Wise Society : L’autocostruzione non è solo per i paesi in via di sviluppo
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L’autocostruzione non è solo per i paesi in via di sviluppo

di Marco Valsecchi
23 Aprile 2014

Alessio Battistella, architetto di ARcò, ci spiega perché puntare sui materiali non convenzionali anche se la legislazione, in linea teorica, lo impedisce

Uno dei progetti ARcò Nata come cooperativa di architetti e ingegneri interessati a risolvere problemi contingenti attraverso un’interpretazione “estetica e quindi sensibile della realtà”, ARcò ha operato spesso nelle zone d’emergenza promuovendo progetti sostenibili e a basso costo. Ma la sua attività si estende, attraverso la didattica e la formazione, anche in Italia. In occasione della Design Week 2014 milanese, il gruppo ha promosso un workshop di autocostruzione all’interno di Yatta!, il nuovo makerspace creato dall’associazione Codice&bulloni negli spazi messi a disposizione dal comune di Milano attraverso il bando “Creative Makers”. Abbiamo approfittato dell’occasione per chiedere all’architetto Alessio Battistella, socio di ARcò, perché è importante che l’autocostruzione diventi un tema sentito anche nel mondo occidentale.

Ha senso parlare di autocostruzione anche nel cosiddetto “primo mondo”?

Sì, perché l’autocostruzione permette di portare una qualità più alta dell’abitare a più persone a un costo ridotto. Basti pensare alle case di paglia: facili da costruire e in grado di avere pareti portanti capaci di farle arrivare fino a due piani. Non sono una soluzione di emergenza: in Francia, in Austria e in Germania sono molto usate.

Qui c’è meno attenzione per questo tipo di approccio?

La spinta non manca. In Italia c’è sempre più interesse verso materiali diversi. C’è interesse per la paglia, per la terra. Il problema è la legislazione. In teoria, non puoi costruire con materiali non convenzionali. A meno che tu non trovi un ingegnere che si prenda tutte le responsabilità. Di fondo, comunque, c’è un blocco che non permette la nascita di un sistema diverso in termini di modo di pensare.

Si preferisce restare in ambiti considerati più remunerativi?

Il nostro è un problema di mentalità prima ancora che di mercato. Il mercato, poi, nasce: c’è un’azienda italiana che ha iniziato a produrre mattoni in canapa, un prodotto che potrebbe avere grande diffusione. Così come, in altri paesi d’Europa, c’è chi ha iniziato a produrre pannelli prefabbricati in legno e paglia. Anche lì, il ritorno economico può essere notevole, perché questo è un mondo che si sta muovendo.

Rischia di essere l’ennesima occasione perduta?

Il rischio è che da noi vada come con le energie rinnovabili. Io mi sono occupato di eolico, ho avuto a che fare con sistemi e tecnologie che andrebbero così bene da non aver bisogno di incentivi. Ma poi si creano procedure allucinanti che bloccano tutto, avvantaggiando di fatto solo la criminalità.

Progetto ARcòQuali sarebbero, nel concreto, i vantaggi di un utilizzo di materiali non convenzionali?

Ci sono tantissimi vantaggi, in termini di leggerezza del materiale ed economicità. Se prendi la paglia, hai un materiale che traspira, non crea muffe ed è facile da smaltire. Se aggiungi intonaco di calce reso flessibile dalla canapa arrivi a una maggiore efficienza termica ed energetica. E l’aspetto ignifugo è ottimo. Anche la terra cruda offre grandi possibilità, sia facendone mattoni che con la tecnica del pisé, che permette di creare strutture simili a quelle in cemento armato, ma con argilla mista a paglia.

Dovremmo costruire come si costruisce nei paesi in via di sviluppo?

Noi, come ARcò, non siamo per nulla integralisti. Nel momento in cui si opera nel mondo occidentale, perché non inserire tra le componenti anche del cemento? Quello che ci vorrebbe, sarebbe del lavoro di ricerca finalizzato a capire come dosare le percentuali dei diversi materiali.

Molti dei membri di ARcò hanno avuto esperienze nel campo della ricerca…

Purtroppo, sappiamo bene come vanno le cose: o accetti di fare l’autista e il portaborse per qualcuno, oppure i concorsi non li vinci. Noi, allora, abbiamo preferito cercare di fare formazione indipendente, per creare un fronte comune. Fino all’anno scorso siamo stati co-coordinatori del master in Sustainable Architecture allo IED di Torino. Quello che vorremmo, adesso, è una struttura nostra. Non necessariamente fisica. L’importante sarebbe creare eventi formativi dove c’è un’esigenza.

Photo © Hill Street Studios/Blend Images/Corbis

Che tipo di didattica proponete?

A Milano avete portato i vostri workshop in uno spazio messo a disposizione dal Comune…Facciamo didattica mantenendoci indipendenti rispetto al mondo accademico. Il nostro target è composto da giovani architetti, alcuni ancora studenti, ai quali proponiamo di sporcarsi le mani. Oltre alla fase di progettazione, c’è sempre quella di realizzazione. Anche perché nei nostri corsi riproponiamo il metodo che utilizziamo per lavorare in situazioni di emergenza: prima di ogni lavoro facciamo un workshop interno in cui lavoriamo alla costruzione di un modello, che poi ci permette di lavorare più rapidamente e in modo più efficace sul campo.

All’interno di Yatta! vorremmo dare vita a una scuola che lavora con continuità. Trattandosi di uno spazio del Comune, sarebbe importante creare corsi al suo interno, ma organizzare anche interventi pratici nei luoghi pubblici della città. Come nei parchi, che spesso necessitano elementi di arredo urbano. Da parte nostra, ci sono volontà e disponibilità, vedremo se si riuscirà a trasformare l’idea in un progetto insieme all’amministrazione locale.

Sono argomenti che possono interessare anche i non addetti ai lavori?

Dovendo dare una definizione di autocostruzione, parlerei di “aumento della consapevolezza dell’abitare”. Un aspetto importante anche per l’utente finale. Quando parliamo di materiali non convenzionali, è importante che chi andrà a vivere nella struttura sappia che non è la casa dei tre porcellini, che rischia di crollare. Ma una casa che offre più qualità e più comfort grazie a materiali che hanno una grande dignità. Certo, è chiaro che così non puoi costruire grattacieli: questi materiali portano con sé anche un’idea di città, un’idea di comunità e sviluppo urbano. Temi politici, che riguardano tutti.

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