Wise Society : Gli italiani non vogliono il nucleare

Gli italiani non vogliono il nucleare

di Valentina Neri
20 Febbraio 2025

Il governo Meloni fa i primi passi per il ritorno al nucleare, ma l’opinione pubblica si conferma nettamente contraria

Ha più rischi che vantaggi, costa troppo, avrebbe senso solo se esistessero tecnologie più sicure. Questo, in estrema sintesi, è il pensiero di buona parte degli italiani sull’energia nucleare, un tema di cui il governo discute con sempre maggiore insistenza. 

Centrale nucleare

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La storia del nucleare in Italia

La storia del nucleare in Italia tramontò nel 1987, l’anno dei referendum abrogativi attraverso i quali– anche sull’onda emotiva della catastrofe di Chernobyl – la popolazione si espresse a larghissima maggioranza contro questa fonte di energia. In realtà, i quesiti referendari non facevano riferimento diretto alla chiusura delle centrali ma quello fu comunque l’esito naturale: quelle attive furono spente tutte tra il 1987 e il 1990. Decenni dopo, nel 2011, i piani dell’allora governo Berlusconi per rilanciare il nucleare si infransero contro un altro referendum che si concluse con uno schiacciante 94% di “no”. Anche all’epoca incise un gravissimo incidente accaduto proprio in quel periodo, nella centrale di Fukushima, in Giappone.

Ritorno al nucleare: cosa ne pensa il governo

Alle prese con le tensioni geopolitiche (il conflitto tra Russia e Ucraina in primis) che hanno fatto capire ancora una volta quanto l’Italia sia dipendente dall’estero in materia di approvvigionamento energetico, il governo guidato da Giorgia Meloni muove i primi passi verso il ritorno al nucleare.

È quanto prevede lo schema di disegno di legge quadro predisposto dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica di Gilberto Pichetto Fratin. Inviato a Palazzo Chigi il 22 gennaio, sarà sottoposto al Consiglio dei ministri. Il testo prevede di adottare entro 24 mesi “uno o più decreti legislativi recanti la disciplina per la produzione di energia da fonte nucleare sostenibile sul territorio nazionale, anche ai fini della produzione di idrogeno, lo smantellamento degli impianti esistenti, la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, la ricerca, lo sviluppo e l’utilizzo dell’energia da fusione, nonché la riorganizzazione delle competenze e delle funzioni in materia”. Un piano che la relazione illustrativa descrive come funzionale alla transizione energetica del Paese, considerato che la produzione di energia nucleare ha un impatto quasi nullo in termini di emissioni.

Anche ipotizzando che non incontri ostacoli politici, l’iter è tutt’altro che immediato: l’intento del governo è quello di lanciare un programma nazionale entro il 2027. È poi tutta da valutare la fattibilità economica e tecnologica dei futuri impianti. Più che alle grandi centrali, il ministero si dice interessato ai piccoli reattori modulari, gli stessi a cui sta guardando con interesse anche il Regno Unito. In più occasioni la premier Meloni ha inoltre vantato le potenzialità della fusione nucleare: una tecnologia che però ad oggi non esiste. Stando alle previsioni più ottimiste, i primi impianti commerciali potrebbero arrivare sul mercato dopo il 2050.

power plant nucleare

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Ritorno al nucleare: cosa ne pensano gli italiani

Cittadini e cittadine, però, sembrano proprio non volerne sentire parlare. È quanto emerge dalla nuova indagineGli italiani e l’energia”, realizzata da Ipsos per conto di Legambiente, Nuova Ecologia e Kyoto Club e presentata a novembre 2024.

Solo il 19% degli intervistati si dice disponibile almeno a valutare un possibile ritorno al nucleare, in considerazione della complessa situazione attuale. Tutti gli altri, uno schiacciante 81%, esprimono un netto “no”.

Più nel dettaglio, il 26% ritiene che i rischi del nucleare superino i vantaggi; il 17% è spaventato dai costi nascosti, legati per esempio alla manutenzione, alla sicurezza e alla gestione delle scorie; infine, un altro 38% sostiene che sarebbe da prendere in considerazione solo se esistesse una tecnologia più sicura di quella odierna. Per il 43% del campione, inoltre, ritiene che si debbano aspettare almeno vent’anni affinché i benefici rendano conveniente l’investimento fatto; e all’interno di questa percentuale c’è anche un 16% per cui i costi sono incalcolabili.

Spesso, di fronte all’avversione per i nuovi progetti infrastrutturali, si chiama in causa il cosiddetto fenomeno nimby (not in my backyard): ciò significa che c’è fisiologicamente una certa parte di cittadinanza che è favore di un progetto soltanto se non ne viene direttamente coinvolta. Anche nei confronti del nucleare si assiste a un atteggiamento del genere, tant’è che il 18% degli italiani si dice disposto ad accettare la costruzione di un impianto a 10 km da casa propria, una percentuale che sale al 31% se la distanza diventa di 100 km. C’è però un 41% degli italiani per cui la distanza non conta: il “no” agli impianti è netto e senza eccezioni.

Valentina Neri

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