Entra in scena la giustizia climatica con il fondo Loss&Damage. Grande scontento, invece, dal punto di vista taglio alle energie fossili
Mezzo pieno e mezzo vuoto. Non può che essere questa la fotografia dell’accordo sul clima Cop 27: con una vittoria – finalmente? – per gli stati africani che accolgono con entusiasmo l’istituzione di un fondo Loss & Damage e il disappunto dell’Ue e degli Usa per il disinteresse verso le strategie di riduzione delle emissioni e il tema delle mitigazioni. Una bella soddisfazione per i produttori di petrolio e fossili che, almeno per un altro anno, non vedranno intaccati i loro interessi.
Come si arriva all’accordo sul clima Cop 27
Ma andiamo con ordine per capire meglio come si arriva alle risoluzioni finali di questa ventisettesima Conferenza delle Parti di Sharm el Sheikh, definita, non a caso, la conferenza africana. Nella notte di sabato 19 novembre (con quasi 2 giorni di ritardo rispetto al programma) i 197 Stati partecipanti hanno trovato un accordo sul clima non senza scendere a tanti compromessi. I negoziati, infatti, si sono prolungati proprio per cercare di arrivare a un testo condiviso da tutti, visto che il negoziato multilaterale – cuore delle conferenze sul clima delle Nazioni unite – prevede proprio il consenso. Un consenso che, in questo caso, ha lasciato non poche delusioni. Se da un lato, infatti, si accoglie con entusiasmo l’entrata del concetto di giustizia climatica nei negoziati, con la previsione della nascita di un fondo di risarcimento (chiamato appunto Loss and Damage) per i paesi più deboli, dall’altro è vero che Usa e Ue (soprattutto) avrebbero voluto di più rispetto alle strategie di mitigazione e di azzeramento delle emissioni.
Loss & damage: dall’accordo sul clima Cop 27 “ok” alla creazione
L’accordo sul clima Cop 27 segna un passo importante, quindi, nella questione della giustizia climatica. La richiesta del fondo Loss & Damage è partita da un blocco composto da più di 150 Paesi che vogliono la creazione di fondo per pagare perdite e danni provocati dalla crisi climatica.
Il G77+Cina (gruppo che raccoglie 134 Paesi in via di sviluppo) è stato compatto ai tavoli delle trattative. Dopo le prime resistenze di Ue e Usa, relative soprattutto alle caratteristiche dei paesi giudicabili deboli e in via di sviluppo (offrendo solo ai “più vulnerabili” un meccanismo di aiuti economici, con la giustificazione che il fondo non può essere pensato per intervenire agli oltre 100 Paesi in via di sviluppo), da Bruxelles era arrivato un segnale di apertura, ma l’Unione europea si sarebbe aspettata impegni più stringenti sulle riduzioni di emissioni dei gas climalteranti. Insomma, un fondo sì, ma si dovrebbe affrontare finalmente l’origine del problema.
Il nuovo programma sarà presentato alla Cop28
Purtroppo però, nonostante giornate di negoziati e i toni sempre più duri (il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans era pronto persino ad abbandonare il tavolo della discussione) la risoluzione finale non soddisfa per nulla l’Europa. I Paesi più deboli hanno conquistato la “menzione” via libera alla creazione del fondo, da rendere operativo in due anni e da allargare solo ai Paesi particolarmente vulnerabili.
Sarà un Comitato transitorio a preparare un progetto da presentare alla prossima Cop28 prevista a Dubai nel 2023. L’Unione europea ha ottenuto che nel documento si indichi che i destinatari degli aiuti sono i paesi più vulnerabili, e non tutti i Paesi in via di sviluppo (fra i quali ci sono anche superpotenze come Cina e India che di fatto sono altamente inquinanti e che, quindi, dovrebbero risultare tra i donatori al fondo e non tra i beneficiari).
L’accordo sul clima Cop 27 riconferma Glasgow, ma non va avanti
Il fondo rimane comunque un palliativo che non contribuisce a evitare danni futuri. L’Europa ha ottenuto in cambio soltanto l’impegno a non fare passi indietro rispetto al patto di Glasgow: cioè tenere almeno vivo l’obiettivo di non superare l’innalzamento della temperatura media globale di 1,5 rispetto ai livelli preindustriali.
E se il passo indietro non c’è stato, è pur vero che la Cop 27 di Sharm el Sheik non ha affrontato la riduzione delle emissioni inquinanti. Il documento finale della conferenza conferma l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi dai livelli pre-industriali: un risultato importante ma che appartiene alla Cop 26 e su cui era importante non fare alcun passo indietro ma riguardo al quale, i paesi Europei si aspettavano maggiore coinvolgimento e azioni verso nuove strategie.
Mancano, invece, totalmente gli impegni per la riduzione o l’eliminazione dell’uso dei combustibili fossili, sollecitata da vari Paesi. Un silenzio che di fatto è una vittoria per lo schieramento pro-fossili che con oltre 600 rappresentanti ha conquistato un altro anno di profitti indiscussi. Petrolio e gas tra i grandi responsabili della crisi climatica sono assenti nel testo finale e se ne riparlerà (forse) tra un anno negli Emirati Arabi: che già così non promette bene.
Cop di Sharm, cosa ci si aspettava
Maggiore impegno e tabella di marcia più fitta. Di fatto tutti gli impegni sono stati confermati, ma con troppo poca ambizione. La questione economica ha la meglio sull’urgenza della emergenza climatica e ci si comporta ancora come se si trattasse di previsioni future e non come se i disastri ambientali – desertificazioni, uragani, alluvioni, scioglimento dei ghiacci e innalzamento del livello del mare – non fossero già il presente e non stessero contribuendo a incrementare quell’esercito di migranti climatici in fuga dalle catastrofi.
Insomma, il testo dell’accordo conferma l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro l’1,5 °C dei livelli pre industriali, ma non parla delle modalità e non fa riferimento all’eliminazione totale dei combustibili fossili. E mentre si accenna all’obiettivo della riduzione delle emissioni del 43% entro il 2030, non si rinnova l’impegno per la decarbonizzazione e si invitano – soltanto – gli Stati ad aggiornare i loro obiettivi di decarbonizzazione entro il prossimo anno.
La delusione di Onu ed Europa
Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, non ha nascosto la delusione per le risoluzioni di Cop27 dichiarando: “Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un tema che questa Cop non ha affrontato. Un fondo per i loss and damage è essenziale, ma non è una risposta alla crisi climatica che spazza via una piccola isola dalla mappa, o trasforma un intero paese africano in un deserto. Il mondo ha ancora bisogno di un passo da gigante sull’ambizione climatica. La linea rossa che non dobbiamo superare è la linea che porta il nostro pianeta oltre il limite di 1,5 gradi di temperatura”.
Stessa delusione rimarcata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: “Cop27 segna un piccolo passo verso la giustizia climatica ma serve molto di più per il pianeta. Abbiamo trattato alcuni sintomi ma non curato il paziente dalla febbre”, ha dichiarato la presidente. “La Cop27 ha mantenuto vivo l’obiettivo dei 1,5 gradi, ma sfortunatamente non ha ottenuto un impegno da parte dei maggiori inquinanti nel mondo per una riduzione dei carburanti fossili, né nessun nuovo impegno per la mitigazione climatica”- ha detto, aggiungendo: “L’Unione Europea manterrà gli impegni, attraverso l’European Green Deal e REPowerEU, perché è essenziale mantenere la possibilità di raggiungere gli obiettivi ambiziosi degli accordi di Parigi“.
Le parole di Frans Timmermans durante la Plenaria
E queste delusioni erano state già prepotentemente espresse dal vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, in occasione del suo ultimo intervento alla plenaria finale: “Quello che abbiamo davanti non è abbastanza da costituire un passo in avanti per la popolazione del pianeta. Non porta sufficienti sforzi aggiuntivi da parte degli inquinatori maggiori per un incremento e un’accelerazione delle loro emissioni”. E ha concluso: “Nei negoziati, ci sono stati molti tentativi di tornare indietro perfino dagli impegni di Glasgow. Qualcuno ha paura della transizione, dei costi del cambiamento. Io capisco tutte queste preoccupazioni, molti europei le condividono. Ma io voglio chiedere a tutti i colleghi di trovare il coraggio di superare questo, e io tendo la mano a voi per aiutarvi. Abbiamo già perso un sacco di tempo. Ritroviamo la spinta che abbiamo avuto a Glasgow, difendiamo le ambizioni di Glasgow. Noi oggi cominciamo a preparare la Cop del 2023″.
Cop 27 e il ruolo “marginale” dell’Italia
Non nasconde la delusione neanche l’Italia, ovviamente, tramite i tweet del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin che però – ricordiamo – a Sharm è stato solo per due giorni in rappresentanza più simbolica che fattiva del Governo, dichiarando soltanto che L’Italia propendeva per uno strumento ridotto rispetto al fondo ‘Loss and Damage’ e lasciando la rappresentanza dell’Italia solo nelle mani dell’inviato speciale per il cambiamento climatico, l’ex ambasciatore dell’Italia in Egitto, Alessandro Modiano.
E questo al contrario di altri stati europei che hanno presidiato la conferenza e lavorato all’accordo. Nel suo tweet del 20 novembre, in ogni caso, Pichetto dice: “L’approvazione finale del pacchetto a COP27P rappresenta un passo positivo nelle politiche di contrasto al cambiamento climatico. E L’Italia ha fornito un rilevante contributo, partecipando al massimo livello. Meno soddisfacenti sono stati i risultati sul fronte cruciale delle azioni di mitigazione, dove non si è riusciti ad aumentare l’ambizione dei risultati ottenuti l’anno scorso a Glasgow, che fissano l’obiettivo massimo di innalzamento della temperatura globale a 1,5 gradi”. E ha continuato: “Da parte italiana, in piena sintonia con i nostri principali partner europei e non, si intende cominciare a lavorare intensamente già da domani per obiettivi più ambiziosi da ottenere l’anno prossimo alla Cop28 negli Emirati Arabi”.
Maria Enza Giannetto