Presentate le linee guida, non vincolanti, "sui requisiti eco-tossicologici per gli articoli di abbigliamento, pelletteria, calzature e accessori”
Nel giugno 2012 la Camera Nazionale della Moda, allora presieduta da Giulio Boselli, pubblicava il “Manifesto della sostenibilità per la moda italiana”. In dieci articoli le aziende aderenti si ponevano l’obiettivo di «tracciare una via italiana alla moda responsabile e sostenibile e di favorire l’adozione di modelli di gestione responsabile lungo tutta la catena del valore della moda a vantaggio del sistema Paese». Non tanto è stato fatto da allora, almeno fino allo scorso 3 marzo quando – a sorpresa – nel corso del “Sustainable drink”, il cocktail conclusivo delle sfilate della collezione primavera estate 2016, è stato presentato dall’attuale presidente Carlo Capasa, e poi pubblicato un documento dal titolo “Linea guida sui requisiti eco-tossicologici per gli articoli di abbigliamento, pelletteria, calzature e accessori”.
SOSTENIBILITÀ – Sono undici i capitoli del documento con i quali gli operatori dell’alta moda italiana «vogliono contribuire – come si legge nella premessa – a dare concreta attuazione all’obiettivo di tracciare una via alla moda consapevole e sostenibile e favorire l’adozione di modelli di gestione responsabile lungo la catena del valore». E le indicazioni, molto complesse per i non avvezzi alle cose di moda, sono – avvisano gli estensori del documento cui hanno lavorato, tra gli altri rappresentanti di Ermenegildo Zegna, Gianni Versace, Giorgio Armani, Gucci, Loro Piana, OTB, Prada, Salvatore Ferragamo e Valentino – «solamente il primo passo del percorso di sostenibilità intrapreso dalla Camera della Moda Italiana, che con una sua roadmap al 2020 si impegna fin da subito a lavorare anche a una linea guida relativa ai processi produttivi».
TEMPI CHE CAMBIANO – È il segno di tempi che cambiano, e lo fanno molto velocemente. Al centro della svolta etica e sostenibile delle aziende dell’alta moda – fin qui molto restie a fornire dati di sorta come ha dimostrato l’iniziativa The fashion duel di Greenpeace – ci sono i consumatori sempre più attenti e meno disposti ad accettare l’utilizzo di sostanze chimiche in ciò che indossano. Questo primo studio, al quale ne seguiranno altri volti al «raggiungimento dei più alti standard di sostenibilità, attraverso una stretta collaborazione con tutta la filiera», è focalizzato infatti sui requisiti di eco-tossicità dei capi. Scorrere la lista delle settanta miscele chimiche che possono essere utilizzate nei capi della sola filiera tessile, in realtà, mette un po’ paura: si va dagli acceleranti, che agevolano la tintura di fibre poco penetrabili agli UV protectors, capaci di proteggere dalle radiazioni UV. A queste si devono poi aggiungere i coloranti, solitamente chimici, e i residui di sostanze, a volte impensabili, che possono trovarsi nei tessuti: dagli agrofarmaci ai benzeni, dalla formaldeide ai solventi.
LE LINEE GUIDA – Per tutti questi “additivi chimici” la Cnmi, in collaborazione con Sistema Moda Italia, Associazione Tessile e Salute, Unione nazionale industria conciatori e Federchimica, ha messo nero su bianco delle linee guida, non vincolanti s’intende, per garantire «standard di sicurezza chimica superiori a quelli prescritti dalle leggi in vigore, a beneficio dei consumatori e della collettività». La domanda, di fatto, adesso è chi le applicherà?