Se le compagnie dell’oil&gas continuano a trivellare terreni e fondali alla ricerca di idrocarburi, è perché le grandi banche continuano a finanziarle. Il rapporto Banking on Climate Chaos ne monitora 60, svelando che sono arrivate a un totale di 6.900 miliardi di dollari dal 2016 in poi
Se vogliamo almeno tentare di contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, e quindi metterci in salvo dalle conseguenze peggiori della crisi climatica, dobbiamo abbandonare i combustibili fossili. E farlo in fretta. Le massime autorità scientifiche internazionali non perdono l’occasione per ribadirlo. Eppure, le compagnie petrolifere continuano a trivellare la terraferma e i fondali marini alla ricerca di idrocarburi. Continuano a costruire oleodotti e gasdotti che attraversano mari, foreste, deserti. Continuano a iniettare acqua ad altissima pressione nelle rocce per farne uscire il gas. Continuano ad andare alla ricerca di giacimenti, arrivando fino alla foresta amazzonica e ai ghiacci dell’Artico. Se si possono permettere di farlo, è perché qualcuno le finanzia. Attraverso il rapporto Banking on Climate Chaos, ogni anno una coalizione di organizzazioni non governative – Rainforest Action Network, Indigenous Environmental Network, BankTrack, Center for Energy Ecology and Development, Oil Change International, Reclaim Finance, Sierra Club e Urgewald – svela chi è quel qualcuno.
Passando al setaccio i finanziamenti alle società dei combustibili fossili erogati dalle sessanta maggiori banche internazionali. Le cifre sono eloquenti. Il conteggio parte dal 2016, perché a dicembre 2015 la comunità internazionale ha firmato l’Accordo di Parigi, cioè la principale intesa volta a contrastare la crisi climatica. Da allora, le somme erogate sono arrivate a un totale che è difficile anche solo da visualizzare: 6.900 miliardi di dollari. Tre volte il pil (prodotto interno lordo) di un paese come l’Italia.
![Trivellazione del petrolio](https://wisesociety.it/wp-content/uploads/2024/05/trivellazione-petrolio-680x462.jpg)
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I dati di Banking on Climate Chaos sul 2023
Nel corso del solo 2023, le sessanta banche monitorate da Banking on Climate Chaos hanno stanziato la bellezza di 705,8 miliardi di dollari alle aziende che fanno affari con i combustibili fossili. Per avere un termine di paragone, il colossale piano NextGenerationEU, lanciato dalla Commissione europea per risollevare l’economia dall’emergenza-Covid, vale poco più di 800 miliardi di dollari. Ancora più allarmante è il fatto che, di questi 705,8 miliardi, circa la metà (347,5) fossero destinati ad aziende che hanno piani di espansione della produzione di petrolio, gas o carbone. Anche guardando al totale degli otto anni considerati, la percentuale è all’incirca la medesima: 3.300 miliardi su 6.900.
Le banche che aumentano i finanziamenti ai combustibili fossili
Certo, da parte di alcuni istituti si notano segnali di miglioramento. Sono 33, infatti, le banche che nel 2023 hanno erogato meno denaro al comparto delle fossili rispetto al 2022. Le altre 27 però hanno fatto tutto il contrario. Tra di loro c’è per esempio l’americana JPMorgan Chase, anche quest’anno prima in classifica, con quasi 40,9 miliardi che le fanno raggiungere un totale di 430 miliardi nel periodo 2016-2023. Sul secondo gradino del podio troviamo la giapponese Mizuho Financial: anche nel suo caso si assiste a un aumento, dai 35,3 miliardi del 2022 ai 37 del 2023.
![Cartelli di protesta per banche che finanziano i combustibili fossili](https://wisesociety.it/wp-content/uploads/2024/05/protesta-banche-680x510.jpg)
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Gas naturale liquefatto e non solo: in cosa investono le banche
Spesso quando si nota il segno più è perché gli istituti hanno puntato sul gas naturale liquefatto (GNL), divenuto molto popolare dopo lo stop alle esportazioni di gas russo dovuto all’invasione dell’Ucraina, come dimostrano i quasi 121 miliardi di dollari incassati nel 2023. In questa categoria ricade anche l’italiana Intesa Sanpaolo: nel 2022 i suoi finanziamenti complessivi alle fonti fossili ammontavano a 4,7 miliardi, nel 2023 a 5,9. Di cui più della metà, cioè 3,4, destinati all’espansione del gas naturale liquefatto.
Intesa Sanpaolo è una delle pochissime banche che, noncuranti delle potenziali ripercussioni in termini di reputazione, continuano a sostenere la futura costruzione di un gigantesco terminal di export di gas naturale liquefatto (GNL) in Texas. Si chiama Rio Grande LNG e rischia di avere un impatto devastante sulla popolazione della Rio Grande Valley. Sia per il rilascio di sostanze inquinanti nell’aria, sia perché l’economia locale è basata sulla pesca e sul turismo eco naturalistico.
Le trivelle nell’Artico e in Amazzonia
Tra il 2016 e il 2023, rivela Banking on Climate Chaos, più di 46,6 miliardi di dollari sono andati alle trivellazioni nella regione artica. Guardando solo al 2023, a spartirsi il podio sono la statunitense Citigroup (246 milioni di dollari) e le italiane Unicredit e Intesa Sanpaolo (a quota rispettivamente 266 e 210 milioni).
Anche a seguito dell’attivismo dei popoli indigeni, 35 banche su 60 hanno adottato una policy di esclusione del petrolio e del gas artico dai loro finanziamenti. Spesso, però, queste regole interne sono parziali. Molte di esse per esempio si riferiscono soltanto ai giacimenti che stanno all’interno del Circolo polare artico ma, così facendo, lasciano comunque la possibilità di finanziare più di un centinaio di progetti.
Vale lo stesso discorso per l’Amazzonia. Su sessanta banche, solo sei (BNP Paribas, HSBC, Société Générale, Intesa Sanpaolo, Barclays e Standard Chartered) limitano i finanziamenti alle imprese che estraggono petrolio e gas nel polmone verde del Pianeta. Di questo gruppo, però, solo HSBC e Barclays hanno una definizione di “Amazzonia” coerente con gli standard della Rede Amazônica de Informação Socioambiental Georreferenciada (RAISG). Dal 2016 in poi, le operazioni petrolifere in questo ecosistema così delicato e prezioso sono state sostenute con un totale di 11,1 miliardi di dollari. A fare la parte del leone, le banche americane Citigroup (1,9 miliardi), JPMorgan Chase (1,6 miliardi) e Bank of America (1,4).
Valentina Neri