Wise Society : Giulia Boschi: sono andata dove mi portava il cuore
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Giulia Boschi: sono andata dove mi portava il cuore

di di Francesca Tozzi
25 Giugno 2010

Da circa dieci anni ha abbandonato una promettente carriera di attrice per dedicarsi alla medicina tradizionale cinese, assecondando le sue esigenze interiori. Oggi si dedica alla riabilitazione e cura piccoli disturbi con le tecniche orientali

Giulia Boschi è conosciuta al grande pubblico come attrice. Ma è anche una donna che ha avuto il coraggio di abbandonare un’avviata carriera cinematografica per approfondire lo studio e la pratica della medicina tradizionale cinese. Già le sue collaborazioni con autori ancora sconosciuti o “indipendenti” – dal primo Mazzacurati alla prima Comencini, da Denis a Martinelli – parlano di una persona che non ama le scelte facili.

Traditional Chinese Medicine, ph: Ralf Schultheiss/Corbis

Laureata con lode in Sinologia e poi in Fisioterapia, si è diplomata in agopuntura, tuina e fitoterapia cinese. Da diversi anni collabora con la professoressa Ma Xuzhou e la ASL 10 di Firenze per la diffusione della tecnica del martelletto Ma Litang e del Qigong. Lavora come docente presso diversi istituti e come terapeuta nel suo studio di Roma. E ci racconta come tutto è cominciato…

 

Giulia Boschi, fisioterapista«Ho portato avanti in parallelo la passione per il cinema e quella per la cultura cinese», spiega «la tesi con cui mi sono laureata nel ’91 era già di natura scientifica: lo scopo era stabilire la natura fisica del Qi, l’energia che fluisce in noi come nel mondo; mi ci sono voluti due anni di lavoro, due anni di dedizione totale da cui è nato il mio amore per la medicina tradizionale cinese».

 

È una cultura sviluppata in Italia?

 

Direi di no, e il problema parte dalla formazione. Non esistono da noi vere e proprie facoltà di medicina cinese e, se l’insegnamento è libero, la prassi non lo è. Per praticare l’agopuntura e prescrivere erbe bisogna essere medici. Quindi, se hai studiato l’agopuntura per cinque anni in Cina non puoi inserire un ago mentre con una laurea in medicina convenzionale e un master di qualche mese, lo puoi fare. Da noi la medicina integrata è intesa come combinata: quella allopatica è la più importante ed è un prerequisito per esercitare tutte le altre, il che significa una formazione di almeno quindici anni…

 

Perché ha smesso di fare l’attrice?

 

Non si può fare tutto, nel ’99 ho dovuto scegliere la strada che più mi appassionava. D’altra parte mi ero già resa conto delle contraddizioni nate fra il mio modus vivendi e il mio mestiere. Fare cinema, poi, non era più come agli inizi quando la tv non produceva i film: la prevendita dei diritti d’antenna ha limitato la scelta dei temi e ha fatto perdere al linguaggio cinematografico molte delle sue peculiarità. Al successo economico e sociale ho preferito il successo personale: ho scelto cioè di assecondare le mie esigenze interiori, la mia realizzazione profonda anche con qualche rinuncia.

 

Di cosa si occupa soprattutto?

 

Di riabilitazione tradizionale cinese dove unisco le mie competenze di fisioterapista a quelle della medicina tradizionale. Lavoro con le mani, le coppette, la Moxa e da quindici anni mi dedico allo studio e alla pratica del martelletto Ma Litang che ho scoperto lavorando insieme alla figlia del suo inventore, Ma Xuzhou. Non lo usa quasi nessuno, è molto diverso dal martelletto fior di prugna con piccoli aghi che si applica a zone delimitate del corpo per sbloccare stasi di sangue. Il Ma Litang è in gomma e prevede una percussione e vibrazione sui punti dell’agopuntura di tutti i meridiani, un tocco leggero, veloce, indolore ma potente. Poiché i meridiani sono bilaterali, l’ideale è lavorare in coppia per agire contemporaneamente su ambo i lati del corpo. Così il trattamento può durare una ventina di minuti mentre a chi lavora da solo, come me, ne servono almeno quarantacinque.

 

È una tecnica difficile?

 

Molto difficile: bisogna dominare la fisiologia energetica cinese, conoscere benissimo i punti, saper passare velocemente da un punto all’altro: la velocità e la fluidità sono fondamentali per dare al Qi la giusta spinta propulsiva. Per questo molti lasciano perdere questa tecnica: un peccato, perché su alcuni disturbi è una tecnica elettiva.

 

Per esempio?

 

I deficit di microcircolazione che sono spesso la causa dei problemi agli occhi. Si lavora col martelletto a livello globale ma si va poi a insistere in una zona: il viso (con le mani) nel caso sopra descritto o, altro esempio, la nuca nel trattamento dell’insonnia. Lavoro molto bene con chi ha piccoli disturbi che potrebbero trasformarsi in patologie, come forme lievi di insonnia e cefalea, nervosismo, mancanza di vitalità. Posso alleggerire il fardello togliendo gli accumuli e i ristagni, ma la partecipazione del paziente è fondamentale: deve concentrarsi, rilassarsi ed essere presente a se stesso; è lui che fa il 70 per cento del lavoro.

 

E il Qigong?

 

In questo caso l’operatore accompagna la persona in un percorso di autoterapia insegnando esercizi che le consentiranno di mantenere nel tempo l’equilibrio energetico. Chi si fa ripulire e stimolare il Qi e poi continua con il suo solito stile di vita perde gradualmente il risultato raggiunto, poi magari torna a farsi trattare…

 

Qual è il valore più importante che lo studio della cultura cinese le ha insegnato?

 

La spontaneità come strada verso l’autenticità. Come dice Laozi (Lao Tze) il Tao ha il suo fondamento nella spontaneità. Riuscire ad andare verso una progressiva semplicità è un concetto taoista e una delle cose più difficili da raggiungere, la semplicità come conquista, la semplicità di chi sa tornare sempre all’essenziale anche mettendo da parte per un momento tutto ciò che ha studiato, realizzato, conquistato.

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