Sono sempre di più i frequentatori delle ciclofficine, come la storica Stecca a Milano, dove si insegna o si impara ad aggiustare da soli, e gratis, il proprio mezzo. Spazi liberi e autogestiti per condividere il sapere intorno alle due ruote. L'importante è aver voglia di sporcarsi le mani e rispettare una semplice regola: "fallo da te"
I “cadaveri” giacciono ovunque, ammassati negli angoli o appesi ai ganci in metallo. Ma non è la scena di un crimine, anzi: l’atmosfera è piacevolmente caotica e allegra, perché i “cadaveri”, come li chiamano alla Ciclofficina Stecca di Milano, altro non sono che vecchie biciclette pronte a tornare a nuova vita sotto le cure di chi volesse darsi da fare con le proprie mani. Alla Stecca, vicino alla Stazione ferroviaria Garibaldi, ci si ripara la bici, si sostituiscono i pezzi con altri usati oppure nuovi, o se ne costruisce una da zero. Tutto rigorosamente gratis, con l’aiuto e i consigli dei volontari che dedicano parte del loro tempo a diffondere la cultura della bici e dell’autoriparazione.
La Stecca è una delle tante ciclofficine presenti un po’ ovunque in Italia, solo sul sito ciclofficina.net se ne contano una ventina, fondate sui principi della gratuità, del volontariato, ma soprattutto della condivisione del sapere. Un sapere che sa di grasso e sporca le mani, ma che, visto il numero sempre crescente delle persone che le frequentano, sembra che tanti abbiano voglia di imparare. «A noi piace che la conoscenza circoli il più possibile», spiega Adriano detto Orco, memoria storica e tra i primi animatori della Stecca, «ma non tanto con il metodo dell’artigiano, ovvero con i giovani che si mettono dietro agli anziani per guardarli lavorare e poi copiare ciò che hanno visto. La condivisione del sapere per noi è questa: “chi sa qualcosa, la metta a disposizione degli altri”. Non ci sono giovani o anziani, esperti o inesperti. Si scambiano informazioni nel modo più democratico e spontaneo possibile. E lo stesso vale con chi viene per riparare il proprio mezzo: quando avrà imparato, potrà aiutare gli altri».
Sono in tanti ad affollare i pochi metri quadri lasciati liberi dalle bici: alcuni sono concentrati sul proprio mezzo, altri si muovono e danno consigli ai meccanici improvvisati, altri ancora vagano alla ricerca del ricambio giusto. Nelle ciclofficine ci vuole molta pazienza, perché non necessariamente si trova qualcuno disponibile ad aiutarti subito. Il principio è quello del “do it yourself”, ovvero fallo da te: hai uno spazio a disposizione, gli attrezzi e i pezzi di ricambio che ti possono essere utili. Usali e, se possibile, aiuta chi ti sta a fianco. Essendo autogestite, vigono i comandamenti “chi sporca pulisce, chi rompe paga, segnala ciò che manca”. Alla Stecca funziona così almeno da nove anni. A suo modo, c’è anche un certo ordine: scatole piene di pezzi di ricambio divisi per tipo, lattine colme di liquidi oleosi, cassetti con attrezzi usati e più volte aggiustati. Non si butta nulla. Tutti cercano la brugola misura sei, che è la più usata e la tendenza di chi l’ha in mano è tenersela stretta… ma insomma, è evidente che chi viene qui non cerca e non può aspettarsi di trovare una boutique della bicicletta. «Se vieni e ci chiedi di ripararti la bicicletta, ti prendi un vaffa», chiarisce Adriano, «devi aver voglia di sporcarti le mani. La mia impressione è che siamo sempre di più, e i numeri lo confermano: quest’anno gli iscritti, cui chiediamo cinque euro per tesserarsi e avere libero accesso agli spazi, sono stati circa 130. Tanti arrivano perché il ciclista professionista gli ha detto che non poteva fare la riparazione, o che costava troppo, e gli ha consigliato di buttare la bici. Noi, invece, gli diciamo che è possibile recuperarla, perché nessuna è irrecuperabile. Il bello è che è un mezzo semplice, ti invoglia a dire “provo a farlo io” e poi magari ti accorgi che è anche facile, divertente e che ti dà grande soddisfazione», conclude.
Ma chi manda avanti i progetti un po’ anarchici delle ciclofficine? Alla Stecca i volontari sono riuniti in +bc un’associazione culturale. I soci più attivi sono circa una trentina: una decina della vecchia guardia, tutti sopra i 40 anni, e una ventina di giovani sotto i 30. Tutti sono lavoratori o studenti e mettono a disposizione parte del proprio tempo in forma molto libera e assolutamente volontaria: può anche capitare che nessuno venga ad aprire l’officina. Organizzano periodicamente anche corsi di riparazione e manutenzione, cui tutti possono iscriversi gratuitamente o portando cose utili come l’agognata brugola del sei o un barattolo di pasta lavamani. «Certo che ci è venuta la tentazione di farne un lavoro», conclude Adriano, «ma questo posto funziona da nove anni, e bene, perché è uno spazio libero. Però all’esterno abbiamo avviato un progetto in collaborazione con Fondazione Cariplo che si chiama Ciclomobile: è un camper- officina che staziona vicino alle università milanesi e dove, con l’aiuto del nostro personale, è possibile fare le proprie riparazioni gratuitamente. Grazie ai fondi ricevuti abbiamo potuto assumere e dare lavoro a quattro meccanici, che solo quest’anno hanno contribuito a effettuare 2100 riparazioni». Con un po’ di aiuto e una brugola del sei, è anche così che si combatte l’usa e getta e si restituisce un valore alle cose.