Wise Society : Pia Astone: “Il lungo viaggio delle onde gravitazionali e la comprensione dell’universo”
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Pia Astone: “Il lungo viaggio delle onde gravitazionali e la comprensione dell’universo”

di Paola Greco
5 Dicembre 2024

La scienziata italiana ha provato a illustrarci la portata della scoperta delle onde gravitazionali, spiegandoci quali implicazioni porta con sé per lo studio dell'universo

Pia Astone è Dirigente di Ricerca INFN e professoressa a contratto dell’Università La Sapienza di Roma. Dal 2003 si occupa in particolare dell’analisi dei dati delle onde gravitazionali rivelate dagli interferometri LIGO e Virgo. Fa da diversi anni intensa attività di divulgazione, anche presso scuole di diverso ordine e grado. L’abbiamo incontrata in occasione della XXII edizione del festival di divulgazione scientifica BergamoScienza e ci ha portato per mano nell’universo delle onde gravitazionali: andata e ritorno dai buchi neri per scoprire che questo è l’unico mondo possibile per noi.

Prima di addentrarci in questo affascinante viaggio, ci può spiegare cosa sono le onde gravitazionali e come è nato il suo interesse per questo studio?

L’esistenza delle onde gravitazionali è stata dedotta da Albert Einstein nel 1916, un anno dopo la formulazione della teoria della relatività generale. Sono una conseguenza di questa teoria, la quale fornisce una descrizione della gravità diversa e più generale di quella di Newton. Una grossa massa appoggiata nello spazio-tempo, che possiamo rappresentare come un telo elastico, lo curva alterando di conseguenza anche il cammino della luce o creando orbite di altri corpi celesti che siano accanto ad essa. Ma se una grossa massa ruota velocemente e non è perfettamente sferica, oppure si scontra con un’altra massa, o esplode, sempre in modo non sfericamente simmetrico, il telo elastico che rappresenta lo spazio-tempo viene scosso. E il terremoto che si genera si propaga, sotto forma di onde.

Onde che hanno caratteristiche ben precise, fra cui quella più affascinante: riescono a percorrere distanze lunghissime senza cambiare di struttura. La loro ampiezza si riduce con la distanza, diventano sempre più flebili, ma la loro forma non cambia e, quando arrivano ad esempio sul nostro rivelatore Virgo, la traccia che lasciano ci indica esattamente come la massa o le masse che l’hanno prodotta si stavano muovendo e che caratteristiche avevano.

Sembra incredibile ma anche dopo un viaggio di oltre un miliardo di anni il primo segnale gravitazionale che abbiamo misurato ci ha portato, con una traccia di durata ben inferiore ad un secondo, informazioni molto dettagliate sul fenomeno, avvenuto quando sulla Terra si stavano formando le prime forme di vita pluricellulari.

In sintesi, possiamo dire che le onde gravitazionali sono un perfetto messaggero, fondamentale per una migliore comprensione della natura e storia evolutiva dell’Universo. Ma la loro misura, data la debolezza estrema del fenomeno, è molto complicata.

Il mio interesse per lo studio dell’Universo è nato da bambina, con le prime esplorazioni spaziali per raggiungere la Luna. Mi sembrava pazzesco si potesse arrivare fin lì e ho iniziato a credere che fosse fantastico potere un giorno registrare segnali dallo spazio. La missione dell’Apollo 13, come ho raccontato in un Podcast (Virgo, l’Universo si fa suono), mi ha fatto riflettere sul coraggio di chi affronta queste missioni, sui pericoli e sull’incredibile coordinamento necessario al successo. Dopo che qualcuno dalla NASA rispose ad una mia lettera scritta agli astronauti, decisi che un giorno sarei andata al di là della Luna. E quale modo migliore di “cavalcare” le onde gravitazionali per farlo?

Pianeta terra

Foto Shutterstock

Lei ha annunciato al mondo la reale esistenza delle onde gravitazionali: ci racconta Le emozioni legate alla scoperta e a questa rivelazione?

Sottolineo innanzitutto che si tratta del risultato di un lavoro distribuito sia nel tempo che nello spazio, di tanti scienziati e scienziate che, insieme e passandosi un testimone a volte molto complesso, hanno creduto in un sogno. Un onore pazzesco esserne parte.

Lo sforzo di costruire reti di rivelatori in grado di rivelare queste onde è iniziato già intorno agli ‘70. Intorno agli anni ‘80 poi, quasi contemporaneamente in Europa e negli Stati Uniti, si intensificarono gli studi e le attività sperimentali per la loro realizzazione. Questo ha portato alla costruzione di Virgo in Italia: il percorso parallelo negli Stati Uniti, con i rivelatori LIGO, ha portato il 14 settembre 2015 alla prima osservazione del passaggio di un’onda gravitazionale. Questa traccia storica è importante per capire che la mia reazione, come quella di diversi colleghi e colleghe, non è stata banale. I più “senior”, fra cui me, hanno inizialmente mostrato un grande scetticismo: per credere che stessimo davvero assistendo alla realizzazione della “più folle delle imprese” avevamo bisogno di verifiche ed approfondimenti. Solo dopo averli fatti posso confermare che la tachicardia si fece sentire. Abbiamo tutti mantenuto però la calma e la concentrazione necessaria per completare le analisi e per finalmente scrivere l’articolo che sapevamo sarebbe stato presentato a Stoccolma. Alla lezione per il premio Nobel.

Dunque, si: tanta emozione! Io ho avuto l’onere e insieme il grande onore, insieme ad altri 5 colleghi, di redigere la scrittura dell’articolo con i risultati e abbiamo ricevuto e discusso con tutta la collaborazione circa 4000 commenti nel periodo da ottobre 2015 al febbraio 2016, quando finalmente l’articolo è stato inviato alla rivista e finalmente il 12 febbraio 2016 l’articolo è uscito.

L’entrata in misura di Virgo, ad agosto 2017, con la scoperta straordinaria del 17 agosto che ha portato alla nascita della astronomia multi-messaggera, ha ulteriormente dimostrato che la nostra scoperta sia davvero meritatamente stata definita la “scoperta del secolo” e l’inizio di qualcosa di nuovo che potrebbe portare a risultati anche più meravigliosi di quanto ad oggi possiamo immaginare.

Perché queste scoperte sono importanti per noi e come cambieranno il mondo? Cosa ci stanno insegnando?

Il progresso è da sempre molto legato alla nostra curiosità di comprendere il mondo che ci circonda, anche se non sempre il nesso sembra immediato. Non so quanto sia ad esempio noto il fatto che le equazioni della Relatività Generale servono a far funzionare correttamente il navigatore che ormai usiamo comunemente. E quanti dispositivi per diagnostica e terapia medica che oggi sono a nostra disposizione vengono da scoperte scientifiche, fatte per cercare di comprendere un fenomeno fondamentale? Ancora: ad oggi esiste la possibilità di curare alcuni tipi di tumore con l’“adroterapia”, basata sull’impiego di acceleratori di particelle. Proprio quelli impiegati al CERN per comprendere la natura ultima della materia. Lo stesso “WEB” nacque al CERN, per esigenze scientifiche di condivisione di procedure e risultati fra scienziati dislocati in diversi Paesi. Venendo alle onde gravitazionali, esse sono un messaggero che arriva anche da distanze pazzesche. E a mano a mano che la sensibilità dei nostri rivelatori migliorerà, arriveranno da zone sempre più prossime al Big Bang, portando informazioni molto dettagliate dell’Universo più remoto.

Come cambieranno il mondo lo scopriremo. In tempi temo lunghi, ma lo scopriremo… Le stelle di neutroni, solo per fare un altro esempio, sono un laboratorio di fisica nucleare di inestimabile valore scientifico, una densità irraggiungibile sulla Terra (un cucchiaino di polvere di stella di neutroni peserebbe quanto tutto l’Everest). Determinarne il comportamento certamente potrà avere importanti risvolti.

Ricordo inoltre che la materia che conosciamo è una frazione piccolissima di quella che compone l’Universo e la risposta alle domande sulla natura della materia oscura e su cosa sia l’energia oscura certamente saranno importanti. La stessa teoria della Relatività Generale potrà essere messa a dura prova e sarà possibile con sempre maggiore accuratezza verificarne l’esattezza e perché no iniziare a trovare piccoli segni di deviazioni fra le osservazioni e la teoria.

Insomma, le onde gravitazionali ci stanno già insegnando molto e le stiamo utilizzando per studi di astrofisica, cosmologia, fisica nucleare e verifiche di validità della Relatività Generale. Le conseguenze di tutto questo possono essere a dir poco pazzesche e forse anche difficili ad oggi da immaginare.

Via Lattea

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Come le onde gravitazionali contribuiscono a capire meglio l’origine dell’universo?

In futuro, con rivelatori terrestri di prossima generazione sarà possibile fare accurati studi sulla popolazione dei buchi neri a diverse epoche di formazione stellare, rispondendo ad importanti domande sui loro progenitori, formazione, evoluzione. Questi segnali porteranno le tracce della storia evolutiva dell’Universo, ossia come la sua espansione è variata nel tempo. Altri rivelatori potranno contribuire a descrivere sempre meglio anche il comportamento dell’Universo primordiale, rivelando certamente segnali da altre categorie di corpi celesti, incluso il fondo di onde gravitazionali generato entro tempi brevissimi dal Big Bang, la cui segnatura conterrà certamente tracce utili alla sua comprensione.

Le onde gravitazionali si legano anche al tema molto affascinante dei buchi neri e alla possibilità di poter viaggiare nel tempo. Come la comprensione delle onde gravitazionali consentirebbe di rendere i viaggi nel tempo effettuabili?

I buchi neri sono certamente un mezzo per viaggiare nel tempo. Lo stiamo già facendo: osservare l’Universo, vuoi tramite la luce delle stelle, o con le onde gravitazionali, col fondo cosmico di microonde, lampi gamma… ma anche semplicemente osservando (protetti da opportune lenti) il nostro Sole, implica sempre un viaggio nel passato. Più o meno lungo a seconda della distanza dell’oggetto osservato.

Osservare il Sole ci porta indietro di 8 minuti, osservare lo scontro di 2 buchi neri ci porta indietro ad 1 miliardo di anni fa. Ad una Terra molto diversa rispetto a come la osserviamo oggi. E l’immagine che ci restituiscono le onde gravitazionali è proprio quella del fenomeno che l’ha prodotta.

E possiamo anche viaggiare nel futuro: la conoscenza che viene dalle osservazioni scientifiche è il modo migliore per dare una sbirciata al futuro. A volte anche molto di più: noi oggi sappiamo con precisione dove si troverà la Terra il 18 agosto 2050. E sappiamo anche predire quando il Sole cesserà di splendere in cielo o dove si trova oggi la prima onda gravitazionale da noi rivelata.

Le onde gravitazionali possono avere una qualche applicazione in tema di sostenibilità e benessere dell’uomo, dell’ambiente e del pianeta?

Non direttamente: le onde gravitazionali attraversano spazi infiniti, e dunque anche la Terra e i nostri strumenti, senza nessuna forma di interazione che di fatto possa consentire di prelevarne energia per un qualche impiego pratico. Comunque, le tecnologie impiegate per questi esperimenti e l’insieme dei tanti sensori che servono a monitorare l’ambiente, utilizzati per distinguere i segnali provenienti dal cosmo da tutto quello che viene prodotto sulla Terra, sono certamente un valido aiuto ad una migliore comprensione del territorio (in senso molto esteso) inclusi gli effetti delle attività umane su esso. La sensibilità estrema di questi strumenti consente anche di registrare e studiare moti della Terra e fenomeni sismici, inclusi terremoti in luoghi anche molto lontani.

Da astrofisica, osservando lo spazio, cosa pensa potremmo e dovremmo imparare per salvaguardare e proteggere maggiormente il nostro pianeta, la nostra casa?

L’ astronomo Carl Sagan, dopo aver osservato una fotografia della Terra scattata nel 1990 dalla sonda Voyager, dove la Terra altro non è che un piccolissimo, quasi impercettibile, puntino riportò delle riflessioni che invito tutti a leggere e che rappresentano certamente molto bene anche quelle che sono le riflessioni di chi, come me, oggi continua ad osservare l’Universo: “La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica… Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c’è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.”

La Terra è la nostra casa e oggi, nel mentre abbiamo imparato ad andare sempre più lontano nella nostra esplorazione dell’Universo, abbiamo anche capito che è l’unica che abbiamo e che dobbiamo proteggerla, tutti insieme. Le bellissime immagini che ci restituisce il James Webb Telescope dovrebbero ulteriormente insegnarci ad essere umili ed uniti. Siamo su un piccolo pianeta, il resto è meraviglioso, è fantastico osservarlo e comprenderne sempre di più la natura, non ci porta nessuna minaccia e il suo studio è fondamentale per comprendere meglio anche la nostra condizione ed evoluzione di vita sulla Terra, ma non è certamente pronto ad ospitarci dandoci una seconda casa.

Qualche anno fa fu scoperto il sistema Trappist-1, “simile alla Terra” e a “soli 40 anni luce da noi”. Scoperta davvero interessante, ma, tralasciando il problema di base delle condizioni di abitabilità, mi piace sottolineare che se la luce impiega “solo” 40 anni, noi, ignorando i tanti aspetti pratici, il fatto che non potremmo mai semplicemente partire e andare dritti verso la meta, alla velocità più alta alla quale tecnicamente potremmo pensare di poter viaggiare con le nostre sonde, e supponendo che il nostro fisico possa reggere, potremmo ottimisticamente impiegare non meno di 100.000 anni. No, non abbiamo altro che la Terra. Facciamocene una ragione, è un regalo fantastico che dobbiamo assolutamente preservare.

Paola Greco

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