Nichel, cobalto, terre rare: ricavare da alcune specie di piante elementi preziosi per la transizione energetica è possibile con l’agromining, processo ecologico dalle grandi potenzialità
L’agromining potrebbe rivelarsi la prossima frontiera sostenibile per estrarre metalli preziosi: non più dalle miniere, ma dalle piante. Nichel, cobalto, manganese, zinco, persino oro e terre rare possono essere ricavati in un modo decisamente più sostenibile rispetto al processo estrattivo dalle miniere. Nel mondo si contano centinaia di specie vegetali capaci di accumulare minerali nelle foglie. Sono i cosiddetti iperaccumulatori, che permettono di assicurare – se la coltivazione prenderà piede – lusinghiere quantità di questi elementi preziosi.
Dal legno di macadamia (l’iperaccumulatore forse più noto), all’alisso di Bertoloni (pianta endemica dell’Italia centrale) sono presenti in tutto il mondo, garantendo capacità di accumulo importanti.
Pensiamo solo al nichel: è un elemento molto ricercato, cruciale nella produzione di batterie agli ioni di litio e acciai speciali. Il prezzo del nichel si aggira attorno ai 20mila euro alla tonnellata, l’anno scorso aveva superato i 30mila euro/tonnellata. E allora andiamo ad approfondire l’argomento capendo più precisamente cos’è l’agromining e quali vantaggi può garantire.
Cos’è l’agromining: significato e caratteristiche
L’agromining è il processo di coltivazione di piante che assorbono il metallo attraverso il suolo, un meccanismo elegante per pulire terreni avvelenati e magari raccogliere componenti di batterie come nichel e cobalto senza creare buchi nel terreno e devastare gli ecosistemi circostanti.
Sono piante idonee a vivere nei terreni ultramafici, quelli tipicamente ricchi di nichel, cromo e cobalto e carenti di nutrienti essenziali, poco attraenti per l’agricoltura tradizionale, ma un’opzione ecologica per il recupero dei metalli.
L’esempio della Pycnandra, accumulatrice di nichel
Nel mondo circa 700 specie di piante sono in grado di accumulare minerali nelle foglie in maniera consistente. Un esempio: la Pycnandra acuminata tropicale, che cresce in Indonesia, è in grado di accumulare il 4% di nichel nelle foglie. Significa che è possibile su circa 300 kg di nichel per ettaro all’anno nella biomassa raccolta. L’albero viene coltivato, i rami tagliati, quindi bruciati e la cenere è composta per circa il 40% da nichel. Considerando il prezzo corrente del nichel, si tratta di un fatturato superiore ai 6mila euro per ettaro.
Una caratteristica unica del nichel di origine biologica è l’elevata purezza influenzata dalla coltura del metallo, con la biomassa incenerita contenente il 20–30% di nichel e poche impurità solitamente associate ai minerali di nichel. Ciò rende questi bio-minerali ideali per applicazioni specifiche, in particolare per le batterie Li-Ion, quelle che hanno un ampio utilizzo, dagli smartphone alle auto elettriche, oltre che varie applicazioni in campo industriale, aerospaziale, militare.
Come funziona l’agromining
Il procedimento alla base dell’agromining si basa sull’adattamento di alcune piante ai terreni contenenti grandi quantità di metalli. Generalmente, il metallo è tossico per i vegetali. Uno dei modi in cui le piante affrontano questo problema è l’iperaccumulo. Fondamentalmente, le piante che funzionano come iperaccumulatori stivano tutti i metalli nelle foglie. Questo aiuta anche la pianta rendendola sgradevole agli erbivori.
L’agromining è una variante della fitoestrazione, tecnica che utilizza piante iperaccumulatrici per assorbire il metallo nella biomassa vegetale raccoglibile. La prima fase del processo di estrazione consiste nella combustione dei raccolti, che produce energia e ceneri ricche di nichel. Queste ceneri vengono poi sottoposte a molteplici trattamenti chimici per estrarre i sali di nichel, che vengono utilizzati per scopi industriali. La raccolta, l’essiccazione e l’incenerimento della biomassa generano un biominerale di alta qualità.
Le prospettive dell’agromining: Farming for metals
L’agromining potrebbe fornire alle comunità locali un tipo alternativo di agricoltura su terreni degradati: non per colture alimentari, ma per metalli, rispettando così la biodiversità e anche gli agricoltori locali. Eppure, malgrado i numerosi esperimenti di successo, l’agromining (e la variante fitomining) non hanno trovato l’applicazione che meriterebbero. Ma la necessità di poter contare su sempre più importanti quantitativi di nichel, cobalto e altre materie critiche oltre alle terre rare potrebbe cambiare le cose quanto prima.
Le potenzialità non mancano: secondo i risultati del progetto di ricerca europeo Life-Agromine, i terreni ultramafici in Europa spaziano per circa 10mila km2. Nello stesso progetto, terminato nel 2020, sui 20 ettari coltivati nel 2020 in Albania e in Grecia si sono prodotte da 7 a 15 tonnellate di biomassa per ettaro e da 90 a 160 kg di nichel per ettaro.
Questi risultati confermano la bontà dell’agromining e la prospettiva di generare la cosiddetta farming for metals, ovvero l’agricoltura dei metalli.
Il sistema pionieristico di agromining del nichel è ormai ben noto e il suo processo di estrazione è oggetto di brevetto internazionale. Questo sistema fornisce sali di nichel adatti a scopi industriali, ha una valutazione del ciclo di vita positiva, rispetto alle tradizionali procedure di estrazione, e, come è stato recentemente notato in Albania, dopo 10-20 anni di coltivazione del murale di Alisso di Bertoloni, può aiutare i terreni a diventare fertili e adatti alla semina. Il processo di farming for metals può trovare molte applicazioni, dalla bonifica degli ex siti minerari ad applicazioni mediche, trasformando il legname metallico in biomasse di integratori alimentari (zinco e selenio, in particolare).
Le piante utili per l’agricoltura dei metalli
Si è detto che sono 700 circa le specie che possono essere adatte allo scopo. In Italia si deve a una botanica e docente di Fisiologia vegetale all’Università di Firenze, Ornella Vergnano, la scoperta delle proprietà nichel-accumulatrici dell’alisso di Bertoloni, (Alyssum bertolonii) una pianta appartenente alle brassicacee (di cui fanno parte cavoli e verze): è in grado di accumulare quantità di nickel in quantità duemila volte maggiori rispetto a una pianta tipica.
La felce Dicranopteris linearis cresce naturalmente sugli scarti di ex miniere nel sud della Cina ed è classificata come iperaccumulatrice di terre rare come lantanio, neodimio, cerio e praseodimio.
Noccaea caerulescens è in grado di estrarre cadmio e zinco. La Phyllanthus balgooyi può raggiungere quantitativi addirittura superiori al 16% di nichel in peso nel suo essudato. Il legno di macadamia, noto iperaccumulatore, ha rivelato una grande abilità nell’assorbire il manganese.
I vantaggi potenziali e reali dell’agromining
Le opportunità che potrebbe generare l’agromining sono molteplici. L’energia prodotta attraverso la combustione delle piante può essere utilizzata per il riscaldamento o per generare elettricità. Le ceneri rimanenti, dopo l’estrazione del nichel, possono essere utilizzate come fertilizzante per nuove colture.
In linea con il concetto di economia circolare, il procedimento di estrazione naturale proprio dell’agromining ha due scopi e vantaggi: produrre metalli e disintossicare i terreni. Non entra in contrasto con l’agricoltura, bensì è complementare ed è in grado di aiutare a ricreare condizioni ideali di fertilità in terreni degradati.
Esistono piante capaci di crescere in questi terreni, e alcune di esse riescono addirittura a estrarre i metalli tossici attraverso il loro apparato radicale, immagazzinandoli negli organi aerei. L’agromining sarebbe un viatico alla decarbonizzazione di un settore, quello minerario estrattivo, fortemente impattante: basti pensare che il nichel ha la più alta intensità di CO2 tra tutti i metalli. Anche la lavorazione, la fusione e la raffinazione del nichel comportano le emissioni di CO2 più elevate dei metalli estratti.
Andrea Ballocchi