Il direttore dell'Istituto Italiano di Tecnologia spiega come l'uso delle nanoparticelle giovi anche alla medicina e alla farmacologia.
Negli ultimi quindici anni tutte le tecnologie di manipolazione e di sintesi hanno raggiunto la risoluzione del nanometro, pari a un miliardesimo di metro. Nei prossimi quindici ci avvicineremo al traguardo dei nove miliardi di abitanti sul pianeta, fissato per il 2050. Da quel momento in poi potremmo vedere una macchina alimentata come l’essere umano: con altissima efficacia e ridotto dispendio energetico. Se ciò avverrà, il merito sarà delle nanotecnologie, che prima di arrivare all’elettronica si candidano però a risolvere problemi ben più urgenti: dalla diagnostica di alcune malattie alla messa a punto di farmaci intelligenti. Fino alla realizzazione di supporti in grado di rendere l’acqua delle falde potabile. «Siamo di fronte alla più grande forma di sviluppo, dopo l’introduzione della meccanica quantistica del secolo scorso», esordisce Roberto Cingolani, una laurea in fisica e anni di ricerca nel campo dei biomateriali, da dieci anni direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia.
Professor Cingolani, dove ci porteranno le nanotecnologie?
Verso profonde innovazioni nell’analisi e nella diagnosi precoce, ma anche nello sviluppo di terapie personalizzate. Avremo materiali artificiali biocompatibili, utili anche nel campo dell’ingegneria tissutale e del trapianto di organi. All’orizzonte ci sono nuove forme di tecnologia con un profondo significato sociale. Tra qualche anno si potranno adottare campagne di screening di massa, per l’uomo e per l’ambiente, anche nei Paesi più poveri con una sensibilità eccezionale.
Come si è arrivati a svilupparle?
In natura la materia vivente è composta da sei elementi: l’ossigeno, il carbonio, l‘idrogeno, l’azoto, il calcio e il fosforo. La varietà è assicurata dal diverso assemblaggio di questi atomi. La biodiversità è tutta nella difformità architettonica con cui questi si dispongono e da come li proiettiamo nello spazio. Una volta che siamo riusciti a portarli a livello delle scale più piccole, sono nate le nanotecnologie.
Andiamo con ordine: cosa intende con diagnostica alla portata di tutti?
Oggi siamo noi ad andare negli ospedali, fra cinquant’anni saranno gli ospedali a camminare dentro di noi. La diagnostica arriverà nel punto di cura. Ma noi non stiamo inventando nulla. Stiamo soltanto potenziando la capacità di rilevamento di alcuni marcatori per anticipare le diagnosi. In questo modo si potranno rilevare molte malattie, ma anche episodi di sofisticazione degli alimenti, tracce di droga o di mercurio nell’acqua. Dalle analisi che richiedono una settimana per conoscere l’esito, si passerà a test in grado di consegnarci i risultati in tempo reale. E si lavorerà su piccolissime quantità di campioni prelevati dal paziente (saliva, sangue o capelli) o dal sistema che si vuole analizzare (come cibo o animali).
In quale modo cambieranno le terapie?
Una volta rilevato un patogeno, il passaggio successivo starà nel dotare il sensore della capacità di distruggere questa cellula. Su questo occorre migliorare la selettività. Le cellule si riescono già a uccidere, ma occorrerà colpire soltanto quelle malate. Le tecnologie a rilascio mirato di medicinali rappresentano ancora una frontiera della ricerca, anche se molti passi sono già stati fatti. Ecco perché, per curarsi, non sarà più necessario andare in ospedale.
La vera emergenza di questo secolo è l’acqua: come possono risolverla le nanotecnologie?
Aumentando l’accesso alla risorsa. Recuperandola dalle falde, purificandola e rendendola potabile. Chi vuole incidere sul futuro del pianeta deve confrontarsi con questo problema e chiedersi cosa ne sarà dell’uomo tra cento anni. Prima di portarlo su Marte, ci sono problemi più urgenti da risolvere: come la neurodegenerazione, l’antropizzazione delle terre e la carenza di acqua. L’acqua è tutto. Chi ce l’ha si assicura energia e tecnologia, le chiavi del welfare del giorno d’oggi. E le nanotecnologie si candidano a essere una soluzione per avvicinare i destini dei Paesi benestanti a quelli dei più poveri.
Cosa manca, allora, per vedere decollare le nanotecnologie?
Serve un grande impegno dei governi delle nazioni che oggi sfruttano la maggior parte delle risorse. Occorre innalzare il benessere laddove non c’è. Ma serve anche pensare a una nuova idea di sviluppo, dove il benessere già esiste. Queste nuove tecnologie potrebbero guidare una nuova rivoluzione, creando materiali a basso impatto ambientale, senza aggravi per il pianeta. E se l’inversione di tendenza partisse proprio dalle nanotecnologie?
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