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Irene di Carpegna: oltre il biologico, con la parmacultura

di di Sebastiano Guanziroli
25 Giugno 2010

Storia di un'ereditiera che dalla cura dei fiori sul terrazzo è passata alla gestione di una grande azienda agricola, nata e cresciuta all'insegna della sostenibilità. Non solo metodi bio, ma anche attenzione ai consumi energetici e alla cura delle persone

Irene di Carpegna, agricoltoreIrene di Carpegna ha ereditato nel 1992 la Cascina Santa Brera, un insediamento agricolo di origini molto antiche a San Giuliano, nel mezzo della periferia milanese. La cascina era affittata a un’azienda che praticava agricoltura tradizionale intensiva e, alla scadenza dell’affitto, nel 1999, la nuova proprietaria ha deciso di subentrare lei stessa nell’attività, per cambiare radicalmente l’uso che veniva fatto della sua terra. E’ così che è iniziata una bella storia di coraggio e ostinazione.

Perché buttarsi in un’esperienza così difficile e nuova?

Perché ereditare la terra è un’opportunità e una sfida, ma anche una grande responsabilità. La terra è ciò che lasciamo alle generazioni future, è molto di più di un semplice valore economico. Io ho sentito questa responsabilità e ho scelto di occuparmene in prima persona, perché chi se ne occupava in precedenza non ne aveva rispetto.

Aveva mai messo “le mani nella terra”?

Non avevo mai coltivato niente su vasta scala, al massimo vasi di fiori. Avevo un lavoro d’ufficio e, come si dice, il “pollice verde”. Ho dovuto cominciare a studiare, a frequentare corsi, ma non mi soddisfacevano perché non erano pratici. Nel tempo, mano a mano che incontravo insegnanti con tanta esperienza pratica e la capacità di comunicare, ho iniziato io stessa a organizzarne. Altri si sono via via aggregati e abbiamo fondato insieme la Scuola di pratiche sostenibili, con l’obiettivo di dare agli altri ciò che non ho trovato io quando ho iniziato.

Tornando agli inizi della sua esperienza, è stato difficile?

Sì, era tutto in stato d’abbandono, dai campi agli edifici. Ho dovuto rimboccarmi le maniche e indebitarmi. All’inizio è stata durissima. Prima di incontrare quelli che ora sono i miei amici, ho passato anni veramente difficili. Non conoscevo nessuno. C’è anche chi si è approfittato della mia inesperienza. Ero una donna, per di più sola, e c’era molta diffidenza nei miei confronti. Anche perché mi prendevano per matta, nella migliore delle ipotesi, quando mi sentivano parlare di permacultura.

Riunione in cascina

La permacultura è molto più di un semplice metodo di coltivazione. Perché ha fatto una scelta così “radicale” per la sua terra?

Frequentando i primi corsi, ho capito che l’agricoltura biologica non mi bastava: la si usa solo come una tecnica, per di più applicandola anche su vaste superfici e in forma di monocultura, che secondo me è una grande contraddizione. Allora ho scoperto la permacultura, che progetta insediamenti umani sostenibili: quindi non solo come si produce il cibo, ma anche che energia si usa, quanta se ne usa, quali sono i materiali di costruzione. E, importantissimo, pone l’accento sulle relazioni sociali: avere cura delle persone è un principio etico. Bisogna rispettare la tradizione agricola del luogo, favorendo un equilibrio armonioso e produttivo fra l’ambiente e i suoi abitanti.

Cascina Santa BreraUn esempio concreto del differente approccio tra la permacultura e l’agricoltura tradizionale?

Io per esempio tengo i polli nell’orto, lasciandoli razzolare a rotazione con recinti mobili. In questo modo gli insetti dannosi e le erbe infestanti vengono mangiate e non occorre usare diserbanti e insetticidi. In più, il terreno migliora perché viene concimato naturalmente. Alla fine per me il risultato è doppio: da una parte ho un orto coltivato in modo interamente naturale, dall’altro la carne del pollo sarà ottima e sana.

Un tratto filosofico della permacultura è il concetto del “collaborare” con la natura, invece che del “lottare contro”.

È un principio valido anche nella vita sociale: “costruisci, lavora con, usa le energie in maniera costruttiva”. Applicato alla coltivazione, e tornando all’esempio precedente, significa che invece di lottare contro le infestanti, è preferibile lavorare insieme agli animali che mi aiutano a tenerle sotto controllo.

Pulizia dell'ortoA dieci anni dall’inizio di quest’esperienza, di cosa è maggiormente soddisfatta?

Ho piantato un bosco di dodicimila alberi per avere autosufficienza termica. E l’ho fatto accanto al fiume Lambro, un fiume altamente inquinato: prima il terreno era coltivato a mais, ora è un bosco che rimarrà per sempre, dando tutto ciò che un bosco può dare agli uomini e agli animali. E poi sono felice perché ho avuto l’opportunità di conoscere tantissime belle persone che vengono alla cascina. C’è sempre più gente che ha a cuore un futuro diverso e che si impegna per migliorarlo. È una consolazione: prima ero sola, ora non lo sono più.

E i suoi vicini contadini oggi con che occhi la guardano? La considerano ancora matta?

Anche con loro il “contagio” è stato positivo. In forme diverse, più o meno ampie, in tanti hanno capito e applicato alcuni principi. C’è chi ha cominciato a fare vendita diretta, che è un primo passo, chi è passato al biologico, e abbiamo formato una rete di reciproco aiuto. E’ un cammino lungo, ma ci sono sempre più persone che vogliono cambiare vita, e io cerco di dar loro il mio contributo.

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