Wise Society : Se conosci l’ictus lo previeni

Se conosci l’ictus lo previeni

di Fabio Di Todaro
22 Aprile 2014

Aprile è il mese della prevenzione della malattia cerebrale che in Italia colpisce duecentomila persone l'anno. Arrivare in ospedale in tempo utile è fondamentale. Ancora poche le stroke unit

Il vero problema è individuarlo in tempo. Una volta riconosciuto, l’ictus cerebrale può essere addomesticato, senza lasciare le pesanti conseguenze che invece ancora oggi si contano. A partire dall’Italia dove si stimano 200mila episodi l’anno, tra nuovi casi (principalmente) e recidive (quota accessoria).

Il tempo è tutto, o quasi: più se ne perde, maggiori sono i danni a cui va incontro il cervello. «In diverse migliaia di casi si potrebbero azzerare o ridurre drasticamente gli effetti invalidanti dell’ictus con delle cure adeguate, purché prestate nelle prime ore dalla comparsa dei sintomi – sostiene Giuseppe Micieli, direttore del dipartimento di neurologia d’urgenza dell’istituto Mondino di Pavia -. Il 118 in ogni Regione italiana dovrebbe attivare uno specifico protocollo di emergenza, il cosiddetto “Codice Ictus”: una sorta di “corsia preferenziale” per il paziente che consente di guadagnare minuti preziosi». Aprile è il mese dedicato alla prevenzione dell’ictus cerebrale. Previste diverse iniziative di informazione, sensibilizzazione e prevenzione: tutte descritte nel dettaglio sul sito di Alice Italia onlus, federazione di associazioni regionali che si prefigge lo scopo di favorire una corretta informazione sul problema-ictus.

COME SI RICONOSCE L’ICTUS? – Il ritardo con cui ci si rivolge agli specialisti non è figlio della noncuranza, ma della difficoltà che sovente si riscontra nell’identificazione precoce della malattia. I sintomi dell’ictus – più diffuso negli uomini over 55 e nelle persone colpite da disturbi della coagulazione ereditari, ma influiscono anche alcune condizioni da tenere sotto controllo come il diabete di tipo 2, il fumo, i livelli di colesterolo nel sangue, l’eccesso di alcol e la sedentarietà – compaiono improvvisamente raggiungendo la massima gravità in pochi minuti: intorpidimento a livello del viso, del braccio o della gamba, difficoltà a parlare, improvvisa difficoltà visiva. E poi: problemi di deambulazione, vertigini, perdita di equilibrio. Il paziente, al suo arrivo in ospedale, viene sottoposto a una tac cerebrale ed esami di laboratorio per escludere l’emorragia o eventuali controindicazioni alla terapia farmacologica: un iter che richiede del tempo e che complica inevitabilmente le cose se già l’arrivo in ospedale non avviene in tempo utile.

TERAPIE EFFICACI – Nulla è senza ritorno, dunque: men che meno quando si parla di ictus cerebrale. Se la neurochirurgia oggi interviene in modo meno invasivo attraverso l’applicazione di moderni “stent” in grado di favorire il riassorbimento di sangue, a livello farmacologico il primo passo da compiere è «la somministrazione, entro quattro ore dall’inizio dei sintomi, di farmaci in grado di rompere i trombi che ostruiscono i vasi e provocano l’ictus – afferma Domenico Inzitari, professore di neurologia all’università di Firenze -. Così circa un terzo delle persone colpite può tornare a casa completamente guarito, mentre un altro 50% recupera in breve tempo buone condizioni funzionali».

IL RUOLO DELLE STROKE UNIT – La diffusione della trombolisi e delle unità ospedaliere dedicate alla cura dell’ictus, quindi, può ridurre notevolmente la mortalità e la disabilità. In Italia, però, soltanto il 40% delle persone colpite da ictus arriva in una unità specializzata entro le prime quattro ore. Una volta dimessi, poi, i pazienti si trovano ad affrontare ancora molte difficoltà perché non esiste un percorso di assistenza e di riabilitazione predefinito. Le unità specializzate nel pronto intervento sui pazienti colpiti da ictus non sono ancora diffuse in maniera capillare. Il Ministero della Salute stima che in Italia dovrebbero esserne presenti oltre 300, mentre ne risultano operative meno di 160, concentrate principalmente nel Nord Italia.

«È una realtà, purtroppo, che al Sud, dove queste strutture scarseggiano, si muoia di più per l’ictus cerebrale e non per l’infarto del miocardio», spiega Carlo Gandolfo, ordinario di neurologia all’università di Genova. «Ogni anno, in Italia, si verificano oltre duecentomila casi di ictus e oltre novecentomila persone ne portano le conseguenze invalidanti – chiosa Paolo Binelli, Presidente di A.L.I.Ce. Italia Onlus -. Vorrei, però, che si parlasse anche di prevenzione: un’alimentazione sana, l’astensione dal fumo, il controllo costante della pressione arteriosa e della fibrillazione atriale contribuiscono sicuramente a ridurre i nuovi casi di malattia».

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