È una delle vette più famose del globo. Attira ogni anno migliaia di appassionati. Che affrontano in una settimana un'ascesa impegnativa. Per arrivare a seimila metri e spaziare con lo sguardo nel cuore dell'Africa. E dell'umanità
Per qualcuno è una scommessa, per qualcun altro una sfida con se stesso, per altri ancora l’occasione di un contatto unico con la natura. In tutti i casi forza di volontà e voglia di emozioni estreme non mancano a chi sceglie di avventurarsi in un trekking sul Kilimangiaro, la montagna più alta del continente africano e una delle più affascinanti del mondo intero. Un fascino che nasce dal suo alone di mistero, dalla posizione unica e, oltretutto, dalla (relativa) accessibilità: l’ascesa a 5895 metri fino Uhuru Peak, il punto più alto raggiungibile, è alla portata di tutti, o quasi.
Ben consapevole della straordinaria attrattiva che la montagna esercita su turisti e appassionati di tutto il mondo, la Tanzania ha infatti prima delimitato l’area come Parco Nazionale, e poi studiato una serie di percorsi per ascendere alla sommità in modo da rispondere a esigenze e capacità molto diverse tra loro. I percorsi sono 5 e vanno dalla notissima Marangu Route – nota come Coca Cola Route proprio perché la più facile e quindi popolare – alla Umbwe Route, la più dura, diretta e spettacolare. Per arrivare in cima è normalmente necessario considerare una settimana di tempo imparando da guide e portatori una lezione fondamentale: il miglior alleato è la calma.
Al di là dell’allenamento di base necessario per affrontare l’impresa, il peggiore nemico di chi arriva alle falde del maestoso Kilimanjaro è il mal di montagna: un malessere difficilmente prevenibile – in commercio esistono delle pillole, ma cultori e habitué di trekking e scalate si dividono sulla loro efficacia – che porta come primi sintomi nausea, vomito e stanchezza diffusa, e in quelli più gravi diarrea, disidratazione e febbre anche molto alta. Impossibile stabilire a priori chi si ammalerà, ma esiste invece un rimedio universale: salire con moltissima tranquillità. Il mal di montagna è infatti collegato all’altitudine: fino a 3mila metri difficilmente si fa sentire, ma passata quella quota può arrivare all’improvviso, rendendo impossibile l’ascesa. L’unica soluzione è salire molto lentamente, prendendosi il tempo necessario e senza forzare le tappe, per dare modo al fisico di abituarsi: una lezione che i giovani difficilmente vogliono ascoltare, rendendo il Kilimangiaro una delle vette curiosamente conquistate più dai cinquantenni che dai trentenni.
La lentezza consente inoltre di godere dello straordinario paesaggio e della ricchezza naturalistica della montagna: l’ascesa al cratere è come un viaggio attraverso ecosistemi e climi, passando da foreste rigogliose e incontaminate al deserto senza vita, fino ad arrivare a un universo di ghiaccio e neve dove la temperatura si attesta intorno ai meno quindici gradi. È questa varietà, oltre all’immensa bellezza di una montagna che si erge solitaria sovrastando l’Africa Orientale, a esercitare il richiamo su coloro che decidono di scrollarsi di dosso i panni del professionista o della madre di famiglia per tornare alle origini, dedicando una settimana alla fatica e al piacere della scoperta, rinunciando all’acqua per lavarsi, a cibo caldo, a ore di sonno e a tutte le comodità cui siamo abituati.
Il prezzo (in denaro) per poterlo fare dipende molto dalla soluzione che si sceglie; esistono pacchetti turistici già pronti, ma molti preferiscono arrivare in Tanzania e organizzare da lì la propria escursione. Per fare i conti a spanne, comunque, è bene sapere che la permanenza all’interno del Parco Nazionale costa 100 dollari al giorno e che l’ascesa alla vetta deve essere fatta accompagnati da una guida – non è possibile andare da soli – e dai portatori, coloro cioè che si fanno carico di tende, cibo e tutto l’equipaggiamento che non può andare negli zaini perché li renderebbe troppo pesanti. Guide e portantini hanno una tariffa, cui va aggiunta una mancia, praticamente obbligatoria, e la consuetudine di regalare loro al termine della scalata un po’ del proprio equipaggiamento tecnico, che difficilmente già possiedono (ma per i turisti esistono centri nei pressi del Kilimangiaro in cui è possibile affittare tutto il necessario, nel caso il desiderio della conquista della vetta dovesse sopraggiungere inaspettato). Includendo il volo aereo, si può quindi approssimativamente calcolare una spesa tra 1500 e 2000 euro per una settimana di trekking.
È invece più difficile da calcolare l’allenamento necessario per affrontare la montagna; gli esperti sono concordi nel dire che non si tratta di una vetta particolarmente difficile, ma il paragone è ovviamente fatto con altri 6mila metri in giro per il mondo. Per provare la scalata è necessario avere un po’ di familiarità con il trekking, ma soprattutto un buon allenamento fisico complessivo e molto fiato: correre una mezz’ora tutti i giorni è un buon modo per mettersi alla prova.