in luce dagli scienziati che fanno ben sperare.
La prima è stata pubblicata dalla America Chemical Society e ha a che fare con un ingrediente usato in cucina: il cremor tartaro. Esso viene impiegato come agente lievitante. Un team di ricercatori della Korea Research Institute of Chemical Technology l’ha usato per rendere più resistente il polibutilene succinato (PBS), una resina polimerica termoplastica considerata il miglior sostituto alle plastiche tradizionali tra i polimeri compostabili e biodegradabili sul mercato. Nei test, i due film plastici prodotti hanno messo in mostra prestazioni lusinghiere, tanto che potrebbero essere utilizzati con successo per borse o imballaggi alimentari, affermano i ricercatori. Inoltre i due materiali allo studio hanno dimostrato essere più resistenti di molte plastiche biodegradabili convenzionali e persino di alcuni prodotti a base petrolio. Poiché la metodologia di lavorazione è tutto sommato semplice, il team coreano ipotizza che le nuove materie plastiche potrebbero essere prodotte utilizzando gli attuali processi industriali, sostituendo potenzialmente i polimeri realizzati con i fossili.
Luce e CO2 per produrre plastica “green”
Un secondo studio ha potenzialità di grande interesse perché intende sfruttare la CO2, mettendo a punto un metodo che impiega la luce del sole. Si sa come i i problemi ambientali causati dal riscaldamento globale sono diventati più evidenti a causa dei gas serra come l’anidride carbonica. Nella fotosintesi naturale, essa non viene ridotta direttamente, ma si lega a composti organici che vengono convertiti in glucosio o amido. Imitando questo processo, la fotosintesi artificiale potrebbe ridurre la CO2 combinandola in composti organici da utilizzare come materie prime, che possono essere convertite in forme durevoli come la plastica.
Nel caso specifico il team di scienziati della Graduate School of Science dell’Università metropolitana di Osaka ha sintetizzato – grazie alla luce del sole – l’acido fumarico, normalmente sintetizzato dal petrolio, per essere utilizzato come materia prima per la produzione di plastiche biodegradabili, tra queste il già citato PBS. In futuro, il team intende raccogliere la CO2 gassosa e usarla per sintetizzare direttamente l’acido fumarico attraverso la fotosintesi artificiale.
Andrea Ballocchi