Dalla pianta millenaria un'alternativa alle cure farmacologiche a cui la maggior parte delle popolazioni dell'Africa e del Sudamerica non ha accesso. Un progetto al quale sta lavorando una Ong italiana
E’ una pianta antica, ma può aprire nuove prospettive nella cura della malaria. L’Artemisia annua, due metri di altezza, foglie dentellate a spina di pesce e lunghissimi steli, viene utilizzata nella medicina cinese da oltre duemila anni, mentre in Europa è conosciuta per i suoi effetti benefici sulle dermatiti. Nelle zone più povere del mondo, però, potrebbe riuscire ad arginare, e con il tempo sconfiggere, una delle più gravi pandemie mondiali. Va ricordato, però, che la malattia non potrà mai essere sconfitta senza cambiamenti radicali dell’ambiente o grazie a un vaccino che, almeno per ora, non si profila all’orizzonte.
Ogni anno contraggono la malaria mezzo miliardo di uomini, donne, bambini, vecchi e giovani, persone costrette a convivere con una malattia che si manifesta con febbri fortissime, grande spossatezza. Tra i contagiati, moltissimi (circa due milioni) soccombono, con gravi effetti anche sull’economia dei microsistemi.
Le terapie farmacologiche antimalariche esistono, ma pochi vi hanno accesso: nelle zone più remote dell’Africa, dell’Asia e del Sud America è molto difficile farle arrivare. I costi, poi, sono proibitivi: un dollaro a dose, per una terapia che va dai 3 ai 7 giorni, per una famiglia africana media che vive nella foresta significa rinunciare al cibo.
Icei sta lavorando a una Piattaforma internazionale per portare avanti l’importante progetto. Chi vuole contribuire , può contattare Icei, www.icei.it oppure [email protected]