Si tratta di un problema di giustizia termica che colpisce soprattutto le fasce della popolazione che dispongono di scarsi mezzi economici. Avere poche risorse, infatti, significa anche non riuscire a difendersi dagli effetti, spesso letali, del caldo estremo
In un mondo che diventa sempre più caldo a causa dei cambiamenti climatici, un nuovo tipo di disuguaglianza sta emergendo: è la systemic cooling poverty. Il nuovo “gap” è infatti fra chi riesce a fronteggiare temperature sempre più elevate, magari semplicemente accendendo un condizionatore, e chi invece è costretto ad affrontare giornate (e notti) caldissime senza potersi difendere in modo adeguato. La prossima emergenza sociale e umana sarà resistere in un ambiente che si è fatto sempre più inospitale, soprattutto nelle grandi città, molto urbanizzate e con aree verdi ridotte. Emergenza che può diventare drammatica in Paesi già segnati da eventi estremi (piogge torrenziali, uragani) come quelli subtropicali. Le soluzioni più efficaci? Quelle che prevedono l’uso, sapiente, di quello che la natura, la bioedilizia e le nuove conoscenze ci offrono.
Stystemic cooling poverty, il cooling gap che crea disuguaglianza
Il quadro della systemic cooling poverty è stato tracciato un un recente studio pubblicato su Nature Sustainability da un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford, dell’Università Ca’ Foscari Venezia, della Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), di RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment e della London School of Hygiene & Tropical Medicine.
Si tratta infatti di problema sempre più diffuso ma non abbastanza considerato ed è strettamente connesso alla possibilità di difendersi dalle temperature estreme che, a ondate, colpiscono diverse zone nel mondo, soprattutto quelle più urbanizzate. A causa della crisi climatica, infatti, nell’ultimo decennio sono state registrare le temperature più alte degli ultimi 140 anni, cosa che ha come conseguenza non trascurarabile l’aumento del disagio e della sofferenza fra gli strati della popolazione più povera e svantaggiata. Si è creato un vero e proprio “cooling gap” fra le popolazioni e gli strati sociali più ricchi, maggiormente in grado di proteggersi dal caldo, e chi invece soccombe, oppresso da ambienti afosi e inquinati.
Chi è più a rischio?
La systemic cooling poverty colpisce duramente soprattutto nelle periferie delle grandi città, dove la popolazione non dispone di grandi mezzi economici e l’urbanizzazione a tappe forzate ha portato a sacrificare verde e zone umide.
Si tratta insomma di un problema sistemico perché coinvolge fattori molto diversi fra loro: la mancanza di verde urbano, che mitigherebbe le torride temperature estive, l’eccessiva cementificazione e la presenza di palazzi alti e strade strette, che fanno aumentare la sensazione di calore ostacolando una corretta ventilazione; ma anche e soprattutto l’impossibilità di comprare dispositivi di raffrescamento a causa di scarsi mezzi economici. Persino l’abbigliamento utilizzato può peggiorare la situazione delle fasce più povere della popolazione: l’uso di abiti e vestiti di scarso valore, realizzati in fibre sintetiche poco traspiranti, non fa che aumentare i disagi derivanti dal caldo.
E non bisogna andare lontano per trovare persone che soffrono di Systemic Cooling Poverty: se Paesi come Pakistan sono sempre in cima alle classifiche fra quelli più caldi di sempre, in realtà anche chi abita nelle periferie più povere dei paesi europei potrebbe non avere i giusti mezzi per difendersi dal caldo eccessivo.
Le conseguenze della Systemic Cooling Poverty
Ma quali danni può causare la systemic cooling poverty? Secondo lo studio pubblicato su Nature, le conseguenze dell’eccesso “termico” sono molte e temibili, in alcuni casi letali. I più deboli ne risentono di più: i bambini, gli anziani e i soggetti fragili come donne in gravidanza e persone affette da obesità possono possono infatti vedere peggiorare ed esacerbare velocemente le loro condizioni di salute in presenza di temperature troppo elevate. Le ondate di calore, infatti, a un tasso di mortalità superiore alla media.
Come risolvere il problema: le soluzioni arrivano dalla natura
Per combattere la systemic cooling poverty le soluzioni devono essere globali e agire su più livelli: per i ricercatori firmatari dello studio la sfida a cui è chiamato il pianeta è quella di coinvolgere e coordinare settori diversi come l’edilizia abitativa, la sanità pubblica, l’alimentazione e i trasporti.
Oltre a combattere la crisi climatica con soluzioni di mitigazione, è fondamentale anche l‘adattamento al riscaldamento globale. Il futuro e la soluzione al problema non risiede nell’acquisto e nell’uso dei più condizionatori (che sono poco sostenibili sia nel prezzo che nei consumi energetici), ma nella possibilità di rendere le nostre città più green: dai palazzi costruiti con materiali in grado di schermare dal calore fino ai muri pensati per disperdere gli eccessi termici, dai tetti verdi a un uso migliore dell’acqua, e fino a una gestione sensata della ventilazione e dell’ombra in città. In questo caso la natura offre molti vantaggi e le cosiddette Nature-Based Solution (NBS) possono far diventare le nostre città più ospitali, anche dal punto di vista climatico.
Conta anche lo stile di vita
Per combattere la systemic cooling poverty tutti possono fare qualcosa. Nel quotidiano ognuno di noi può puntare a uno stile di vita migliore, necessario per combattere gli effetti negativi del caldo estremo. Si può partire dai vestiti, tornando alle fibre naturali come la canapa e il lino, per arrivare all’alimentazione: una dieta sana permette di difendersi da condizioni di salute che il caldo potrebbe nettamente peggiorare, come il sovrappeso, l’obesità e la malnutrizione.
Lucia Fino