Nelle alture del Chianti, la casa vinicola del gruppo Allianz affronta il cambiamento climatico e salva i vigneti autoctoni con il progetto Vitiarium
Sostenibilità, viticoltura rigenerativa e recupero delle varietà autoctone: sono i fondamenti che scandiscono le attività quotidiane di San Felice Wine Estate, la tenuta di Castelnuovo Berardenga del gruppo Allianz che è parte dell’omonimo borgo.
San Felice, un borgo dedito alla sostenibilità
Siamo a pochi chilometri da Siena, tra le alture del Chianti, in quello che un tempo fu un villaggio etrusco, poi medievale e, infine, la casa padronale della famiglia Grisaldi Del Taja che nel 1924 partecipò alla fondazione del Consorzio del Chianti Classico. A trasformare borgo San Felice in quel gioiello toscano che è adesso è stato il Gruppo Allianz che, negli Anni 70, lo rilevò per produrre Chianti Classico. Oggi il Borgo è un coacervo di attività agricole (oltre al vino si produce olio extravergine di oliva, grappa e vinsanto) che fanno da cornice a un albergo diffuso del circuito Relais & Chateaux e al ristorante Poggio Rosso che, sotto l’occhio di Enrico Bartolini e la guida dello chef Juan Quintero, accanto alla “classica” stella rossa Michelin ha collezionato anche quella verde, riconoscimento che premia i comportamenti sostenibili dei ristoratori.
San Felice Wine Estate, una continua sperimentazione green
Da due anni alla guida di San Felice Wine Estate c’è Carlo De Biasi, unico italiano ad essere stato insignito, nel 2013 – quando era ancora chief agronomist di Zonin – del Green Personality of the Year ai Drink & Beverage Green Awards. «Erano ancora tempi non sospetti e già ero impegnato nello sviluppo dei protocolli di gestione del vigneto sostenibile», racconta De Biase chiamato da San Felice proprio per la sua mentalità green.
«Il primo approccio con San Felice è stato nei primi anni 2000 perché lì c’era la base di un gruppo di aziende vitivinicole che stava sviluppando in Italia un protocollo di gestione sostenibile del vigneto», continua. Una sperimentazione green che da allora non si è mai fermata: dalla riduzione dei farmaci all’eliminazione dei diserbanti fino alla conversione biologica in atto dei vigneti, «che sarà completata tra due anni in tutte le tre tenute dell’azienda: oltre San Felice anche Campogiovanni a Montalcino e Bell’Aja a Bolgheri. Il nostro obiettivo è avere un’azienda a circolo chiuso come una vecchia fattoria».
Nel frattempo San Felice nel 2021 e Campogiovanni nel 2022 hanno ottenuto la certificazione Equalitas Standard Sopd per l’organizzazione sostenibile della coltivazione delle uve, la produzione e l’affinamento dei vini bianchi e rossi tranquilli e il confezionamento in bottiglia di vetro e bag in box.
Viticoltura rigenerativa, baluardo contro il cambiamento climatico
Il modello agricolo scelto da San Felice per la conduzione del vigneto è quello della viticultura di precisione che consente di salvaguardare l’ambiente, e della viticoltura rigenerativa. Quest’ultima è figlia della visione lungimirante del vignaiolo catalano Miguel Torres Maczassek, oggi praticata da una cinquantina di aziende al mondo aderenti alla Regenerative Viticulture Association.
«Il cambiamento climatico porta con sé la necessità di una visione diversa della viticoltura – osserva De Biasi -. Lì dove un tempo si lavorava per ridurre l’esuberanza produttiva del Sangiovese (vitigno principe del Chianti Classico, ndr), oggi si devono preservare e nutrire i suoli fissando il carbonio al terreno evitando i diserbi perché l’erba, come insegna la viticoltura rigenerativa, ha un ruolo importante nell’impedire l’erosione del suolo causato dal cambiamento climatico».
Vitiarium, progetto per la salvaguardia dei vigneti autoctoni
Tra i progetti sperimentali di Borgo San Felice, sin dagli Anni ’80, c’è il Vitiarum, un vigneto sperimentale di 2,5 ettari per la tutela della biodiversità viticola toscana, partito da 270 vitigni minori che, attraverso selezioni ed esami del Dna, ha portato all’identificazione di 30 varietà autoctone di cui alcune sono state vinificate. Tra queste il Pugnitello, vinificato in purezza, è diventato uno dei vini della collezione “Vitiarium” dedicata da San Felce all’alta ristorazione e alle enoteche di ricerca. «Attualmente ci sono in osservazione altre 5 varietà autoctone», dice De Biasi sottolineando come nella viticoltura odierna c’è un maggior interesse per l’unicità del territorio in controtendenza con l’impianto di «vitigni internazionali dalla Maremma alla Sicilia».
Mariella Caruso