Vincenzo Linarello, presidente del Gruppo Goel, ha realizzato con il marchio "Cangiari" una filiera etica al cento per cento nel fashion system. Valorizzando il lavoro artigiano e difendendo la legalità in Calabria
Vincenzo Linarello, calabrese, si è sempre occupato di pacifismo, volontariato e lotta all’emarginazione sociale. Dopo diverse esperienze anche a fianco di Giancarlo Maria Bregantini, (l’ex vescono di Locri-Gerace) fonda con numerose aziende virtuose del territorio, il Gruppo cooperativo Goel vero e proprio progetto culturale di cambiamento per la Calabria. Nel 2008 è tra i promotori dell’Alleanza con la Locride e la Calabria che si propone di ostacolare il dilagare della ‘ndrangheta e delle massonerie deviate. L’anno dopo decide di fare il salto nel mondo della moda con una cooperativa artigianale femminile e un marchio etico capace di entrare nel ricco mercato del fashion-system portando un messaggio nuovo. Tutte queste coraggiose iniziative, però, hanno dato fastidio a qualcuno e proprio la sera del 31 dicembre 2011 c’è stato lo scoppio di una bomba di fronte alla sede di uno dei loro progetti in corso.
Ci racconta cosa è accaduto?
Presumibilmente la sera del 31 dicembre, è scoppiato un ordigno messo all’ingresso di un locale che noi avevamo preso in affitto per farne un ristorante multietnico a Caulonia (RC). In questo comune abbiamo un’attività significativa di accoglienza di immigrati, soprattutto rifugiati politici, adulti e minori non accompagnati. Dato che alcuni avevano iniziato a parlare la lingua italiana volevamo sperimentare una forma di inserimento lavorativo: ci è sembrata bella l’idea far mangiare africano ai calabresi. La bomba ci ha fatto un po’ di danni, ma noi non ci fermiamo. E il nostro ristorante lo apriremo in pompa magna probabilmente in occasione della prossima manifestazione dell’Alleanza per la Calabria, il primo marzo prossimo.
Si aspettava questo gesto?
In questa forma e con queste modalità no, ma motivi per essere scomodi e provocare il malcontento dei poteri occulti ce n’è molti e senza andare troppo lontano. Per esempio tutta la nostra attività d’accoglienza degli immigrati, poi la questione del pagamento equo dei produttori e dei braccianti che ha a che fare anche con i noti fatti di Rosarno. Noi ai nostri produttori, che sono tutti biologici, diamo un prezzo medio non inferiore ai 40 centesimi d’euro. Quindi li paghiamo 8 volte di più del mercato locale. Senza dimenticare che molti di loro hanno detto no all’andrangheta e subito delle intimidazioni.
Non è il primo atto intimidatorio che subisce, qual è il suo rapporto con la paura?
È una domanda che mi fanno spesso, io ripeto sempre che la paura c’è anche se dopo un po’ ci fai l’abitudine, ma penso anche che noi di Goel siamo dei privilegiati: il commerciante dall’altra parte della strada ha più paura di noi, per due ragioni. Innanzitutto perché c’è una differenza tra la paura subita e la paura scelta, la prima inibisce, la seconda da senso all’esistenza. Il secondo motivo sta nella differenza tra la paura vissuta da soli e la paura vissuta insieme. La paura vissuta insieme è un’altra cosa, ti fa sentire unito e solidale.
Cangiari, in calabrese significa “cambiare”: è molto di più di un marchio di moda, come lo definirebbe?
Cangiari (www.cangiari.it) è parte integrante di un progetto di cambiamento più ampio che si chiama Goel. Portato avanti da anni in Calabria e sul territorio nazionale, risponde a due scopi: quello concreto e locale di creare lavoro sul territorio, l’altro, proprio di ogni brand di moda, di comunicare. Ci è sembrato bello utilizzare questa forza comunicativa non solo per fare utili, ma per comunicare qualcosa di diverso: ovvero un modello di cambiamento per uno stile di vita sostenibile.
Chi lavora al marchio Cangiari?
Quella che è ora la cooperativa Made in Goel, all’inizio, dieci anni fa, era composta da un gruppo di donne coraggiose: tutte insieme decisero che l’antica, prestigiosa attività di tessitoria calabrese non doveva morire. Per iniziare questo percorso di recupero sono andate “a lezione” dalle magistre, vere e proprie maestre che erano ben più che delle semplici tessitrici del telaio a mano, erano delle anziane signore che avevano conservato l’arte dell’imbastitura del telaio. La storia è bella, se non fosse per un problema: per fare un pezzo di stoffa al telaio a mano, che di solito non è più largo di 70-80 cm si impiegano da 3 a 6 ore di lavoro. Pagando queste persone in modo adeguato ai contratti sindacali ne uscivano dei prezzi esorbitanti, che il mercato locale non riusciva a pagare. Nasce da qui l’intuizione di osare e destinare tessuti tanto preziosi al segmento più alto della moda, quella sartoriale personalizzata. E così è stato, Cangiari è diventato e continua ad essere il primo marchio etico alto della moda.
Quali fibre usate?
Nell’ultima collezione presentata, quella per l’estate abbiamo usato molto la seta, ovviamente biologica e per di più locale. Diciamo che i nostri tessuti tranne il lino e il cotone (bio) sono calabresi. La nostra seta buretta, cioè quella che non richiede l’uccisione del baco, è tutta fatta in Calabria, nella Locride da persone che la filano a mano secondo una tessitura calabrese. Abbiamo recuperato anche l’uso della ginestra dell’Aspromonte, la usiamo abbinata al cotone altrimenti rimane troppo rigida.
Quando vi siete presentati la prima volta Marina Spadafora faceva da supervisore ai giovani stilisti, lo fa ancora?
Marina Spadafora è ancora in azienda ma con un altro ruolo, quello della diffusione del marchio su Milano. Ora la nostra stilista per la prossima primavera/estate è Maria Paola Pedetta, fiorentina, che ha creato il marchio Cappa e spada: sta lavorando ad uno stile cucito su di noi, stile sempre più cucito su di noi, con un’identità forte che richiami subito al marchio Cangiari.
Cos’è successo dal 2009 ad oggi, Ovvero da quando vi siete presentati per la prima volta alle sfilate milanesi?
Nel settembre 2009 abbiamo fatto la prima uscita pubblica, l’anno successivo è andata benino, ma non come ci aspettavamo, il riconoscimento è arrivato con l’autunno/inverno 2011 e la collezione che è oggi in negozio. Siamo finalmente riusciti ad arrivare dove l’alta moda deve entrare: nelle migliori boutique italiane, ora siamo da Biffi e da Neglia a Milano, da Penelope a Brescia, da Luisaviaroma a Firenze. L’ultimo passaggio sarà l’estero. Da un lato ci lusinga l’essere riusciti a vendere in Italia in questi negozi, solo ed unicamente perché i nostri capi piacciono, dall’altro siamo dispiaciuti perché il mercato italiano ancora non riesce a valorizzare l’aspetto etico. Quello che interessa è che il capo sia bello e che sia “libero” dall’ndrangheta, il fatto che tutta la filiera sia etica in ogni suo passaggio, che ogni capo sia fatto in Italia al cento percento, che i tessuti siano in fibre naturali e biologiche, che si dia lavoro alle persone svantaggiate, che li si tratti in modo equo, che la certificazione sia ecologia e certificata, sono aspetti che per il mercato interno potrebbero anche non esserci.
All’estero è diverso?
Siamo stati al Salone del lusso a Parigi e abbiamo avuto modo di vedere che in Francia i cinque marchi che hanno connotazioni simili alle nostre sono tenuti in grande considerazione. L’altro segnale dell’interesse internazionale che abbiamo ricevuto l’ha dato Accenture, società di consulenza che fa pubblicità in tutto il mondo. È una delle più grosse società di consulenza dei grandi gruppi industriali: si sono interessati a noi, ci hanno apprezzato e hanno deciso di regalarci un piano commerciale. La ricerca di mercato che hanno commissionato per vedere quali sono i gruppi che sono pronti per un consumo etico, ci ha indicato alcuni paesi prioritari: Gran Bretagna, Francia, Svezia, Germania, per questo, dalla prossima collezione, penseremmo a un salto di qualità…
Parliamo di Calabria: cos’è l’Alleanza per la Locride e la Calabria?
Un’idea che nasce nel 2008. Avevamo avviato un lavoro sociale importante nel territorio con monsignor Carlo Maria Bregantini, quando lui fu spostato in modo assolutamente inaspettato a Bari. Formalmente è stata una promozione con il passaggio da vescovo ad arcivescovo, ma con modalità che nessuno di noi si aspettava. È stato il primo momento in cui abbiamo avuto paura, nonostante fossimo abituati a minacce e intimidazioni, quando abbiamo visto andar via Bregantini abbiamo temuto il peggio. A quel punto abbiamo capiato che ci voleva un sostegno esterno: l’aiuto di altre organizzazioni da altre regioni. Abbiamo pensato e detto: “dateci una mano a tirar fuori un’economia sociale pulita per riscattare la nostra terra, noi vi daremo una mano nelle vostre regioni per cacciare l’ndrangheta”, che è quello che stiamo facendo ora. Dall’Alleanza per la Locride e la Calabria sono nate molte esperienze, soprattutto in Emilia Romagna e Lombardia, in queste regioni noi stiamo cercando di aiutare la gente sul territorio a contrastare e allontanare le associazioni criminali.
Da quando avete inziato con l’Alleanza per la Locride e la Calabria ad oggi che cosa avete ottenuto?
L’Alleanza ha fatto alzare le antenne a tutti, ha fatto nascere dei provvedimenti molto concreti: il primo punto conquistato è non rimuovere il problema, il secondo: mettersi insieme perchè, come diceva Don Puglisi, se ognuno fa la sua parte in quello che gli compete, le cose cominciano a funzionare nel verso giusto.
Voi siete collegati a Libera, l’organizzazione fondata da Don Luigi Ciotti?
Siamo collegati ma non siamo in Libera, abbiamo grande stima reciproca, ma siamo distinti.
Qual è la molla per far alzare il capo ai calabresi?
La testa non la devono rialzare solo i calabresi, lo devono fare i loro ma anche tutti gli altri, io credo che la posta in gioco siano il futuro e l’economia della società intera: la sfida è riuscire a dire che l’etica è giusta e quindi funziona meglio e noi possiamo dimostrarlo.I calabresi tireranno su la testaquando inizieranno a vedere che Goel, non solo dice cose giuste, ma che, facendo e dicendo cose giuste e buone è diventata una della prime imprese nella Locride: questo risultato, da solo, delegittima l’economia mafiosa.