Wise Society : Per farcela, nella vita e nel lavoro, impara a essere più motivato e positivo
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Per farcela, nella vita e nel lavoro, impara a essere più motivato e positivo

di Ilaria Lucchetti
15 Febbraio 2013

Maggior padronanza di sè e un approccio propositivo all'esistenza, utili per affrontare la crisi e riposizionarsi nel mondo del lavoro, sono doti che si possono apprendere. Come? Con i consigli di Filippo Zizzadoro, grande esperto di risorse umane e coach personale di manager, sportivi e imprenditori

Filippo ZizzadoroConsiderato uno tra i primi dieci esperti italiani in gestione delle Risorse Umane, Filippo Zizzadoro è uno psicologo del Lavoro e un coach. Motivatore esperto di comportamenti manageriali e di comunicazione interpersonale, nei suoi corsi ha lavorato con migliaia di persone.

Aiutandole anche a trovare un livello più elevato di consapevolezza, una maggiore padronanza e un approccio di vita propositivo e positivo. Che in un periodo complesso come quello attuale può essere la spinta giusta per trovare lavoro o per cambiarlo con qualcosa di più gratificante.

Nell’intervista che segue ha raccontato a WiseSociety.it alcuni contenuti della propria attività, dall’importanza dell’affrontare gli eventi in un certo modo, alle professioni su cui puntare per salvarsi dalla crisi.

Molti sostengono che un approccio positivo influenzi l’esito degli eventi in senso favorevole. Esiste una prova scientifica di questo nesso?

Ci sono una serie di studi che confortano la psicologia della positività, soprattutto di stampo americano, perché negli Usa credono molto all’approccio positivo: sia perché facilita l’accettazione degli eventi e agevola la creazione di relazioni più confortanti, sia perché chi è felice ottiene risultati professionalmente più brillanti.

Si è un po’ ribaltato il paradigma di un tempo secondo cui chi raggiungeva determinati successi tendeva a essere felice, positivo. Ora si dà più credito al contrario: se sei positivo, chi ti sta intorno ti apprezzerà maggiormente.

Approccio che viene premiato soprattutto in un periodo difficile come questo. Così, una tematica come la positività che non è certo nuova, ha ritrovato grande attualità perché le persone hanno bisogno di rimotivarsi.

La positività è contagiosa

Image by © Luciano Lozano/Ikon Images/CorbisPositivi si nasce o si diventa?

Entrambe le cose. Da un lato esistono persone che hanno questa caratteristica nel Dna, che sono più orientate naturalmente verso la positività; dall’altro, lo si può diventare imparando a vivere in maniera positiva.

In che modo? Aiutando il nostro corpo a stimolare la produzione chimica di sostanze che ci fanno stare bene come la serotonina e l’endorfina, con un processo che si chiama biofeedback, che aiuta a prendere il controllo del proprio comportamento.

Traendo così una serie di vantaggi – tra cui l’effetto “contaminazione”, perché le persone positive si circondano di altre persone positive – e la capacità di vedere opportunità dove gli altri vedono soltanto crisi.

Uno svantaggio, invece, di chi possiede questa “dote” naturale?

Un limite, tra virgolette, della positività come tratto naturale è che spesso chi ha un approccio di questo tipo, essendo un costruttivo, non approfitta quanto dovrebbe delle occasioni che si presentano perché dentro di sé è convinto che avrà altre possibilità, altre chance. Ma i vantaggi sono, di gran lunga, superiori agli svantaggi.

La positività innata e quella indotta hanno le stesse caratteristiche?

Chi nasce con un Dna costruttivo ha una forza diversa da ciò che è indotto, paragonabile alla differenza che c’è tra uno sportivo dotato di talento naturale e chi lavora su ciò che ha, impegnandosi e allenandosi moltissimo.

Entrambi possono raggiungere risultati di successo, ma il talento resta talento, è più sciolto, più naturale. Però, come detto, anche chi non nasce positivo è in grado di migliorare l’approccio.

Imparare a valorizzare quello che si ha

Image by © Images.com/CorbisNegli ultimi mesi – i più problematici per quanto riguarda la situazione lavorativa in base alla mia esperienza – come coach nei miei corsi faccio lavorare le persone sulla valorizzazione di quanto hanno costruito, smuovendole dallo stallo in cui si trovano perché concentrate su ciò che non avranno più: la continuità professionale, lo stipendio di un certo tipo, la possibilità di cambiare l’auto o di andare in vacanza.

E le aiuto, invece, a mettere in risalto, quanto hanno fatto e quanto hanno. Come la famiglia, la salute, la cultura, la posizione raggiunta. Messa per iscritto una lista di dieci aspetti positivi, già al settimo le persone stanno meglio.

E riescono ad accettare la conversione e il cambiamento in atto del proprio status. Che poi è un tratto distintivo della positività: i costruttivi non vedono i mutamenti come una costrizione ma come una chance.

Oltre che di positività lei si occupa anche di motivazione. Com’è cambiato questo concetto con la crisi?

Ora ha più senso fare riferimento all’auto-motivazione che non alla motivazione. Anni fa l’auto-motivazione era tipica dei caratteri forti, dei capi. Leader non soltanto perché in grado di raggiungere dei risultati, ma anche perché capaci di auto-motivarsi.

Mentre più si scendeva nella gerarchia di un’organizzazione e più le persone erano motivate da altri. Adesso è cambiato pure questo paradigma perché, anche nei livelli più operativi, le persone devono imparare ad auto-motivarsi. E la ragione è che sempre più spesso inizia a mancare la motivazione nei vertici.

Quindi bisogna trovare la soluzione dentro di sé, non fuori. Come? Un po’ con l’elenco delle cose che abbiamo costruito e di cui parlavamo prima. E poi creando armonia tra tutte le sfere della nostra vita: familiare, lavorativa, sociale e personale. In questo modo, la nostra “benzina” transita attraverso le varie sfere ed è più facile motivarsi.

Come coach lei usa tecniche motivazionali diverse a seconda che si rivolga, per esempio, a manager uomini oppure donne?

Fondamentalmente sulla comunicazione le regole sono le stesse. Quello che cambia è la logica dei cervelli: il “mondo” maschile è fatto di binari molto stretti, in cui la comunicazione è seriale e affronta un argomento alla volta. Mentre l’universo femminile è più irrorato da un punto di vista neurologico e riesce a passare velocemente da un argomento all’altro.

Come interpretare il linguaggio del corpo

Image by © Soizick Meister/ImageZoo/CorbisIn uno dei suoi corsi lei insegna la comunicazione non verbale. I segnali che mandiamo sono inequivocabili o possono variare da una persona (e una situazione) all’altra?

Studiamo da anni il tema della comunicazione non verbale, in realtà la maggior parte dei nostri corsi ha come appendice la programmazione neurolinguistica, la scienza che studia il linguaggio del corpo.

Attendibile al punto da essere usata in polizia non più come ausilio, ma come strumento primario per capire chi ho di fronte e cosa mi sta dicendo. Detto questo, però, studiare la comunicazione non verbale e “leggerla” in modo analitico è molto difficile, anche per un esperto.

Riguardo al movimento degli occhi, ad esempio, che è uno dei segnali più facili e anche più attendibili per interpretare lo stato d’animo dell’interlocutore, basta una frazione di secondo per farne una lettura sbagliata, quindi è fondamentale il tempismo.

Poi è necessario interpretare correttamente il confine molto sottile che c’è tra il manifestare un aspetto emotivo o dire una bugia, tra il provare semplicemente imbarazzo di fronte a una domanda che mette a disagio oppure l’affermare il falso. Insomma, non è facile.

In una fase del mercato del lavoro critica come quella attuale, cosa consiglia a chi è in cerca di occupazione?

Intanto essere flessibili e pronti a togliersi i “guanti bianchi” perché il panorama lavorativo è cambiato ed è in continua evoluzione.

Poi un’idea può essere quella di puntare sul settore commerciale perché, soprattutto adesso, per le aziende è vitale vendere. Importante anche conoscere molto bene le lingue ed essere disposti a trasferirsi o a viaggiare di frequente.

Inoltre è utile prendere in considerazione nuove figure professionali come ad esempio il Mistery shopper, il “cliente misterioso” che valuta in modo anonimo le modalità di vendita degli operatori. Oppure il Garden Coach che è una figura di supporto ai tanti che stanno ricominciando a coltivarsi il cibo da soli con gli orti urbani. E per finire dotarsi di positività, determinazione e flessibilità che possono fare davvero la differenza.

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